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Una donna mille virtù

Una donna mille virtù

65025 Serramonacesca (PE)
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Una donna mille virtù.

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Nel corso della mia vita ho avuto modo di conoscere una donna straordinaria, molto spesso le sono stata accanto, mi sedevo vicino a lei e stringendomi la mano mi raccontava le vicende del suo passato.
Restare lì con la sua memoria messami a disposizione, solo successivamente assimilai che mi stava regalando un grande privilegio ed è proprio per questo che adesso apprezzo i veri valori.
Oggi purtroppo la vita t’impone di avere lo sguardo rivolto al futuro e mai al passato, se lo si fa o è per rimpianto o per un dolore vissuto ma con lei era come fare un tuffo nel passato, è stato  un poco a poco riscoprire le mie radici, di momenti di storia e di esperienze di vita vissuta, ma la cosa più emozionante è stato poterlo guardare con i suoi stessi occhi.
Siamo in Abruzzo, terra ricca di particolari, dove dominano da un lato le montagne e dall’altro il mare, florida nell’arte, con molti santi e feconda di numerosi artisti, in un piccolo paesino ai piedi della Maiella, Serramonacesca di Pescara, nacque appunto Ilde nell’anno 1928 e se ne andò nel 2015.
Lei era la penultima di cinque figli, sua madre si occupava di essi e della loro piccola dimora, suo padre coltivava un fazzoletto di terra e vivevano solo di questo piccolo raccolto, possedevano una tessera data dal comune che gli consentiva di ricevere al mese provviste di cibo, ma purtroppo le bocche da sfamare erano tante e finiva tutto nel giro di pochi giorni.
Mi descriveva che si dividevano un piccolo pasto tutti assieme, veniva dato qualcosa in più a chi era più debole, con il sorriso sul volto diceva che c’era una sua sorella in particolare che si lamentava sempre dalla fame e, quindi verità o no, era quella che mangiava di più.
La povertà era tale all’epoca da poter rendere avare le persone, ma nonostante fossero molto poveri, la loro famiglia era sempre tanto generosa, piena di gesti affettuosi per quello che l’educazione acconsentiva.
Da quando aveva dodici anni prestava servizi di pulizia saltuariamente presso una famiglia benestante del luogo; diceva che non arrivando al lavandino usava un trespolo, era disposta a fare l’adulta pur di aiutare la sua famiglia, anche se lei possedeva una fisicità così minuta fin da quel momento diventò già una grande donna.
Mi narrava che in quel tempo l’Italia prese parte alla seconda guerra mondiale già in corso da un anno, erano gli anni 40, successivamente nel 1943 i tedeschi occuparono militarmente il nostro Paese, in particolare l’Abruzzo che si riteneva sempre al di fuori dagli influssi economici e politici, sopratutto per la sua particolare collocazione geografica.
Le persone di quel luogo si davano false speranze che la guerra non sarebbe mai arrivata, invece arrivò e cambiò decisamente la fisionomia di paesi e città, ma soprattutto il cuore delle persone, contando tantissime migliaia di morti solo in questo territorio.
Tutto questo accadde quando in guerra conquistarono Lanciano, i tedeschi decisero di rinforzare le proprie difese tra la Maiella ed Ortona mare, fu allora che il paese di Serramonacesca fu insediato da carri armati e munizioni, i germanici si erano appropriati di varie strutture del luogo dove far ristorare i loro cavalli.
