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Storie di ordinaria crisi

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Storie di ordinaria crisi

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A quel tempo a Taranto, come in tutta l’Italia, c’era una grande crisi economica ma  dalle nostre parti non si lamentava nessuno perché noi nella crisi c’eravamo nati. Nati e cresciuti. Ogni cosa allora ci sembrava positiva, anche un panino o una sigaretta.
Erano gli anni ’50 e noi figli del dopoguerra, andavamo a scuola ancora in calzoncini corti.
Io, per fortuna, abitavo in via Duomo perché mio padre aveva una salumeria e, almeno a noi, non mancava il pane. Me lo ricordo mio padre quando faceva credito a chi non aveva una lira e poi alla fine i conti non quadravano. Non era fatto per il commercio lui, non sapeva imbrogliare nessuno! Ma tutti lo chiamavano “don Vincenzo” e per via Duomo noi potevamo camminare a testa alta.
Io ero il più piccolo, forse il più scaltro di tutti. Ma anche io ogni tanto somigliavo a mio padre quando ammollavo un panino imbottito a Pasquale che passava davanti al negozio con la faccia smunta.  Pasquale si era inventato il mestiere di portantino, ma non di quelli regolari che stanno alla stazione. Lui si piazzava alla fermata dell’autobus o davanti alla stazione e aiutava tutti quelli che arrivavano o partivano per rimediare qualche lira. 
Me lo ricordo quando scriveva per terra con le bucce d’arance, e poi fermava qualcuno che sapesse leggere e chiedeva se aveva scritto bene. Se gli rispondevano di si allora lui si sentiva qualcuno e diceva: “Andrò a scuola un giorno e farò vedere a tutti quanto sono bravo”. Gli anni sono passati e forse Pasquale a scuola non è più andato perché  a casa erano tanti e i soldi per comprare libri e cartelle erano pochi.
Ora a scuola ci vanno tutti ma a quel tempo era un privilegio. Era l’unico modo per riscattarsi dalla miseria. Mio padre l’aveva capito e mio fratello Pino era partito per l’accademia militare, mentre mio fratello maggiore, Benedetto era andato a Roma a studiare farmacia.
Il suo compagno di liceo, Giovanni,  era rimasto a Taranto e si era iscritto all’università di Bari ma siccome non aveva una lira, quando doveva fare un esame si metteva a chiedere passaggi sulla via Appia per arrivare a Bari. Di esami ne ha persi parecchi!
La scuola era un lusso, è vero. Anche le sigarette! Aldino, un mio amico, raccoglieva i mozziconi per farsene una intera. Erano tempi duri quelli ma pieni di speranza. Ognuno di noi voleva uscire dall’isola per ritornarci ricco.
Erano i tempi in cui i vicoli erano pieni di personaggi, dove la gente stava seduta davanti alla porta, come Tre cul’ un tizio così grasso da occupare due sedie per sedersi. Si facevano scherzi per la strada e si raccontavano i segreti, si fumavano le prime sigarette e alcuni parlavano in un silenzio scabroso di Cinzella.. Tutti conoscevano tutti. Il mare era sotto la finestra e ci si poteva arrivare con un soffio. Ancora non c’erano i fumaioli dell’Ilva e i tramonti erano meno belli ma più puliti.
Io sono rimasto a Taranto, a differenza dei miei fratelli e, preso dal boom degli anni ’60 sono finito a lavorare dietro a uno di quei fumaioli, ho contribuito a fabbricare i nostri bei tramonti di fiamma e a uccidere il mare, quel mare da cui i miei nonni avevano imparato a vivere.
Ora la nostra isola è una sirena monca, con la coda mozzata e la voce un po’ spenta. Aspetta che qualcuno le ridia un’anima. Forse quella di chi ha conosciuto le immagini del passato ed ama ancora Taranto nel presente. Una Taranto che ha bisogno di speranza, quella a cui eravamo abituati.
Giovanni, a furia di passaggi, si è laureato in giurisprudenza. L’ho rivisto qualche anno fa, davanti al Carmine, vestito di tutto punto. E’ stato tenace.
Mio fratello Benedetto vive ancora a Roma e parla tarantino per non dimenticare le origini. Nel salotto della sua bella casa, si è appeso un quadro che gli ricorda la miseria di Taranto quando eravamo bambini. Quando torna qui gioca a tressette con i suoi compagni di liceo. Hanno un’amicizia che dura ancora.
Tre cul’ è morto e gli hanno dovuto fare una bara su misura, forse anche in Paradiso sta più largo.
Pasquale il portantino …sono andato a trovarlo in ospedale, perché mi avevano detto che aveva avuto un infarto. Quando è morto gli hanno messo un vestito nero elegantissimo e tutti i vecchi commercianti di via Duomo gli hanno pagato il funerale. E’ stato amato nella sua miseria.
Aldino, il mio amico di scuola, per ironia, si è aperto una tabaccheria e si può fumare tutte le sigarette che vuole.
Tutti questi nomi sono flash che mi tornano alla mente. Ricordi del passato. Uomini seri che avevano tutti un sogno, piccolo o grande. Uomini dell’isola, di Taranto vecchia. Uomini che hanno significato per me amicizia, sacrificio e speranza. Anche quando tutto sembrava andare male, come adesso a Taranto.
Anche io ho fatto la mia parte. Sono sopravvissuto al cancro che mi sono preso al siderurgico e non ho mai smesso di sperare. E quando mi sveglio la mattina ringrazio Iddio di poter guardare ancora il mare, il mare della mia isola, pronto a  ricominciare.


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  1. Lori
    Originalità

    Coinvolgimento

    Stile

    Una bella storia dolce amara com’è il nostro amato Sud.
    Lettura piacevole e scorrevole.

    3 anni fa

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