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Daddino e il profumo dei quaderni

Daddino e il profumo dei quaderni

Corso Vittorio Emanuele II
74123 Taranto Vecchia
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Daddino e il profumo dei quaderni

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“Daddino, Daddino…”  gli scolari escono a frotte dal vecchio portone di Palazzo Amati, la scuola elementare  e corrono, con i calzoncini corti, verso il ragazzo che se ne sta appoggiato al lampione.
Daddino li aspetta, con la  faccia  sempre sorridente  e l’espressione infantile.  Si capiscono, Daddino e i bambini, parlano la stessa lingua, hanno lo stesso sguardo.
“Tìn’, Daddì, nà’” e gli danno i loro quaderni usati, scritti  rigo per rigo, sotto lo sguardo severo dei maestri.
Daddino li prende e se li mette dentro una sacca che porta sempre sotto il braccio destro e che copre i pantaloni rattoppati  Poi comincia a raccontare storielle e barzellette per ridere con i bambini.
“Cià Daddi, n’ vedim’”  I ragazzetti  si sperdono alla spicciolata tra i vicoli che profumano di sugo e di castagne. Daddino si rimette la sacca in spalla. Qualche  cosa da mangiare la rimedierà da qualche parte. …
Daddino è un vagabondo e si dà da fare come può. Neanche i genitori l’hanno voluto. Qualcosa doveva essere andato storto durante il parto perché Daddino, fin da piccolo, era stato diverso dagli altri bambini. Ogni tanto la febbre impazziva e lui era preso da spasmi e convulsioni. Con l’età il suo corpo era cresciuto ma i suoi occhi e la sua mente erano rimasti bambini. Ogni tanto quei tremiti lo riprendevano e la scossa elettrica gli passava per tutto il corpo, magari quando stava all’angolo della strada.  E faceva paura. A molti. Ma ai bambini no. Loro lo adoravano.  A loro piaceva la sua aria svagata, i suoi occhi grandi e soprattutto la barba ed i capelli che profumavano sempre di fresco.
“Tras..Daddì, m’è purtat ‘  à  cart’?” gli chiese il barbiere di via Duomo.
Daddino annuì e appoggiò la sacca sul bancone per tirarne fuori i quaderni dei suoi amici bambini. Poi insieme al barbiere strappò delicatamente pagina per pagina per disporle, una a una, in ordinati mucchietti. Il barbiere le avrebbe usate per ripulire il rasoio ad ogni barba.
“Avin’, Daddì, te l’è meritat’..”
Daddino si sedette sulla poltrona del barbiere. Era stato il suo sogno sin da bambino. I capelli glieli aveva tagliati sempre sua madre, un po’ maldestramente. E lui, da piccolo, sognava di sedersi  su quella grande poltrona di pelle e acciaio, simile al trono di un re. Ed ora si sentiva un adulto,un galantuomo.  Si immaginava tutti che lo salutavano chiamandolo “don Daddì” mentre passeggiava per via Duomo, senza una lira in tasca ma con i capelli che profumavano di lanolina
Daddino aveva inventato il miglior modo di riciclare la carta, era lui che faceva la differenziata in città vecchia. Carta in cambio di sapone da barba.
“Ehi Daddì e tu n’è purtat’ quacche cosa?” disse uno dei ragazzetti quella mattina, l’ultima in cui Daddino si fece vedere davanti a Palazzo Amati.
Daddino tirò fuori dalle tasche qualche caramella o un paio di cioccolatini, di quelli fondenti che costavano poche lire.
“Daddì’ aspett’!” gli gridò un ragazzetto, mentre gli correva incontro.  Era uscito da scuola per ultimo perché la maestra lo aveva messo in punizione. Aveva dovuto riscrivere trenta volte la stessa frase. Il bambino aveva ancora gli occhi e le mani rossi.  Tirò Daddino per la sacca.
“Tin’ Daddi, u’ quadern’”. Daddino prese il quaderno  e gli sorrise. Poi si calò la mano in tasca. Prese un ultimo cioccolatino. L’aveva lasciato per lui. Lo sapeva che era sempre l’ultimo ad uscire. Era un cioccolatino al caffè. Roba da grandi! I due fecero un pezzo di vicolo insieme. Aveva sempre una storiella pronta, Daddino e l’aveva fatto ridere anche stavolta. Si era dimenticato delle bacchettate sulle mani della maestra. Poi si lasciarono e Daddino lo salutò con una faccia buffa.
Quello fu l’ultimo giorno che Daddino si vide in giro, poi  sparì dalla circolazione. Si diceva nel vicolo che era finito in carcere per violenze a danno di qualcuno e  da lì in sanatorio. Il giudice aveva voluto dargli un tetto, forse. Sembra che anche lì si inventasse scherzi e barzellette. C’era chi lo aveva  accusato o dimenticato. Ma i bambini no!.  Per tanto tempo all’uscita della scuola  lo avevano aspettato, e avevano sperato  di vedere Daddino  sotto il lampione, magari  con qualche  caramella in tasca. Anche il barbiere aveva dovuto  rinunciare a quel  po’ di cultura tra i suoi foglietti . Oggi tutto è cambiato. I rasoi sono  elettrici e i bambini della città vecchia sono  diventati grandi. Sono andati ad abitare al borgo, o in periferia o lontano da Taranto. Forse, però, negli occhi di qualcuno c’è ancora lo sguardo di Daddino che fa le smorfie e racconta barzellette. Forse ognuno di quei bambini racconta a suo modo la sua storia ai propri nipoti mentre sfoglia con  mano leggera  i loro quaderni di scolaretti. Così ha fatto mio padre, che custodisce ancora intatto tra i suoi ricordi, il gusto di quel  cioccolatino al caffè.

 

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