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Falconera Side Story

Falconera Side Story

Cavallino-Treporti
30013 Venezia
Storico Racconti
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Falconera Side Story

visita su Google street view  

(La batteria Amalfi è un’installazione militare sita a Punta Sabbioni sul litorale di Cavallino-Treporti, ndr)
 
Giovanni detto “Nini” era il dodicesimo di undici figli. Non era stato voluto e al contrario del più giovane degli apostoli, di cui portava il nome, non era il preferito. La madre lo aveva dato alla luce durante una mareggiata il 20 Agosto 1901, due mesi in anticipo rispetto alla data prevista. Il medico condotto da Burano non aveva fatto in tempo ad arrivare all’isola della Falconera e mamma Rosa non era sopravvissuta al parto; troppi anni, figli e fatiche alle spalle avevano avuto il sopravvento. Ma se ne era andata con il più grande gesto d’amore: donare la vita per quella del figlio. Il padre Francesco però questo non lo aveva capito e Nini non era stato accettato. La Falconera è un isolotto della laguna di Venezia dove l’uomo ha strappato alla natura un lembo di terra per poter vivere di duro lavoro. Il suo nome deriva dalla presenza dei falchi che fin dal medioevo venivano utilizzati nella caccia dai suoi abitanti. E’ un luogo dove l’habitat selvaggio, se addomesticato, sa dare grandi soddisfazioni ma richiede anche numerosi sacrifici. Nini invece era nato prematuro e gracile di costituzione. Era piccolo di statura e le spalle strette non lo rendevano adatto al lavoro nei campi e nelle valli da pesca. Tutto questo non faceva che aumentare ancor di più l’avversità che il padre nutriva per lui e perciò fu relegato fin da piccolo a stare con le sorelle e ad imparare i lavori donneschi. Nini portava il peso della morte della madre da sempre con se e neanche l’amore e le attenzioni dei fratelli riuscivano a mitigare il dolore di questa consapevolezza. Il suo unico rifugio dalla crudeltà del mondo era la laguna. Conosceva a memoria ogni palmo di terra della Falconera e piccolo com’era riusciva a infilarsi negli anfratti più nascosti dell’isola. Sapeva dove erano i nidi dei falchi, dove si riunivano i Cavalieri d’Italia prima di migrare per l’Africa e andava a vedere gli alberi colmi di Garzette prima dell’imbrunire. Venti, maree, correnti e ogni argine delle barene attorno all’isola non avevano segreti per lui. La sera, prima di rientrare nella casa colonica, andava a salutare il sole che spariva dietro ai monti a nord-ovest della laguna. La cosa più bella per lui era poter vedere le nuvole incendiarsi di mille sfumature di rosso, viola, azzurro prima di sparire inghiottite dal buio della notte. Visse così Nini gli anni della sua fanciullezza, poche ora tra i banchi nella scuola rurale di Cavallino e molte a scoprire le bellezze che la laguna gli offriva. Nel frattempo i fratelli e le sorelle maggiori si erano sposati ed erano emigrati all’estero. Erano rimasti solo lui, il padre e il fratello Pietro di pochi anni più vecchio. Presidiavano quell’angolo di verde nel raffinato dedalo di isolotti che sembrava ricamare la laguna come un merletto della vicina Burano. Pietro era alto, forte, le mani grandi, le spalle larghe e la pelle bruciata dal sole. Lavorava instancabile dall’alba al tramonto accanto al padre, ormai settantenne, e l’unico vizio che aveva era un “goto” di vino la sera tra i nespoli dell’osteria da Emidio all’ombra del campanile di Lio Piccolo. Lì si radunavano tutti i pescatori, fattori e valligiani dei dintorni per scambiarsi notizie di mare e di terra. Nini invece rimaneva a casa in trepida attesa: preparava la cena, rifaceva i letti, rammendava le reti e pendeva dalle labbra del fratello. Non aveva amici il povero ragazzo: i pochi che aveva conosciuto a scuola abitavano tutti sulla terraferma e dopo le lezioni non era mai rimasto a giocare con loro. Pietro era il suo unico aggancio al resto del mondo e quel poco che sapeva della vita al di fuori della laguna lo doveva ai suoi racconti.