Raccontava che in paese erano rimasti solo donne e bambini, suo fratello appena maggiorenne infatti fu subito reclutato contro il nazifascismo, fortunatamente lui ne uscì indenne, i bombardamenti si sentivano molto vicino, erano raccolti nei loro piccoli vicoli e mostravano a completamente la loro paura, perché i combattimenti si svolgevano nei paesi circostanti.
Lei la notte si stringeva con le sorelle nel loro piccolo giaciglio, dove pregavano incessantemente, per il terrore e la speranza, che tutto questo presto sarebbe finito al più presto, mi specificava che il giorno e la notte si confondevano, nel cielo c’era un colore nero come la pece, segno che la strage stava proseguendo.
Loro pregavano tanto Sant’Onofrio, coraggiosamente si incamminavano per il sentiero di sassi per raggiungere l’eremo del Santo, fu costruito dai monaci benedettini a circa 700 metri di altitudine come luogo di ritiro spirituale ed è come abbracciato da una grossa pietra che al tempo stesso lo nasconde, si narra secondo la leggenda che il beato avrebbe lasciato impresse le proprie impronte  proprio sulla roccia.
Questo percorso era lo stesso che conduceva alle linee alleate ed è sempre qui che erge maestosa l’Abbazia di San Liberatore a Maiella, antico monastero benedettino costruito tra il 1000 e il 1300, che sembra non sia stato danneggiato dalla guerra, anche se nel corso del tempo ha comunque conservato straordinari valori spaziali ed architettonici.
Questa bellissima chiesa medievale si sviluppa sopra Serramonacesca, infatti il nome di questo paese è nato appunto da “serra dei monaci” per la loro significativa influenza; questa abbazia è immersa nei boschi, vicina al fiume Alento, un fiume piccolo e veloce che nasce proprio in questo territorio e scorre nel cuore del Parco Nazionale della Maiella, per questo suo spettacolare scenario tra arte e natura questa chiesa tutt’oggi viene considerata una delle più belle dove celebrare il proprio matrimonio.
Tra questi luoghi immersi nella natura l’ira potente dell’essere umano si placa, finalmente nel 1945 l’Italia venne liberata, la guerra era finita e la vita riprendeva nuovamente vigore, mentre regnava dominante la miseria.
In occasione fu istituito un protocollo italo – belga nel 1946 il quale assicurava il trasferimento di lavoratori per il miglioramento delle loro condizioni di lavoro; molti uomini ed intere famiglie emigrarono dall’Italia per trovare occupazione nelle miniere di carbone.
Iniziava a parlarmi con voce emozionata di un uomo di nome Antonio che nel 1947 decise di emigrare come molti dei suoi compaesani in Belgio.
Antonio nasce nel 1925 a Forcella nel comune di Teramo, cessò di vivere nel 1971, i suoi genitori avevano anche un’altra figlia e suo padre era un militare dell’Arma.
Lei continuava nel suo racconto, mi raffigurava il paesaggio di Forcella che spunta su una delle colline della vallata del fiume Vomano, con una vista che spazia dal mare Adriatico a tutto il massiccio del Gran Sasso fino ai monti Sibillini.
Che il tempo scorre svelto e molti abruzzesi si trovano in quel punto a lavorare insieme proprio sotto le miniere, lì lui già ventisettenne nutriva un forte desiderio, quello di sposarsi, successivamente chiede ai suo connazionali di voler conoscere proprio una donna abruzzese e gli indicarono proprio lei, la giovane Ilde.
Così ebbe inizio una corrispondenza con essa.
I due si spedirono le loro foto, si apprezzarono molto e iniziarono la loro breve corrispondenza  fatta di lunghe lettere d’amore e di tenerezze, s’innamorarono perdutamente, così decisero di sposarsi e lo fecero per procura.
In quei tempi questa formula di matrimonio era molto in uso ed avveniva senza lo sposo.
