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Memorie nel cassetto

Memorie nel cassetto

98028 Santa Teresa di Riva (ME)
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Memorie nel cassetto

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Ricordo il mare, quell’infinita distesa d’acqua salata che sapeva di lacrime. Così l’ho sempre immaginato, il mare: un piagnisteo di gioie e dolori difficili da confessare e impossibili da tenere per sé. Da ragazzo andavo spesso sulla riva, mi sedevo e gli raccontavo i miei segreti convinto che lui potesse capirmi e consolarmi. Mio padre era un pescatore, un uomo semplice che ha fatto mille sacrifici e mille debiti per farmi studiare, è a lui che devo molte cose. Mi piaceva scendere alla baia ad aiutarlo: amavo l’odore delle reti impregnate di iodio e pesce, contemplavo la fatica dei pescatori, la loro involuta saggezza. Sembrerà strano, ma desideravo quello per il mio futuro; peccato che papà non la pensasse allo stesso modo. E aveva ragione. “Il tuo posto deve essere a una scrivania: tu a fari u prufissuri. Dutturi t’hanno a chimari i cristiani. Non poi fetiri i pisci comu a mia!” Mi diceva sempre con la sua aria da personaggio uscito fuori da un romanzo di Verga. Mi manca.

Dopo tanti anni ancora non mi sono abituato alla città, a quella sua frenesia notturna e mondana. Io sono nato in Sicilia, in un paesino di fronte al mare, con la sabbia che ti entra nei vestiti e la salsedine che ti brucia gli occhi. Dovete sapere che su quell’isola, anche se sali sulla più alta delle montagne appenniniche, si sente il rumore del mare. Sì, è come se l’aria che ti circonda fosse una grande e invisibile conchiglia. Qualcuno ha detto che siamo noi siciliani ad avercelo dentro, il rumore del mare, per nostra natura. E lo sentiamo dovunque. Sarà per questo motivo che io riesco a sentirlo anche qui, a tanti chilometri di distanza.

Sono partito presto. Dopo essermi laureato in lettere e aver vinto il concorso a cattedra, sono stato convocato da una scuola di Milano. Ero giovane; qui, a detta di molti, “futuro non ce n’era!” Se volevi fare strada dovevi partire. “Questa Terra è bella e maledetta” Diceva sempre mio nonno, anch’egli pescatore. Lui, come il resto della mia famiglia, era orgoglioso di me: ero il primo che si era laureato, l’unico a cui non sarebbe toccata la vita in mare, e devo dire che la cosa un po’ mi dispiaceva. Io volevo restare. Ma la vita è fatta di scelte e, paradossalmente, molte volte non sei tu a poter decidere.

Salendo su quel treno, il giorno in cui sono partito, lasciai molte cose. Ancora adesso che ho quasi quarant’anni e giornate piene la nostalgia si fa strada nella mia mente: il mare, il cielo limpido senza la nebbia, gli affetti, i sogni di un ragazzo che crede di poter avere il mondo nelle sue mani. Questa, un tempo, era la mia vita: un’adolescenza spensierata fatta di emozioni semplici. Di dolori ce ne sono stati, certo: ho versato tante lacrime; eppure, ora che ci ripenso, quelle lacrime mi hanno aiutato a diventare ciò che sono, mi hanno dimostrato che ogni uomo ha delle debolezze, dei limiti ma anche tante risorse e tanti talenti che vanno cercati e coltivati, spesso, in un luogo diverso da quello in cui sei nato e nel quale hai scommesso. Ci sarebbero ancora tante cose da dire, tante esperienze da raccontare, ma molte non riesco proprio a ricordarle e, quando mi sforzo di farlo, avverto un peso sullo stomaco, una malinconia e un’impotenza che non so spiegare. Il presente è costellato da rimorsi e rimpianti, si dice. Forse è da essi che nasce questo blocco interiore. O forse ho semplicemente paura di ricordare, di perdermi in quel labirinto di cose vissute e perdute dal quale è difficile uscire senza lasciarci un pezzetto di cuore.