Ma gli eventi che stavano per sconvolgere prima l’Europa e poi il mondo intero non potevano risparmiare quel piccolo angolo di vita rurale. Un giorno come tanti sul finire del mese di Maggio del 1915 vide tornare padre e fratello con un foglio di giornale in mano. Erano scuri in volto e nessuno dei due osava parlare. Il padre sembrava avere cento anni, gli occhi rossi e infossati tradivano le lacrime che Nini non aveva mai visto solcare le rughe del suo viso. Il fratello muto e perso nei suoi pensieri sorreggeva il pover’uomo tenendolo quasi a spalla. Nini non osò chiedere spiegazioni ma dalla pagina spiegazzata riuscì a capire il motivo di tanta preoccupazione: “L’Italia dichiara la guerra all’Austria”. Anche se poche, non erano state infruttuose le ore di scuola: Nini infatti sapeva leggere, scrivere e far di conto. Nonostante il lavoro e i frutti della terra abbondassero durante l’estate, le settimane che seguirono quella sera sembrarono una eterna attesa del peggio. Durante la cena a casa nessuno parlava. Nini non aveva più notizie di quello che succedeva attorno a lui ma aveva notato strane luci e movimenti lungo la costa. Alte torri venivano costruite a ridosso del mare e tutto il giorno si udivano i rumori di cantieri e macchinari in movimento. Come succede spesso in mare, i venti stavano cambiando e non sembravano portar niente di buono. Un giorno di Giugno infatti, sul far della sera, Pietro tornò a casa prima del solito per parlare al fratello minore. “Nini” gli disse “dovrai occuparti tu della casa e di nostro padre. Mi hanno fatto abile di prima categoria.” Cosa volesse dire tutto questo non fu da subito chiaro al povero ragazzo ma dallo sguardo del fratello maggiore capì che una profonda tristezza si era impadronita di lui. “Domani partirò per il fronte orientale. Tu devi rimanere qui ad aiutare tuo papà. Gli leggerai le lettere che vi manderò. Ho già dato istruzioni ad Emidio: ogni sera prima che tramonti il sole andrai fino all’osteria a Lio Piccolo col sandolo (è una piccola imbarcazione tipica della laguna e di Burano) e chiederai se sono arrivate notizie di me. Lì potrai vendere quello che riuscirai a coltivare e allevare o barattarlo con ciò che vi serve. Sei ormai grande e sono sicuro che saprai badare a te stesso e alla casa.” Con un accenno di sorriso diede un buffetto sulla guancia al fratellino e aggiunse: “E prometti che quando torno troverò tutto pulito e il letto rifatto!” Nini colto di sorpresa non seppe cosa rispondere ma si sentì investito da una enorme responsabilità oltre ad essere terrorizzato dalla prospettiva di perdere l’unico fratello rimasto accanto a lui. Disse solo: “Va bene, te lo prometto.” e trattenne a stento i singhiozzi per non sembrare debole di fronte alla parola data. Il giorno successivo Pietro partì di primo mattino accompagnato da alcuni pescatori e altri giovani del luogo che erano stati reclutati. I Carabinieri li scortarono fino alla stazione di Venezia dove presero il primo treno disponibile in direzione del Carso.

I giorni passarono lenti: il padre rimaneva ore a guardare l’orizzonte a est in cerca del figlio ormai partito da più di un anno. Nini si era sempre occupato di tutto secondo le istruzioni ricevute e ogni sera leggeva e rileggeva le poche lettere che ricevevano dal fronte. Ognuna di esse era un messaggio di speranza al di là delle parole scritte. Significavano che il fratello era ancora vivo e che, per quanto lontano fosse, un giorno sarebbe tornato a vedere il sole accendere il viola dei fiori di limonio nelle barene.
 
