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Venezia e la ragazza

Venezia e la ragazza

Calle del Ponte Storto
30125 Venezia
Poesie Poesie
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Venezia e la ragazza

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-ballata per due voci: una madre e una figlia-
 
Figlia tu, ora, non andare,
questa Venezia non puoi lasciare.
Son fondi i legami di legno
che la tengono ferma nel mare.
 
Madre, io devo partire
con questi miei piedi di pelle d’avorio,
non sono più branchia di pesce e anguilla di rena,
la terra seccata dal sole m’aspetta oltre le dune.
 
Prima d’andare ascolta il segreto
di questa Venezia che arrivò in un campo di sabbia,
rifugiò quella gente fuggita dal fiume e la piana,
e con legni portati da burrasche e correnti
si compose in altalene di pali e coperture di pelli.
 
Venezia è peso di marmo e tristezza di gorgo,
lasciami ora cercare primavere leggere e sorrisi di pesca,
là oltre il mare, nell’altura del colle quando s’apre sul cielo.
 
Il cielo, o figlia, solo qui lo puoi scoprire,
che lo specchio della laguna tutto lo porta ad affondare;
ma guardati gli occhi celesti, tu non sai chi li portò così chiari?
tu non sai che son pervinche del regno d’Oriente?
 
Madre che racconti che già non conosca,
vedo sempre questo venire di acqua
che non mi lascia dormire e sposta i miei sogni
sotto il remo di barche, e poi son trascinati oltre la mano.
 
Figlia quanto vorrei tu sapessi, dei velieri d’un tempo,
in mareggiata lungo golfi di roccia o in linee d’isole silenti,
quante tracce e mappe per il bastimento che tornò con le spezie.
 
Sono quelle stive ripiene di urla e fatica
che non voglio immaginare, tutto quel navigare
senza figli e famiglia, senza abbracci e stagioni
solo quel veleggiare a scia di vento, dimenticando la terra.-51-
 
Che dici, povera ragazza, neppure conosci
quante son state le fermate per mesi
lungo le insenature di coste e nelle rotte delle carovane
in conquista di nuovi doni da recare a Venezia.
 
Cosa servì riempire la nostalgia con ori e preziosi
a diadema sul capo della donna che nell’attesa si spegne?
Voglio un uomo che torni ogni sera senza doni a brillare,
solo una pelle da far scivolare lungo le dita.
 
Parli crudele di quel destino di donne in attesa,
non immagini come eran lunghe e gioiose le feste al ritorno;
perché mai credi che esista questo carnevale di maschere e musica
se non per ringraziare la fortuna di quel rivedersi?
Tu comprendi che la maschera serve a nascondere la paura,
lo smarrirsi della giovinezza e credere che niente è cambiato?
 
Madre io vado, questo luogo
ospite di perenne marea
mi ha sciolto ogni passo deciso;
non aspetto d’esser sirena isolata allo scoglio,
non mi appoggio sul viso la bautta dell’inganno,
desidero alberi e radici ed essere volpe o cerbiatto.
 
Non posso lasciarti partire,
mi pesano addosso le mura dipinte a grottesche,
le scale a girandole d’oro,
i tappeti che nascondono il tarlo del mare,
lampadari di trasparenza tagliente,
e broccati e rubini lungo il seno che s’alza,
orecchini topazio e madreperle lungo il collo che freme…
Non posso vederti allontanare dalle calli e dal campo,
le trine e i merletti mi chiudono il cuore,
le gonne di seta e di velo inciampano nel mio respiro,
la bautta preme alle labbra e il pianto è solido vetro …
Non posso credere vero che non ti vedrò più
alla finestra affacciarti, tra quei stucchi in colonna
color del tuo scialle… mentre Venezia galleggia,
un dondolio d’incanto e catene.
 
Madre, mentre tu parli, sento arrivare la gondola nera,
ha un battere di remo come l’unghia della morte sulla spalla,
è il mare che arriva e vuole sostare e s’alza…s’alza,
è quasi arrivato alla mia gola che piano si chiude.
 
Figlia, figlia che spaventi ti inventi,
su quest’acqua di mare abbiamo messo
così tanto spessore di ricchezza
conquistata da terre distanti,
il mare, l’abbiamo sposato con ferro d’oro
e noi ora, lo possiamo comandare.
 
Venezia sei madre che chiude nelle segrete
la giovinezza che splende e affronta l’orizzonte,
sulle altane son fiorite le margherite, le sorvola un gabbiano di costa,
ma non si sporge nessuno ad aspettare la notte.
Ti lascio sull’incresparsi di luna piena che è colore d’assenza.
Ti lascio nel rio che trascina le barche in corrente remota.
Ti lascio in queste mura di perduta speranza di terra.
Qui tutto è del mare, non è servito ammassare otri e forzieri
a coprirne il crudele mistero che annega l’aria del cielo.
 
No, no, Venezia ti chiama, desidera i tuoi passi lungo le calli…
Figlia sono cieca di rimpianto!
 
Non c’è più rimpianto, per me, madre,
ora ho sentito le tracce di sentieri e percorsi,
ora voglio andare per strade sicure e certe, dove invece dell’onda,
cresce la pianta e lo spino, e passo su passo seguire lo sguardo futuro,
cercare e camminare senza aver il ricordo del navigare.
 
Venezia è sola
Venezia è il mare
Venezia è una conchiglia
chiusa nell’onda più profonda
e misteriosa è la parola
che chiuderà il suo ricordare.


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