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Piazza di Santa Maria della Pietà
00135 Roma
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Murati fuori

Piazza Santa Maria della Pietà, Roma

Mancano pochi minuti alle nove. Osservo la lancetta dei secondi scorrere lentamente sul grande orologio posto sopra la porta. Il suo movimento è lento, costante, implacabile. Ogni suo scatto relega il momento precedente alla storia. Avete suddiviso lo spazio avvalendovi del tempo perché ognuno di voi necessita continuamente di un riferimento per orientare il proprio ego e gestire la propria vita. È dall’origine dell’umanità che distinguete tra presente passato e futuro perché è la vostra intelligenza che necessità di ciò. Il tempo per me non ha valore, se lo ha mai avuto. L’ho sempre considerato lo strumento che permette di scandire le giornate, la sveglia del mattino, il lavoro, i pasti. Continuo a fissare quelle lancette che si muovono, una più veloce, una più lenta e penso agli elementi animati che compongono la natura. Gli animali non necessitano di quest’invenzione per la loro esistenza, mangiano, dormono e vivono in base alle loro esigenze e aspettative regolandosi con i cicli della vita e le piante, cosa vogliamo dire delle piante allora. Esse vivono grazie alle complesse reazioni chimiche che il sole permette loro di fare.
Sento la chiave girare all’interno della serratura, una, due, tre quattro mandate ed ecco che la porta si apre. Un ragazzo dai lunghi capelli biondi e dagli occhi azzurri compare dinanzi a me. Lo guardo severo scrutandolo dal basso verso l’alto. Indossa della scarpe da ginnastica panna, dei jeans bianchi con una piega a dir poco perfetta e una simpatica maglietta colorata con il logo di una faccina sorridente proprio sopra il cuore. Stretto tra le sue mani trattiene un grande bloc notes con copertina in plastica rigida color nero.
«Buongiorno come va oggi» esordisce quello.
Non rispondo e penso tra me e me.
«Non dire nulla. Osserva i suoi occhi, le sue movenze, sembra sappia bene ciò che fa. Mi osservano irriverenti mentre dormo con quella loro telecamerina lì nell’angolo, ormai percepisco anche i suoi movimenti quasi invisibili. Sono sicuro che se potessero inventerebbe anche un macchinario ingegnoso che gli permette di leggere i miei pensieri, i miei sogni. Si è proprio così, è l’unico modo che riesco a concepire per spiegare le loro domande, il loro interesse verso di me e soprattutto quei continui odiosi e sconclusionati test che ogni giorno pongono alla mia attenzione».
Comincio a ridere a più non posso e vado avanti cosi per diversi secondi. La mia risata non è più spontanea e gioiosa come quella di un tempo, ora assomiglia più ad un ghigno forzato e feroce.  Mi accovaccio sulle ginocchia, senza sedermi. Mi alzo. Ripeto questo gesto più e più volte tanto da perdere il conto di queste mie azioni. abbinando respiri continui e affannati. Ripeto questi rituali abbastanza spesso perché così facendo confonderò tutti i loro calcoli.  Mi diverto. Corro con un rapidissimo scatto verso la bianca scrivania e mi siedo sulla piccola poltroncina imbottita. Comincio a scrivere di getto tutto quello che mi passa per la testa per evitare che qualche cosa possa sfuggirmi. I fogli del block notes si riempiono sempre più di nomi con il passare dei minuti, delle ore, dei giorni.  Le frasi e le pagine formano lentamente un fiume di idee che scorre verso il tanto agognato fine di arrestare i sogni sfuggenti. La mano comincia a tremare e la matita si spezza tra le mie dita in seguito ad un attacco di nervosismo. La voce che da giorni assilla la mia mente torna a farsi sentire e continua a ripetermi le stesse parole.
«Stai calmo, concentra le idee. Sai che puoi scrivere anche nel cielo e sulle stelle non affannarti non serve un foglio». Spazientito da queste parole sbatto il pugno sul tavolo e urlo con tutta la voce che riesco a tirar fuori.
«Sto seguendo i tuoi consigli, lo vedi,  ma la situazione non cambia, sono qui eppure lui continua con questa sua aria superficiale e con quel suo modo di fare. Non capisce, si ostina a non voler capire». Qualche secondo di silenzio irreale poi la voce ricomincia a parlare con quella calma che la contraddistingue sin dal primo minuto della sua comparsa.