Nel frattempo Nini aveva iniziato a sconfinare oltre i suoi usuali giri attorno alla Falconera e di tanto in tanto si spingeva fino a Punta Sabbioni per vedere il faro. Lo incuriosivano le torri telemetriche e i forti: alcuni di essi erano stati costruiti già molti anni addietro mentre altri erano nuovi di zecca. Uno di questi in particolare attirò da subito la sua attenzione per l’imponente cannone che era stato posto sulla sua sommità. Nini non aveva mai visto nulla di simile, ai suoi occhi era la bocca di un drago pronta a sputare fuoco verso il mare. Nella sua testa immaginava epiche battaglie contro le navi nemiche ma a dire il vero non si era mai presentato nessun invasore dall’acqua. Solo una volta aveva visto un gran trambusto e all’osteria gli avevano detto che quel giorno il Re d’Italia era venuto a vedere coi suoi occhi quel prodigio. Non riuscendo a trattenere la sua curiosità un pomeriggio decise di far visita alla Batteria Amalfi dove si trovava il l’immenso cannone da guerra. Non potendo accedere alla zona fortificata si mise a gironzolare nei paraggi in cerca di un albero dove poter osservare meglio quello che facevano i soldati della guarnigione. Trovò un pino marittimo che sembrava adatto al suo scopo e vi si arrampicò fino a quasi la cima. Da lì sembrava tutto molto tranquillo e ordinato, niente a che vedere con le notizie che giungevano dal fronte. Nessun atto eroico o bombardamento verso il nemico, davano tutti l’impressione di essere in eterna attesa di un ordine o di un segnale da parte del comandante. Era passata meno di un’ora da quando si era messo di vedetta che sentì una voce da sotto l’albero urlargli: “Ehi tu, ragazzino! Che stai facendo lì sopra? Scendi subito dall’albero o ti facciamo cadere noi a colpi di fucile!” Nini non se lo fece ripetere due volte e, seppur in preda al panico, calò più velocemente possibile dalla pianta. “Che facevi lì sopra? Bada di non raccontare bugie, siamo in tempo di guerra e non abbiamo bisogno di spie tra le nostre linee!” gli disse il soldato. “Stavo solo ammirando il cannone signore, non sono una spia!” rispose con la voce che gli tremava dalla paura. “Questo lo deciderà il capitano, ora verrai con me senza fare storie e risponderai alle domande che ti verranno fatte.” Il soldato prese Nini per un braccio e assieme a due suoi commilitoni portò il ragazzo in una stanza all’interno del forte. “Aspetta qui e non muoverti, fuori è tutto sorvegliato, non faresti un passo oltre la porta se tentassi di scappare.” Il soldato uscì dalla stretta porta blindata e scomparve senza aggiungere altro. Nella testa di Nini mille pensieri si affastellavano, aveva lasciato il padre da solo per un bel po’ di ore fa e doveva ancora finire di fare i lavori domestici. In più non era ancora andato all’osteria a ricevere notizie del fratello e non aveva preparato nulla per cena. Era solo e non sapeva che fare, la paura per quello che poteva succedergli era minore dell’ulteriore dispiacere che poteva dare al padre. Dopo un tempo che al povero ragazzo sembrò infinito apparve un uomo in alta uniforme scortato da due soldati (tra cui quello che lo aveva trascinato fin lì). “E’ questo il prigioniero?” disse il comandante rivolgendosi all’uomo sulla sua destra. “Si, signore! Stava spiando la nostra postazione da sopra un pino marittimo.” rispose il soldato. “Chi sei? E’ vero quanto dice il soldato? Ci stavi spiando? Parla in fretta e sii sincero. Non ho pazienza con le spie e in tempo di guerra c’è la pena di morte per questo reato.” A Nini parve che il mondo gli stesse crollando addosso, cercò