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Ljubco sotto le mura  Un incontro

Ljubco sotto le mura Un incontro

Piazza Vittorio Veneto
14100 Asti
Racconti Biografici Racconti
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Ljubco sotto le mura – un incontro

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Vengo qui, tutte le volte che i miei genitori litigano.
Anche di sera alle volte, anche quando è buio e fa freddo e si vede poco perché c’è la nebbia.
Mi prende come una frenesia e mi tappo le orecchie per non sentire le loro urla. Poi scendo le scale, esco, attraverso di corsa Viale Partigiani e salgo le scale, verso le mura vecchie. Giro a sinistra e corro sull’erba a più non posso, fino alla scala che scende in Piazza Lugano.
Attraverso di slancio, proprio dove comincia Via Giobert, ma non entro nel parco da lì. Scendo ancora lungo il viale, passando davanti al bar, dove va a ubriacarsi mio padre. Arrivo alla cancellata verde e da lì, passando davanti alla lapide dei morti nella guerra, imbocco la stradina che fiancheggia il giardino dell’asilo, dove andavo una volta, da piccolo.
Sbuco nello spiazzo della pista in cemento e lì decido.
Se sono triste triste, mi infilo in un cespuglio che so io, appena un po’ in là, a destra : e aspetto che mi passi la rabbia grossa.
Se invece la corsa mi ha calmato abbastanza, risalgo il sentierino, verso le mura e torno indietro camminando, fino ad un prato, dove c’è una panchina messa di sbieco, vicino ad un pino gigante.
Se non c’è nessuno mi siedo o mi sdraio e guardo l’erba e cerco gli insetti che ci vivono. Se ci sono gli innamorati che si baciano, tiro dritto e vado verso la piazza e rifaccio magari due o tre volte quel giro, fintanto che il cuore mi si calma. Poi ritorno a casa.
Mi chiamo Ljubco, ho dieci anni e ho un cognome che sembra un codice fiscale, tutto pieno di consonanti , che la maestra non  riesce mai a dirlo giusto. Sono italiano di origine macedone. Ho sempre vissuto qui, ad Asti, nello stesso palazzo di Via Duca degli Abruzzi , che era un esploratore e veramente si chiamava Luigi Amedeo Giuseppe e altri nomi che non ricordo.
Mia mamma è bellissima ed è l’unica ragione al mondo per cui non sono ancora scappato via. Mio padre e mio fratello sono cattivi dentro. La trattano male, mio padre quando beve, la prende a sberle per un nonnulla  e  mio fratello che ha otto anni più di me, fa tutto quel che gli pare: l’altro giorno è arrivato a casa accompagnato da due amici, che non si teneva in piedi ed erano le otto del mattino. Ha vomitato dappertutto:” si è drogato troppo”, mi ha detto la mamma piangendo.
Comunque io quel vecchio l’avevo visto già tante volte.
Cambio discorso perché non mi va di piangermi addosso e se ho una famiglia così, se siamo immigrati, se loro non si sentono italiani nel cuore, se certe volte sono triste e corro accanto alle vecchie mura e vado nel parco dei Partigiani, sarà per via del mio destino e non posso cambiarlo.
Quel vecchio, ci va spesso nel mio parco. Di solito si siede su una panchina e guarda la gente passare. E’ alto e magro, tiene la schiena curva e le spalle sembrano alte, oppure è il collo che scende troppo e sembra abbia la testa incastrata come le tartarughe. Ha sempre dei pantaloni più grandi delle sue gambe, come fosse dimagrito improvvisamente: forse è dimagrito davvero, ma non ha i soldi per comprare dei pantaloni giusti.
Comunque è un vecchio elegante, si vede che si lava e si tiene bene in ordine. E’ sempre rasato e si pettina i capelli tutti indietro lasciando la fronte scoperta piena di rughe orizzontali: secondo me ha cent’anni. E ha gli occhi chiari: mi piacciono i vecchi con gli occhi chiari.