Questa donna ardita parte e va, in Belgio a raggiungere il suo sposo con una borsetta colma di sogni e nel 1952 iniziarono la loro vita matrimoniale.
Dove diedero alla luce con gioia le prime due figlie femmine, Rita e Maria Teresa; il loro primo maschietto purtroppo morì appena pochi giorni dalla nascita, a causa di una malformazione cardiaca ed è stato per loro un dispiacere immenso che quando nacque il loro quarto figlio lo chiamarono con lo stesso nome di battesimo, Carlo. Entrambi erano ignari che avrebbe avuto lo stesso identico destino nell’arco vitale.
Nella loro permanenza in Belgio ci fù il crollo della miniera di Marcinelle nel 1956, dove furono coinvolti molti abruzzesi, Antonio per sua fortuna si trovava in un’altro luogo, situato nella regione della Vallonia, La Louviere.
Suo marito Antonio iniziò a non sentirsi bene per via del suo lavoro sotto le miniere, iniziò la sua malattia polmonare e difatti prese servizio in superficie come addetto alle manovre, ma purtroppo il suo stato di salute continuava a peggiorare , i polmoni erano ormai compromessi da quelle polveri sottili e lo esonerarono dal lavoro come invalido nel 1961.
Tornarono in Italia con i tre figli, nel paese natio di Ilde, la “serra dei monaci”, acquistarono tre stanze di casa disposte una sull’altra e un pezzettino d’orto, era attigua ad altre case disposte come a sostenersi l’una con l’altra, dentro ad uno stretto vicolo in prossimità del centro del paese.
Lì nacque il loro ultimo figlio maschio, di nome Riccardo.
Timidamente mi dice che il suo amatissimo marito era molto dispiaciuto per la sua malattia, che lo rendeva incapace di lavorare, tanto da rifugiarsi molto spesso con gli amici al bar, non faceva mancare nulla in casa e voleva far vivere una vita dignitosa a lei e ai suoi quattro figli, con i quali era molto amorevole.
Un giorno rientrando a casa ebbe un malore e si accasciò sul pavimento, non ci fu nulla da fare per le gravi complicazioni cardiache, Antonio morì improvvisamente, è la fine dell’ anno 1971.
Me lo disse così, con la voce roca, quasi a sussurrarmi anche tutto il suo dolore, l’anima stretta tra quelle braccia raccolte a se stesse, la figura immobile come se volesse fermare il tempo a prima dell’accaduto.
Ilde è rimasta sola con i suoi figli, tre erano giovani ragazzi, l’ultimo però era ancora un bambino, erano molte le difficoltà per andare a scuola e non solo per la distanza ma anche per le spese da sostenere.
Essendo per lei basilare la loro istruzione, mi ripeteva che i suoi figli venivano al primo posto e poi tutto il resto,  tanto che si è sacrificata per loro fino al suo ultimo respiro, privandosi di quello che lei diceva “non necessario”, ha sempre cercato di sollevarli da qualsiasi problema nel bene e nel male.
Pertanto preparò le valigie e decise di andare a vivere a Pescara nel 1972, in un appartamento in affitto a Pescara, la trovarono nei pressi di viale Gabriele D’Annunzio, una strada principale del quartiere di portanuova che va verso il ponte di ferro, nella parte opposta c’è il centro della cittadina, sotto questo ponte scorre un fiume omonimo della città e sfocia subito dopo nel mare Adriatico, sulla costa abruzzese che si estende per decine di chilometri.
La via scelta prende il nome da uno dei più grandi scrittori d’Abruzzo, lì poco distante c’è la sua casa natale, attualmente divenuta aperta al pubblico ed è considerata monumento nazionale, anche il bosco costiero la Pineta D’Annunziana è così denominata perchè Gabriele D’annunzio spesso si recava lì in cerca d’ispirazione.
 