«Potremmo dirglielo noi, forse è stupido, dai prendi le pergamene e mostragliele».
Rispondo a quella voce o semplicemente a me stesso. «E poi cosa faccio, mi è simpatico».
Cerco di calmarmi. M’appoggio interamente sullo schienale della piccola poltrona e poggio delicatamente la matita ormai divisa in due parti sulla scrivania. Il simpatico ragazzo accenna un sorriso ma nient’altro. Si limita come il suo solito ad osservarmi, anche se di tanto in tanto noto che getta uno sguardo verso la telecamera. Qualcosa non va lo intuisco. La finestra è posizionata sulla parete opposta alla scrivania, in direzione del nord geografico, è situata molto in alto ed è di piccole dimensioni tanto che solo un fievole raggio di luce riesce a penetrare all’interno della stanza. A malapena intravedo il cielo. Dico ad alta voce «Il suo blu oggi è coperto da una bianca nuvola ed il sole… il sole è andato via, è molto tempo che oramai non mi porge più il suo caldo saluto». Rimango assorto nel guardare quella fessura, la mia mente sorpassa ogni muro, ogni nuvola, ogni ostacolo che si frappone fra me e la libertà.
«Ciao» dico al biondo giovane senza guardarlo
«Che piacere sentire la tua voce, finalmente dopo tanti giorni hai deciso di parlarmi e non solo di scrivere» risponde quello con voce calma, poi guarda la telecamera.
«So chi sei, conosco il tuo nome da sempre» gli dico con aria di sfida.
«Certo» risponde lui poggiandosi con le spalle alla parete poi continua. «conosciamoci meglio, sai chi sei e da dove vieni?».
«Idiota». Rispondo io, ma lui non si scompone anzi incalza con le domande.
«Allora non sai neppure perché ti trovi in quest’istituto per malattie mentali, noi vogliamo curare le tue paranoie, i tuoi malesseri e le tue persecuzioni poiché non sono reali».
Comincio a ridere e avvicinandomi di molto a lui ribatto. «Sono la vostra salvezza, ma tu questo lo sai bene, eppure continui nel tuo miserabile lavoro, scruti, osservi, valuti. Credi di essere meglio di me? Sei un valido elemento di questa società e fai solo il tuo lavoro, ma che bravo che sei, la mammina sarà contenta ma la verità è che avete paura»
«Allora, cosa sono questi nomi che continui a scrivere e perché alcuni vengono cancellati di tanto in tanto, dai spiega, io sono tuo amico, poi, se desideri, puoi dirmi chi sei prometto che rimarrà un segreto».
Allungo le mani chiedendo un’altra penna e altri fogli e riprendo a scrivere nomi su nomi allungando ancor di più l’immensità di quell’elenco.
«Vedo che hai ripreso a scrivere, allora non vuoi proprio dirmi niente» domanda curioso.
«Vi nascondete, cercate di sfuggire con farmaci e prodotti per il benessere, addirittura l’avete rinchiusa qui per studiarla. La stigmatizzate, le date nomi addirittura la dipingete. Dopo moltissimi anni ancora non avete capito nulla e la paura vi schiaccia. Questa è l’unica verità. Ma ora, ora potrai capire giovane stolto. La colpa non è tua perché ti ho già scritto ventisette anni fa, non puoi farci niente».
«Bene, così sai la mia data di nascita. Sono contento così potremmo scambiarci gli auguri se mi dici anche la tua».
«Non mi credi vero, non puoi proprio, allora guarda».
Tiro fuori dalla tasca un foglio ben ripiegato su se stesso e lo apro molte volte, tante volte, innumerevoli volte, infinite volte.
«Sicurezza, sicurezza» urla il ragazzo rivolgendosi alla telecamera e sbattendo sull’ovattata porta d’uscita. Sa che dovrà attendere alcuni secondi prima che questa si apra ma per me è un eternità. Mi guarda dicendo «che trucco è, questa è magia, come fa un foglio così piccolo a diventare enorme e sparire, chi sei davvero?».
«Io scrivo su di un libro enorme da sempre e continuamente cancello ciò che scrivo. Questo è il tuo nome, lo vedi».
«Si, sono io ma che significa»,
«quel che scrivo è la nascita di un uomo, quel che cancello, la sua morte».
Detto ciò traccio una retta sul nome del giovane ed egli si accascia a terra come in un sonno profondo.
Quando arriva subito dopo la sicurezza io non ci sono più, sono andato via.
Non si può imprigionare un idea atavica, un destino poiché dove sono io è la vita.

 

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