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Emelia Russell Gurney

Emelia Russell Gurney

Lungomare d'Ortigia
Siracusa
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Emelia Russell Gurney

visita su Google street view  

 

Carissima Ellen,
sono davvero in Sicilia, nel punto più lontano del mio viaggio iniziato in questo stesso giorno oltre tre anni fa. Da allora sono sempre andata alla ricerca del sole. Non ho mai avuto rimpianti nell’aver lasciato l’Inghilterra. La mia casa fredda e umida a Kensington Palace, nel cuore di Londra, è un ormai lontano ricordo. Che viaggio indimenticabile. Aggiungo che viaggiare in treno lo ha reso ancor più delizioso. Attraversare vigneti, uliveti e campi di grano seduta accanto al finestrino mi ha immersa in scene strane e ammalianti, mescolate ai miei sogni ricorrenti.
Le montagne siciliane tagliano le nuvole. Le nevi dell’Etna vi splendono di sopra, a nord. Il mare invece è di un blu intenso, che si increspa con la schiuma bianca delle onde a sud. Sulla strada ferrata da Agrigento a Siracusa il treno ha fiancheggiato estesi giardini di limoni e un lungo viale di gelsi e fiori selvatici.
Mentre ci avvicinavamo, la linea di case che guardava il mare sembrava appena sbalzata dalla banchina del porto. La città mi ricorda Genova, ma più piccola e con qualcosa non usuale, un’atmosfera orientale. Ho sempre pensato che Siracusa avesse un suono e un prestigio meraviglioso. E così è. Ho appena scoperto della sua lotta con Atene e della sua vittoria. Prima ricordavo l’episodio solo come qualcosa di vago, che avevo studiato al liceo. Bene, adesso questo capitolo della storia antica vive e si illumina proprio di fronte a me. Il contatto reale mi emoziona, riportandomi indietro nel tempo. Cave di pietre e rocce rovesciate diversificano il terreno e poi mandorli, limoni e piante sconosciute lo abbelliscono. Questi luoghi – chiamati Latomie – sono stati usati come prigioni. Di fatto l’intera città è stata costruita dalle pietre di queste cave. In una di esse si dice che circa settemila prigionieri ateniesi siano stati incarcerati. Le Latomie costituiscono, senza ombra di dubbio, uno dei luoghi più belli e suggestivi di Siracusa, dove l’affascinante spettacolo naturale si fonde con l’intervento umano e con più di due millenni di storia.
L’area che abbiamo esplorato la sera del nostro arrivo è chiamato II Paradiso. Le luci e le ombre della sera aggiungevano mistero e fascino alla scena che mi si è presentata davanti. Un giardino lussureggiante con alti precipizi che tengono lontani i venti e un grembo in cui ogni pianta può crescere senza controllo fino alla sua bellezza ideale.
Le rose si arrampicavano dappertutto. Alberi di mandorli e fichi dalle grandi foglie abbellivano i contorni dei massi caduti. I sentieri tortuosi e aggrovigliati e le piccole terrazze erano invece bordati di garofani speziati. L’edera rivestiva alcune pareti e incontrava fiori rampicanti. I profumi irresistibili e il canto incessante degli usignoli ci hanno inebriato. Non ho mai sentito cantare usignoli come questi.
Immaginavo, cara Ellen, il violento contrasto di quel canto dolcissimo con i lamenti dei prigionieri schiavizzati dai siracusani.
Ci siamo spostati poi nella zona archeologica vicina per visitare un’enorme caverna dall’entrata stranamente sagomata, che chiamano Orecchio di Dionisio. Il custode che ci ha aperto in maniera del tutto eccezionale vista l’ora, gentilmente ci ha accompagnato per tutta la visita. Con una strana voce che sembrava provenire dagli oscuri recessi della caverna ci ha narrato storie antiche.
Il signor Labat – il buffo francese di cui ti ho scritto nella mia precedente lettera – era molto eccitato. Con una mano guantata e l’altra spoglia non faceva che ripetere:
Regardez, regardez, mesdames, quel point de vue! Mais c’est magnifique.
Poi, dopo un profondo sospiro, di nuovo:
C’est magnifique!
La straordinaria eco moltiplicava il suo magnifique all’infinito.
La mattina seguente un vento caldo carico di sabbia ci ha accompagnato in una lunga camminata a piedi verso l’altura di Epipole, da dove i greci siciliani furono messi sotto assedio dagli Ateniesi.
Abbiamo contemplato i frammenti delle mura e i meravigliosi corridoi, scavati nella roccia, che qualcuno del gruppo confermava fossero delle caserme all’epoca della guerra. Dalla vetta lo sguardo è sceso giù fino ai cinque quartieri di Siracusa che si estendono fino all’isola lunga e sottile di Ortigia.
Il proprietario del piccolo ma decoroso albergo che ci ha accolti mi ha raccontato una leggenda straordinaria. Sembra che si tratti della stessa isola dove la ninfa Asteria, di cui si era invaghito perdutamente Zeus, ha trovato riparo dalla vendetta della gelosa Giunone.
La Sicilia è greca, talmente imbevuta di cultura ellenista che mentre sedevo sui gradini consumati del suo teatro scavato nella roccia mi è sembrato di ridestare dalla polvere della storia morta un tocco dell’epoca passata: ventiquattro secoli fa. E almeno per quelli che come noi non sono storici ma la storia la amano comunque, ciò suscita un’infinità di domande e di meraviglie. Lo stesso brivido provato quando ero stata ad Atene, ora, in quel teatro di Siracusa, mi attraversava di nuovo. Non mi stupisco affatto che molte signore su quest’isola di Sicilia pur se con fatica, pericolo e disagi ci vorrebbero ritornare. La bellezza multiforme di questi luoghi è inesauribile. Ammetto, mia cara, che non prenderei mai la residenza in Sicilia, la gente è spesso collerica, ma la combinazione degli ideali saraceni, greci, bizantini e normanni mi trattengono qui adesso per un lungo periodo. Non so come spiegartelo. Dovrei prendere in prestito la penna della Gaskell per descriverti le vibrazioni che si provano in questi luoghi magici.
A presto, ti abbraccio forte zia Emelia.


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