di non cedere al panico e rispose: “Mi chiamo Giovanni Righetto, figlio di Francesco. Abito alla Falconera e faccio il contadino. Non stavo spiando signore perché nessuno mi ha detto di riferire quello che ho visto. Ero solo curioso di vedere il cannone. Mio fratello è al fronte Orientale, non lo sento da qualche mese e volevo solo vedere cosa fanno i soldati durante la guerra. Non volevo infrangere la legge ma se devo pagare lo farò. Abbiate cura del mio papà che è vecchio e solo e non ditegli che ho disonorato il suo nome.” Detto questo trattenne a stento le lacrime ma gli occhi umidi non sfuggirono alla vista del comandante. “Come si chiama tuo fratello?” gli chiese. “Pietro Righetto, signore” rispose Nini. “Verificheremo se quello che hai detto è vero e poi prenderò una decisione”. Detto questo si girò e uscì dalla stanza assieme ai due soldati che richiusero la porta a chiave. Nini una volta solo sprofondò in un pianto silenzioso, non sapeva cosa sarebbe successo di lui e aveva paura che per la sua curiosità punissero anche il fratello. La stanza in cui si trovava non aveva finestre, solo una feritoia in alto dalla quale sentiva l’odore del mare vicino. Verso sera, quando la stanza era ormai completamente al buio il comandante ritornò. “Non dovresti gironzolare qui attorno senza motivo, non son tempi buoni per gli sprovveduti. In ogni caso la tua storia è vera e anche se non sei una spia dovrò prendere dei provvedimenti per il tuo comportamento. Hai oltrepassato il nostro perimetro di sicurezza senza autorizzazione. Immagino tu non sappia leggere ma i cartelli col teschio non servono ad addobbare la pineta. Non li hai visti?”. “Mi perdoni comandante, ma c’era scritto -Pericolo di morte- e io pensavo che fossero solo per il nemico.” disse Nini. L’ufficiale scoppiò in una fragorosa risata. “Quindi sai leggere…sai anche scrivere?”. “Sì, signor comandante.” rispose imbarazzato il ragazzo. “Bene, allora dovrai presentarti qui ogni mattino alle ore 6,30 precise, mi accompagnerai nel giro di ispezione della batteria e prenderai nota di quello che ti dirò. Lo trascriverai in bella copia e poi potrai tornare alle tue mansioni domestiche. Ti darò un lasciapassare che esibirai al cancello. Guai a te se lo perderai, siamo in molti qui e i miei soldati hanno ordine ben precisi su come gestire chi si trova nel perimetro della gloriosa Amalfi. Ci siamo intesi Righetto?” Nini non sapeva che dire, tutta l’ansia e le paure di qualche istante prima erano svanite ed avevano lasciato posto ad una gioia incontenibile. Ora poteva vedere da vicino il gigante di ferro che pure il Re era andato a visitare e avrebbe avuto sempre notizie fresche sull’andamento della guerra. “Si, signor comandante, farò come avete ordinato.” “Molto bene” disse l’ufficiale. “Ora torna a casa da tuo padre e riferiscigli che tuo fratello sta bene e si sta distinguendo per valore e coraggio al fronte. A domani e sii puntuale”. Nini tornò volando a casa, temeva che il padre fosse arrabbiato con lui per il tempo che era stato via e soprattutto per non aver fatto i lavori che gli spettavano. Trovò l’anziano genitore già assopito sulla sedia in cucina con i resti di un boccone di pane e una tazza mezza vuota di latte vicino. Il lume della candela era quasi spento. Nini lo prese sulle spalle e lo aiutò a coricarsi sul letto.”Dove sei stato?” gli chiese il padre con un filo di voce. “A cercar notizie di Pietro” gli rispose, “E’ vivo ed è uno dei migliori soldati del fronte, me lo ha detto il comandante della Batteria Amalfi in persona! Ora dormi e domani ti racconterò tutto”.