L’altro giorno, per trovare spunto e consiglio da menti critiche, sveglie e dirette – a volte, troppo dirette – ho lasciato ai miei studenti come traccia per il tema del compito in classe una citazione di Woody Allen; è un personaggio che di solito ai giovani piace: “Cos’è un ricordo? Qualcosa che hai o qualcosa che hai perso per sempre?”.
Con questa traccia ho avuto modo di scoprire nuovi aspetti dei miei ragazzi che mai mi sarei aspettato: in loro si nascondono dei veri poeti. C’era chi descriveva il tempo andato come “un aquilone volato via con il vento, che tu vorresti inseguire ma che ti scappa di mano”; chi citava Pavese o Carducci; chi rimpiangeva una storia estiva definendola il “primo vero grande amore della mia vita” non sapendo ancora che di “primo vero grande amore” ce ne sarebbero stati tanti altri. Insomma, mi sono ritrovato tra le mani davvero bei lavori, molto maturi; la traccia ha incuriosito e coinvolto, però nessuno, in fondo, aveva centrato il tema. Tranne uno.
Stava per suonare la campanella, dopo tre ore di compito in classe quasi tutti avevano consegnato. Al fatidico “drin”, mentre gli altri ragazzi uscivano di corsa per la ricreazione, Matteo Trifogli, “l’ultimo dell’elenco ma il primo della classe” si avvicina con un’aria stremata. Le sue solite otto colonne, pensai. Invece, per mia enorme sorpresa, mi consegnò il foglio bianco e immacolato. Stavo per dirgli qualcosa, quando scosse la testa come a dire: “Lasci stare, mi metta il voto e via”. Non replicai, sapevo che non era da lui. E infatti, mentre aprivo il suo fascicoletto, vidi un punto nero in mezzo al foglio e, in calce, una frase che mi spiazzò:
“Ecco cos’è un ricordo, professore: un punto nero e invisibile in mezzo a un foglio bianco, proprio come questo. Un ricordo è qualcosa d’insignificante all’apparenza, ma che lascia un segno indelebile… qualcosa che spesso fa male ma che nonostante tutto lo spazio che hai a disposizione per sminuirlo e dimenticarlo non puoi far finta di non vedere: è una macchia che non va via, puoi provare a nasconderla, con il passare del tempo sbiadisce, ma lascia comunque un’impronta, segna il tuo foglio, la tua vita… per sempre: è una parte integrante di esso. Sei tu a voler credere che non esiste, ma sai che c’è.
P.S. perdoni l’italiano un po’ impacciato: quando si tratta di parlare di cose che ci riguardano e ci toccano nel profondo, si scrive di getto, senza neanche rileggere quanto scritto, per non fargli perdere la sua autenticità. Ce l’ha insegnato lei. Quindi faccia come se gli anacoluti fossero voluti. Licenza poetica, Prof! ;)”

Certo, licenza poetica, e la sintassi qui ce le siamo giocata! Sbuffai, persino l’emoticon.  Eppure quel tema era perfetto e un 9 lo meritava, perché Matteo, nella sua spensieratezza di ragazzo, aveva ragione, aveva già capito tutto. Con una risata finale ho recepito il suo messaggio: in verità non si dimentica mai, si tenta solo di mettere da parte i ricordi, di chiuderli nel fantomatico “cassetto della memoria” che poi tanto fantomatico non è. L’aprirlo per ripescarli fuori è solo una questione di volontà, una libera scelta.  Sta a me decidere.


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  1. Patrizia Savi
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    …racconto che mi ha coinvolto e mi fatto sentire il rumore del mare…

    5 anni fa
  2. Arghennon Akron
    Originalità

    Coinvolgimento

    Stile

    È la storia di tanti nostri antenati, coetanei e discendenti. È la storia di una terra di una bellezza struggente e tuttavia avara di benessere per tanti suoi figli. È la storia del riscatto sociale di tanti appartenenti a famiglie che desideravano un futuro migliore per le generazioni seguenti.
    È la storia della nostra gente.
    È la nostra storia. La mia storia.

    5 mesi fa

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