Nel 1973 Ilde per gioire dell’essere diventata per la prima volta nonna era intenta a preparare il timballo, quello di crepes di origine teramane, come da tradizione del suo caro defunto marito, preparava anche della pasta che tirava con il matterello con maestria sullo spianatoio.
Il suo solo palcoscenico sono stati i figli, i suoi sette nipoti e i tre pronipoti; tutti hanno corso per le stanze della sua casa tra gli scherzi e le risate, dove nell’aria si respirava il profumo delizioso del parrozzo che cuoceva nel forno, anche se non era Natale.
Il parrozzo detto anche “pane rozzo”, è un dolce natalizio tipico pescarese, molto amato da Gabriele D’Annunzio che gli diede suddetto nome e gli compose un sonetto, questa specialità fu creata dal pasticcere Luigi D’Amico ed ha una forma di una mezza sfera ricoperta di cioccolato.
Trascorse i suoi anni così, mettendosi sempre al servizio degli altri, non si è più sposata e ha condotto una vita continuando ad onorare il marito e i suoi cari.
Nel 2013 purtroppo subisce la perdita di suo figlio Carlo, come il suo piccolo bambino molto tempo addietro entrambi per infarto cardiaco, come uniti dallo stesso destino; in quei soli momenti di abbandono mi diceva con un filo di voce che la morte di un marito la si può accettare mentre quella di un figlio è assai difficile.
La vita di Ilde è stata costellata dai suoi numerosi sacrifici, dal dolore del lutto e dalle delusione per determinate scelte dei figli ed anche dei suoi nipoti, mettendo in luce la precarietà dell’esistenza umana; lei tutto questo lo sopportava sempre con il sorriso sulle sue labbra
Di come abbia saputo affrontare la vita nella sua solitudine come moglie e madre non lo so, ma nel suo insieme era una donna esemplare; lei era cuoca, sarta, un’eccellente economa, persino infermiera, anche se tutto quello di cui disponeva era il suo carattere risoluto, possedeva dentro di sé tutte le virtù di una donna ma quella che più la contraddistingueva era la sua grande forza di volontà.
Del suo tempo scandito da lunghi silenzi nelle ore di preghiera, con la testa china e la sua corona stretta tra le mani, anche il suo essere cristiana era speciale: è stata pellegrina di numerosi santuari, erano questi i suoi soli momenti per se stessa, non per distrarsi ma era del tempo dedicato a godere di cose ben più profonde, come il mistero della fede.
Negli ultimi anni della sua vita ogni domenica sono andata a trovarla, ogni volta è stata una lezione di vita, con svariati temi, lei era una donna molto acculturata pur non avendo studiato, le sue parole erano sagge, non era come quando si andava a scuola, uscivo da lì ricca di qualche valore in più, la sua compagnia era dolce, era bella.
In fin dei conti la realtà t’insegna molte più cose dei libri, puoi studiare tutte le materie del mondo ma rimane la vita il miglior testo sul quale poter studiare, il miglior argomento, ho compreso che tutte le persone anziane sono tesori di storia per l’umanità, di tutto quello che si può racchiudere nell’animo di una persona.
Chi ha qualcosa da donare te lo dona, chi ama profondamente la propria terra poi te la fa amare con la sua relativa storia, con la bellezza della sua arte in tutte le sue sfumature, l’Abruzzo, Serramonacesca in particolare, è nel mio cuore, per questo è stato anche teatro del mio matrimonio.
Io questa donna di nome Ilde l’ho conosciuta qui a Pescara nel 1975, l’anno in cui sono nata; era la mia nonna. Nonno Antonio non l’ho mai conosciuto ma lei non mi ha mai fatto sentire la mancanza della sua figura, semplicemente riempiendola con la sua essenza.
Ha combattuto fino alla fine contro la sua malattia, tutto questo tempo per vedermi finalmente sposa lì nella “serra dei monaci”.

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  1. Francesco sisto
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    Un racconto bellissimo, vero profondo, coinvolgente, mi sono sentito preso per mano dolcemente e portato li ad ascoltare le vostre conversazioni. E come anime che si liberano nell’aria di Serra dei monaci volare sull’incantevole paesaggio abruzzese fino ad arrivare al mare di Pescara

    6 anni fa
  2. Rita
    Originalità

    Coinvolgimento

    Stile

    Un racconto da leggere tutto d’un fiato…incantata dalla maestria di saper coniugare storia, emozioni e ricordi di vita. Una storia che sottolinea le potenzialità e complessità del mondo femminile.

    6 anni fa

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