Il padre non diede molto ascolto alle parole del figlio ma si addormentò comunque con un sorriso sulle labbra, sperare non costava nulla a occhi chiusi.

Il mattino dopo, come promesso, Nini si recò alla batteria Amalfi e accompagnò il comandante nel giro d’ispezione. Prese nota di ogni osservazione e la trascrisse in ordine nel diario che gli venne fornito. Gli fu consegnata anche una divisa senza alcun grado e un lasciapassare. La sua felicità era al culmine e sentiva di far parte di qualcosa di grande e importante per la patria e per la sua famiglia. Imparò a conoscere ogni angolo della batteria e il funzionamento di ogni sua parte: la torre corazzata, le centrali elettriche e il motore diesel che alimentava il complesso meccanismo, i magazzini dei proietti e delle cariche, gli uffici e gli alloggi per la truppa e gli ufficiali, i lavatoi e anche le latrine. Ogni soldato ormai lo considerava un fratello minore e mai si era sentito così accolto e benvoluto prima. Il tempo non sembrava mai bastare durante le sue visite e ormai, oltre alla ronda mattutina, Nini tornava alla base ogni volta che poteva.

Passò così l’intera estate del 1917, tra le valli della Falconera e gli stretti corridoi coperti della Batteria Amalfi. La guerra che devastava l’Europa si faceva sentire soprattutto nei giornali e nei racconti all’osteria da Emidio. Al forte la vita sembrava trascorre uguale ogni giorno, con la routine che la carriera militare imponeva e i doveri dei soldati di continua vigilanza ed efficienza. Non un colpo era stato sparato dalla Batteria Amalfi (ad eccezione di brevi dimostrazioni e collaudi di tiro). Una grande attesa faceva fremere il cuore di ufficiali e plotone, un nemico invisibile agli occhi ma ben presente negli animi. Non conoscevano ancora l’orrore della trincea e del lento logorio dei giorni passati in prima linea ma si sentivano a loro modo privati del privilegio di essere protagonisti delle azioni eroiche che la propaganda nazionale sbandierava di fronte agli sguardi ammirati del popolo. Non conoscevano che questa mancanza che per loro era fonte di grande rammarico. Le battaglie sull’Isonzo infuriavano e ormai erano giunte all’undicesimo capitolo senza che fosse stato sparato un colpo dalla loro postazione. Ma il destino si sa ha un grande senso dell’umorismo: la più grande espressione del progresso bellico si trovava distante dal fronte, impossibilitata a muoversi, in attesa di riscattare la memoria dell’incrociatore Amalfi e dei suoi caduti in memoria dei quali era stata eretta. Quel giorno però sarebbe arrivato presto. Ottobre volgeva quasi al termine quando la notizia giunse come un lampo a ciel sereno: il fronte Orientale era in rotta! A Caporetto si era consumata la più tragica delle vicende che un esercito potesse affrontare. Dopo mesi di battaglia in trincea i reparti scelti delle milizie tedesche erano riusciti a penetrare oltre le logore linee italiane e avevano aperto la via alle truppe austroungariche che stavano avanzando velocemente lungo la valle dell’Isonzo. I soldati del Regno erano in rotta, senza un comando pronto a guidarli stavano correndo alla rinfusa al riparo oltre il la linea del Piave. Lasciavano dietro di loro armi e vettovaglie con la speranza di arrivare presto oltre il grande fiume per riorganizzarsi. Ma il nemico avanzava incalzante, la frenesia della vittoria aveva dato nuove energie alle truppe e presto sarebbero stati addosso ai fuggitivi. L’unica speranza per l’esercito italiano era riuscire a ritirarsi oltre la linea del Piave tagliando ogni via di attraversamento tra una sponda e l’altra. Ma il fronte era molto ampio e la speranza di reggere un ulteriore assalto in massa era ridotta al lumicino.