Prima o poi dovevamo incontrarci, perché facevamo come i cani quando si vedono da lontano e annusano l’aria, ma non osano avvicinarsi. Aspettavamo l’occasione.
Venne una sera di luglio, che erano le sette e mio padre rincasò arrabbiato e siccome la cena non era pronta si mise a gridare; presi la porta e me la filai. Forse quel giorno correvo davvero troppo forte, perché  dalla stradina dell’asilo arrivai a tutta birra sullo spiazzo con la pista di cemento e feci la curva verso destra a testa bassa, senza guardare: così andai a sbattergli contro. Per poco non lo buttai a terra. Si tenne in equilibrio con un’agilità che mi sorprese e la prima cosa che disse fu:
-Accidenti ragazzo quanto corri!
Mi piacque quel “ragazzo”. Non disse “bambino”. Detesto quando mi chiamano ” bambino”.
Lui disse “ragazzo”, con una voce rauca.
-Mi scusi signore..non l’ho proprio vista..
-Non ti preoccupare..andavi come una Ferrari..come ti chiami?
Glielo dissi e aggiunsi in fretta che ero italiano, ma immigrato, facevo le scuole elementari da sempre qui..la solita tiritera che mi veniva automatica, perché sentivo che in qualche modo dovevo giustificare il mio nome strano, dovevo certificare di essere normale, un italiano come tutti gli altri.
– Anch’io non sono di qui, vengo da Boves, un paesino vicino a Cuneo..sai dov’è Cuneo?
-Sì, ma non ci sono mai stato.
-Ma adesso che sono vecchio, sto in una casa di riposo; sai quei posti dove ci mettono i rottami..mia figlia abita qui ad Asti e per loro è comodo che io sia più vicino. Ma sto bene. Posso camminare, ho le gambe buone. Non veloci come le tue, però una volta lo erano, mi arrampicavo sui pioppi, pensa!
Lo vidi guardare oltre, oltre le mura, come fissasse un punto lontano. La maestra ci aveva insegnato un giorno il verbo inglese “to stare” e io chissà perché me lo ricordai in quel momento.
-Vieni .C’è una panchina libera- mi disse- raccontami un po’ perché corri tanto e vai a nasconderti dietro i cespugli..
Mi aveva visto. Sapeva che certe volte tiravo le pietre contro le vecchie mura. “Guarda che se le tiri troppo forte rischi di farle crollare, come la Baliverna di Buzzati” e sapeva che andavo sulla panchina dal pino e che guardavo per terra.
Io pensai che non m’importava che lui mi avesse spiato e che anzi era bello potergli dire certe cose. Gli raccontai le mie vicende e lui ascoltava attento, mi era facile parlargli delle mie paure e di come litigavano sempre i miei genitori e di come odiavo mio fratello. Diventammo amici.
Ci davamo l’appuntamento, in genere verso sera, perché lui diceva che prima faceva troppo caldo.
Scoprii che si chiamava Giovanni e che era stato un partigiano. Aveva il soprannome di ”Gianduia”.
-Io so tutto dei partigiani! Hanno combattuto per scacciare i tedeschi..stavano sulle montagne e quando è venuto il momento hanno liberato l’Italia..avevano i fazzoletti o rossi o blu..
-Io ho cercato soprattutto di portare a casa la pelle, roba preziosa.
-Quanti tedeschi hai ucciso? Ti hanno ferito qualche volta?
-Io facevo da mangiare, facevo il cuoco. Non ero bravo a sparare ed ero l’unico della mia banda che sapeva fare il pane e cuocere la pasta. Ho partecipato a qualche azione, qualche volta ho usato il moschetto, ma a dire il vero, non so se ho mai ammazzato qualcuno.
Mi raccontò che dopo un anno in montagna, la sua Divisione si spostò nelle Langhe e poi a Costigliole d’Asti, qui vicino. Mi disse che aveva conosciuto Giorgio Bocca e “Mauri”, che si chiamava Enrico ed era uno che gli piaceva molto, che aveva carisma.
-La vita poi è una combinazione strana. Ho partecipato alla liberazione di questa città, il 25 Aprile e ci son rimasto qualche giorno; poi ci sono tornato da vecchio, dopo aver vissuto sempre a Cuneo. Siamo arrivati prima noi, prima degli americani di Aull e Criwder, che entrarono ad Asti solo il 30. Il primo maggio ci fu un corteo, parlarono Barbero, Giacchero e Tino Ombra. Dovevi vedere che sfilate, quanta gente felice, che agitazione e.. sai come si chiamava il primo sindaco di Asti? Si chiamava Platone, come il filosofo greco: hai sentito parlare di Platone?
– Veramente no. La maestra ci ha spiegato la vita di Alessandro Magno, che era macedone e suo padre si chiamava Filippo ed era un donnaiolo con un sacco di mogli: Alessandro invece no.
-Voi macedoni siete strani.
-Ma io sono italiano! Io tenevo per i Partigiani e faccio il tifo per la Nazionale!
Un giorno, sulla panchina all’ombra, parlammo delle Antiche Mura e Gianduia mi spiegò perché le costruirono e tutte le trasformazioni che la Storia e gli uomini imposero a questi luoghi.
-E’ brutto quando non si ha cura della Storia. Guarda quante erbacce, quante “runsule”! Per fortuna la lapide per i caduti della guerra è proprio all’ingresso; hai letto quanti morti ci sono stati? 1203. Tanti eh? C’erano anche degli amici miei tra di loro, in guerra si perde anche quando si vince.
-Tu vieni qui quando ti senti di morire? Per morire vicino ai tuoi amici?
La mia domanda lo fece pensare qualche minuto. Mi piaceva vederlo riflettere: metteva l’indice di una mano sul lato della bocca, il palmo sotto il mento e aveva lo sguardo perso, lontano.
-Sei abbastanza grande per capire. Sai, io mi sono sposato e ho avuto due figli. Ho sempre amato mia moglie, fin quando la malattia l’ha portata via. Ma qui, proprio vicino a queste mura, laggiù dove adesso c’è un campo di tennis, in quei giorni ho amato una donna come mai più mi è successo. Ti ho detto che erano giorni frenetici e lei divenne la mia donna, solo per quei giorni.
-Come si chiamava?
– Agnese. Proprio lì mi diede un bacio, come nessuna donna mi avrebbe più baciato. Mi amò per un attimo, di un amore così grande.. come dovrebbe essere l’amore fra un uomo e una donna e tu sai bene che non è così, lo vedi a casa tua: anche i tuoi si amavano, poi il tempo cambia le cose..
-E non potevi fidanzarti con lei?
-Tornai a casa e le scrissi decine di lettere e mai mi rispose. Misi il cuore in pace e dopo qualche anno conobbi la mia Maria e la sposai. Non ho più cercato di ritrovarla; la ricorderò sempre così, felice, con la schiena appoggiata alle mura.. i capelli d’oro..che sorrideva e mi baciava.
-Allora, anche durante la guerra le persone si volevano bene- per me era stravagante pensarlo.
-La guerra è una faccenda di uomini. Sai, c’è un libro di Tolstoj in cui ad un certo punto, un soldato russo, ferito gravemente, vede Napoleone in persona e in quel momento non gliene frega niente: il suo sguardo va oltre, vede il cielo azzurro. Oltre. Oltre il dolore, oltre il sangue, oltre il futuro. Quando  hai la mia età,  il passato è più limpido del presente e i ricordi ti riempiono le giornate, ti fanno ritornare giovane.  Ti fanno sognare, volare. Oltre le mura. Oltre. –
Io lo capivo. Capivo tutto. Anche io spesso, volavo oltre le Antiche Mura.

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  1. Graziano Isaia
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    Ho anche il piacere e l’onore di conoscere l’autore, ma è la prima volta che leggo questo suo racconto. Lo trovo straordinario in tutti i sensi. Molto coinvolgente e ben costruito. Complimenti e grazie per averlo condiviso. Forse proprio nella filosofia del sito, ora mi è venuta una gran voglia di conoscere meglio Asti. Bellissimo il personaggio del bambino italiano-non italiano. C’è materiale per farne almeno un racconto lungo e un cortometraggio.

    7 anni fa

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