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L’unico suono. È il ritmo delle chiavi nella tasca del montgomery, segue quello dei passi a falcate irregolari. La strada dritta e sola, a una corsia, sembra portare ad altre strade dritte che non finiscono mai, da una parte della carreggiata ci sono campi di terra argillosa e dall’altra il Po, pachidermico e quieto. Solo la brina rifrange l’estenuata luce del mattino padano. Come sia potuto succedere continua a non spiegarselo, come si sia potuto sublimare il ruolo che occupava nel mondo: da figlia viziata di famiglia messa bene a moglie di Ilir. Ogni giorno Viviana percorre il segmento di asfalto sporco che da Stienta porta a Occhiobello. A Stienta vive, a Occhiobello lavora. Pulisce le notti degli ospiti di un alberghetto, per lo più ciclisti che costeggiano il grande fiume. Alcuni puntano alla foce e hanno bisogno di una tappa intermedia per riposarsi, così le notti di pernotto non sono praticamente mai più di una. Fabia, la cuoca dell’agriturismo, sorella di Giusto il proprietario, cucina ogni sera per gli dei, ha un tocco strepitoso, specie con la cacciagione. ‘Sti ciclisti, però, non si nutrono come Fabia vorrebbe, non apprezzano, così quasi sempre, nel primo pomeriggio, Viviana se ne torna a Stienta con una bella busta di buon cibo avanzato dal giorno prima. Spesso sulla strada incontra il pickup furgonato della ditta di Ilir che torna dalla giornata e quando a bordo c’è posto, i colleghi di lui le concedono un passaggio fino a casa.
Oggi Viviana si sente strana. Bhò, non saprebbe dire, come… ingarbugliata. Ieri le ha prese di santa ragione ma è riuscita a riposare e la cosa è ottima, di solito resta sveglia tutta notte e al mattino molto presto si prende il tempo per coprire con cura i segni, per provare alcuni sorrisi credibili allo specchio, per preparare quel che è possibile preparare, se c’è da preparare, per il piatto della sera e dopo raggiungere Occhiobello. Oggi invece s’è svegliata persino tardi ma  si sente così, appunto, ingarbugliata. Ha dolore alla coscia destra anche, è questo che la fa ritardare di un quarto d’ora. Ma Giusto non s’arrabbia, non s’arrabbia mai in verità e anzi, capisce e ha sempre capito qualche volta dandole, nei pochi discorsi concessi, dei ganci a cui aggrapparsi, come a suggerirle la possibilità di sfogarsi e finalmente dire tutto.      Ingarbugliata e zoppicante giunge in albergo. All’ingresso trova movimento, è arrivata una coppia. Non ciclisti. Lui porta le valigie dall’auto, lei è nella piccola hall che sorridendo parla con Giusto. Viviana passa in silenzio la soglia del portonaccio e per il troppo far caso ai capelli luminosi della donna, inciampa riprendendo subito l’equilibrio. La donna e Giusto si accorgono di lei. La donna voltandosi, spaventata per il rumore sulle travi, lancia un gridolino, si precipita in direzione di Viviana, ora la tiene da un braccio chiedendole se è tutto apposto, se sta bene. Viviana nota il pancione della donna: enorme. Per un istante, uno, si meraviglia di come il viso della donna sia subito diventato sereno, premuroso, materno. Viviana si rià, risponde che sì, è tutto ok, la ringrazia. La donna accenna assenso e lascia andare il braccio di Viviana come fosse un pezzo porcellana finissima.
Sono due giorni che non ci sono ospiti ma, anche quand’è così, Giusto vuole che Viviana torni ogni mattina in albergo per aiutarlo in certe faccende. Per esempio da un mese sul retro ha costruito una legnaia e bisogna spaccare i ceppi e sistemarli lì dentro. Lui taglia, Viviana sistema. Non è un lavoro duro.
Arrivata l’ora di pranzo Fabia suona la campana che Giusto le ha sistemato in cucina per evitare che urli che il piatto è a tavola. In passato l’ha fatto pure coi clienti. A tavola Giusto racconta che quella arrivata in mattinata è una coppia davvero molto piacevole. Sono entrambi nel campo della distribuzione alimentare, la loro azienda organizza e rifornisce mense, catering per grandi eventi, scuole e caserme. Lei è alla fine dell’ottavo mese, lui ha deciso di fare dei viaggi minimi, fermarsi ogni due giorni in posti minimi, come l’alberghetto. Vuole che i gemelli nascano dove si trovano. Possono permetterselo, aggiunge sollevando assieme spalle e sopracciglia.
Giusto chiede a Viviana come mai zoppica un poco, lei risponde brevissimamente che ha preso una storta, anzi, che è colpa dell’inciampo della mattina. Giusto bofonchia un suono gutturale guardandola sottecchi. Nel primo pomeriggio Viviana spazza l’ingresso e il cortile poi Giusto le dice che può andare e aggiunge che anzi, le darà un passaggio, tanto ha finito per oggi, non ha da fare null’altro.
In auto c’è per entrambi una sensazione come di tempo sospeso. La Ritmo singhiozza su alcune zolle di terra staccatesi dalle ruotone di un trattore uscito dai campi. Cigolano gli ammortizzatori.
«Perché porti di continuo le mani al ventre, Viviana?»
«Sarà per quello che abbiamo mangiato a pranzo»
«Eh no. No no no. L’ho notato da questa mattina»
«Allora qualcosa della cena di ieri… »
«Viviana… »
«Non lo so Giusto, non ne ho idea»
«E zoppichi… »
«Sono inciampata all’ingresso questa mattina, c’eri!»
«Viviana… Ilir?»
«È a lavoro»
«No dico, Ilir!? È stato lui?»
Ma il portone della casa di Viviana è già accanto alla portella del passeggero, così ne approfitta e senza rispondere alla domanda di Giusto lo ringrazia, spreme un sorriso e via.
Sente aprire la porta d’ingresso, Ilir è tornato e adesso la chiama. «Vììììì… dov’è che stai??? Ho già fame… Vììììì!» La porta si richiude. Sente Ilir ridere con i ragazzi del gruppo del lavoro. Sente che si rimettono in macchina, sull’uscio l’avranno convinto a un altro giro di birre. Viviana sente l’auto che s’allontana. Poi, facendo un poco di forza sulle braccia sottili, solleva il capo dal water. Si gira, s’appoggia al lavabo e si fa grondare dell’acqua fresca sul viso. Lo specchio le deforma la zona della bocca, pare le si stiano per sciogliere le labbra. Sembra una madonna bizantina, Viviana, adesso. I pensieri passano velocissimi, al contrario delle sue azioni, rallentate, esauste. Nel silenzio distratto dal gorgogliare della caldaia si ritrova a domandarsi cos’è quella vita e si sorprende a rispondersi che una vita si fa e basta. La vita succede e bisogna lasciarla fare. E allora ecco, nella luce della plafoniera, seduta sul pavimento gelido, ecco, vede finalmente il fondo di tutte le cose. L’arrivo e la partenza dell’abisso dall’abisso, il non sondabile. Il letto dell’esistenza sua o la propulsione per risalirla di slancio, fino alla riemersione.

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