Nini in quei giorni si era recato spesso alla batteria per cercare di avere notizie sul fratello e sull’andamento della guerra ma tutto era molto confuso ed il comandante irrequieto. Si vedeva dai suoi occhi che una nuova consapevolezza del pericolo imminente si era insinuata in lui e non poter far nulla per aiutare i reparti in difficoltà sul fronte rendeva ogni giorno più pesante da sopportare. L’occasione del riscatto si presentò nei primi giorni di Novembre: la batteria doveva tenere sotto tiro i ponti sul Piave per impedire l’attraversamento agli austriaci. Nini ormai si sentiva parte dei ranghi e non voleva mancare nel dare il suo contributo. Ma i pezzi per caricare il cannone binato erano troppo pesanti per lui e non aveva nemmeno le competenze per poter manovrare o dare una mano puntare il bersaglio. Seguiva come un ombra il comandante ma ora che la guerra era entrata davvero anche nell’animo degli uomini alla base, nessuno aveva tempo per badare ad un ragazzino. C’erano cose più serie da seguire e ogni istante era prezioso per non fare guadagnare terreno al nemico. I colpi iniziarono a tuonare in direzione est-nord-est e lo spettacolo di quella macchina che fin’ora non aveva fatto sentire la sua voce divenne fragore e lampi e fuoco che squarciavano il buio della notte e offuscavano il sole durante il giorno. I proietti venivano caricati incessantemente e si continuava per ore prima di concedere riposo agli addetti ai pezzi ed anche alle canne della torre binata. Nella frenesia della battaglia il comandante non aveva dato tregua alla sua unità provocando il surriscaldamento del cannone. I colpi non risultavano più precisi ed anche la loro gittata era diminuita. Dovette forzatamente sospendere il bombardamento per poter procedere alle opere di manutenzione ma l’attesa di tornare operativi sembrava non finire mai. Quando finalmente si potè procedere alla pulizia delle canne però gli addetti si accorsero che la rigatura all’interno di uno dei cilindri di corsa dei proietti si era rovinata. Sarebbe stato necessario smontare parte della torre per procedere alle opportune opere di ripristino. La notizia era la peggiore che il comandante potesse ricevere: non c’era un minuto da perdere, il nemico avanzava inesorabile e la vita di migliaia di soldati era nelle sue mani. Non poteva permettersi di aspettare ancora ma non poteva neanche rischiare di mancare il bersaglio e lasciare via libera al nemico. La risposta alle sue preoccupazioni però si presentò di li a poco: Nini era tornato alla base preoccupato perché non sentiva più i colpi del cannone. Nella confusione del momento nessuno si era preoccupato di lui ed era giunto fin sotto alla postazione di tiro vicino al comandante. “Che succede Signore? Perchè non sparate più contro il nemico? Mio fratello è lì e ha bisogno di tutto il supporto che possiamo dargli” Disse il ragazzo con gli occhi lucidi. “Abbiamo bisogno di te Nini” disse il capitano. “E’ una operazione rischiosa ma solo tu sei abbastanza agile e sveglio per poterci aiutare, te la senti?”. Il ragazzo annuì di sì. “Una delle canne si è rovinata all’interno e abbiamo bisogno che tu ci entri per rimuovere le scorie che si sono depositate nella parte finale della culatta. Non è facile lavorare lì dentro: è buio, caldo, l’aria ti manca e di sicuro l’odore dei gas ti farà svenire se non ti muovi in fretta. Ma non abbiamo altre soluzioni e solo tu sei piccolo abbastanza da entrare lì dentro.” La risposta del coraggioso ragazzo non si fece attendere molto. “Si Signore, lo farò! Datemi solo le istruzioni su ciò che devo fare e porterò a termine la missione!”. Gli artiglieri che avevano assistito alla scena rimasero un po’ interdetti ma quando il comandante comunicò loro le istruzioni, diedero a Nini una tuta da lavoro, guanti, una mascherina e le indicazioni su cosa doveva fare. Con una scala lo fecero arrivare fino alla bocca della canna che si era ostruita e gli diedero uno scovolo di ferro per grattare le scorie che si erano formate. La difficoltà però era proprio quella di riuscire a rimuovere quelle più lontane che non si potevano raggiungere rimanendo all’esterno della bocca di fuoco. Nini entrava lasciando fuori solo parte delle gambe, grattava finché il respiro glielo consentiva e poi riemergeva ogni volta più nero e sporco. Da sotto i soldati guardavano ammirati il coraggio di quel ragazzo applaudendo per sostenerlo ogni volta che usciva per riprendere fiato. Nini lavorò duro finché non fu sicuro di aver rimosso tutte le scorie metalliche e come gli era stato detto ripassò l’interno della canna prima con una spugna bagnata e poi con una spugna asciutta. Si accertò di non sentire più nessun residuo e alla fine, stremato, scese la scala e fece segno che aveva completato il compito che gli era stato assegnato. I serventi al pezzo confermarono che ora il cannone poteva riprendere a tuonare contro il nemico garantendo il massimo della precisione. Il capitano non perse un minuto e diede ordine di puntare al ponte di San Donà, non doveva essere attraversato dal nemico a nessun costo. Lampi di luce squarciarono il cielo in direzione nord-est, una pioggia di fuoco si riversò lì dove ce n’era bisogno, quasi guidata da una invisibile mano centrò l’obbiettivo sbriciolando l’unica via di attraversamento del Piave che ancora era rimasta al nemico. In molti esultarono a quella visione di distruzione: i soldati in fuga poterono finalmente riorganizzarsi certi di non poter esser raggiunti, le torri telemetriche e il centro di comando confermarono che l’obbiettivo era stato centrato e che in molti sarebbero stati debitori verso l’intero reparto della Batteria Amalfi. Nini, ancora sporco e stordito dalla gioia della notizia accennò appena un sorriso e svenne stremato dallo sforzo che aveva sostenuto. Il comandante diede ordine di prestargli immediatamente soccorso e di dare priorità assoluta alle sue cure. Mandò anche una staffetta ad avvisare il padre dell’accaduto e a dare supporto all’anziano finché il ragazzo non si fosse ripreso. Dopo una settimana passata a letto finalmente Nini aprì gli occhi. I gas che aveva respirato lo avevano quasi avvelenato mortalmente ma il fato e le cure dell’ufficiale medico lo avevano salvato. Al suo capezzale trovò il padre, il fratello e il comandante che stavano vegliando su di lui. Pietro fu il primo a stringerlo in un abbraccio che al ragazzo parve infinito e per la prima volta anche l’anziano genitore cinse il figlio con tutte le forze che gli erano rimaste. Nini aveva atteso quel momento da sempre, la distanza che si era creata tra di loro finalmente era stata colmata. Quella notte di mare in tempesta in cui era nato era finita solo dopo anni: “Ex imo fluctuum contra hostes resurgo, 
Dalle prondità contro il nemico riemergo” disse il capitano “Questo è il motto della gloriosa Batteria Amalfi. E tu Nini, gli hai reso ancor più onore.”

Falconera Side Story – www.paciuk.com

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