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Rifoglietto

Rifoglietto

10040 Rivalta di Torino
Gialli e Thriller Racconti
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Rifoglietto

visita su Google street view  

Mi chiamo Silvio P. e vi scrivo per lasciarvi la mia testimonianza. Per questioni personali, che penso riuscirete bene a comprendere al temine della lettura della mia storia, vi pregherei di mantenere l’anonimato sulla mia persona ma vi prego di diffondere quanto ho da dirvi;
perché quello che accade nei boschi che circondano il Rifoglietto non è solo legenda metropolitana, non è solo fantasia; c’è qualcosa di malvagio che abita quei boschi. Ne sono sicuro.

Era il 1987 e all’epoca ero un diciassettenne in piena crisi ormonale, nel senso che, come tutti i ragazzi della mia compagnia, si aveva un solo pensiero, fisso: le ragazze. Non eravamo molto “popolari” a scuola e l’arrivo delle vacanze estive era per noi sinonimo di rivalsa verso quel mondo fatto di libri, interrogazioni, e “fantasie” verso le ragazze della scuola.

Come fare per organizzare un incontro ravvicinato con il gentil-sesso? