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38066 Riva del Garda
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Ci pensi mai

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Si vedeva la strada scavata nella roccia, metà nell’ombra, metà nel sole. Lo sapeva che dal porto quella linea si riconosceva come una cicatrice obliqua nella montagna, un segno indelebile che se ne andava solo con il buio. Oltre quel muretto basso le agavi ed altri arbusti selvatici si arrampicavano al precipizio e laggiù in fondo spumeggiava il lago attorno alle rocce, verde come l’occhio di un gatto in un pomeriggio di sole. C’era una vela bianca in lontananza che passava sull’acqua quieta eppure costante, come il risucchio di un battito. Un tum tum lento, sempre uguale, che si spezzava soltanto nei luccichii abbaglianti verso sud.
«Ci pensi mai alla morte?»
«No» rispose il vecchio.
«Io sì» continuò lei.
Il vento freddo le sferzava i capelli anche se c’era un sole che nessun dicembre avrebbe previsto per sé stesso. C’era odore di erbe, di terra secca e polverosa, come un primo giorno d’estate.
«E che cosa pensi?» chiese lui.
«A come potrebbe essere lasciare ogni cosa. O a come ci si potrebbe sentire un secondo prima e uno dopo. Di tutta la tua esistenza ti resterebbe soltanto quello per cui hai vissuto. E magari scopriresti che non ne è neanche valsa la pena.»
«Che cosa?»
«Dare tutto.»
Guardò il precipizio sotto di lei, quel verde e quell’azzurro che lo facevano sembrare una fetta di paradiso messa lì in segreto. Silenzio lì e anche laggiù in fondo, su quella piccola lingua di sabbia e di roccia inaccessibile. E poco più sopra la strada abbandonata, con i suoi muretti che tentavano di resistere alla delicata e insistente usura degli anni.
«Se dovessi buttarmi da qui sono sicura che ci metterei così tanto a cadere che mi ricorderei anche le cose che mi sono dimenticata. Ma alla fine, anche di questo sono sicura, un secondo prima di toccare l’acqua, penserei a quello che mi ha spaccato in due. E’ sempre così, le cose belle passano senza fare rumore ma le cicatrici non finiscono mai di urlare.»
Il vecchio sorrise. Non aveva denti ma gli occhi erano del colore del lago in certe albe tranquille: azzurri e trasparenti, lucidi per il vento o per la commozione.
«Ci pensi mai a cosa vuol dire resistere?» chiese.
«No» disse lei.
«Io sì. »
«E che cosa pensi? »
Si girò lentamente, forse con un po’ di fatica, guardò una manciata di fiorellini tremanti nell’aria che piegava le sterpaglie a bordo del sentiero sterrato. Gialli nel sole come se fosse primavera.
«Li vedi? Queste giornate non dureranno a lungo, forse presto saranno fregati. Dal gelo o dall’aria che salirà quassù di notte. Magari potranno nutrirsi di quelle poche ore di sole durante il primo pomeriggio, o magari non sarà abbastanza. Chi può dirlo? Di sicuro loro non ci pensano e non ci hanno mai pensato.»
«Incoscienza?»
«No, fiducia.»
«E’ quella che frega. »
«Forse. Ma senza non potremmo vivere. E non si può smettere di fare le cose con amore perché alla fine resta solo questo, nessuna delle nostre priorità resiste così a lungo. Nessuna. Se c’è un rimpianto che non se ne va mai è quello di aver rinunciato a voler bene. O di non averlo detto quando volevamo farlo. »
«Che cosa c’entrano i fiori? »
«Niente. Il gelo se li porterà via ma non si pentiranno di quello che gli avrà consigliato l’istinto perché la felicità è così rara che non andrebbe sprecata mai. Nemmeno quando le paure ci tengono legati a noi stessi. »
La parete di roccia era già nell’ombra, resisteva il promontorio con i suoi cipressi diritti nell’azzurro che presto sarebbe scivolato nel mantello blu intenso della sera. Continuava il respiro del lago sotto di loro, distesa quieta che moriva negli scintillii dell’orizzonte e sulle coste e sui paesi si indoravano dell’ultima luce.
«Allora alla morte non ci pensi proprio mai? »
«No. Penso che ci sono altri modi di morire pur continuando a respirare, a vedere, a sentire. Ecco quello che frega. Ecco.»
Arrivò una folata di vento, il sole scomparve dietro la montagna alle sue spalle. Si girò verso il vecchio, voleva dirgli che era ora di scendere, di tornare a casa. Ma non c’era più nessuno.
Là sotto la risacca continuava a spumeggiare sulla spiaggia inaccessibile ma l’acqua era già grigio azzurra e gli agavi erano diventati scuri d’improvviso sulla roccia ancora bianca.
La strada era ancora un segno indelebile sulla pelle della montagna silenziosa.

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  1. Malina
    Originalità

    Coinvolgimento

    Stile

    Lettura piacevole

    6 anni fa

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    Miriam Terruzzi

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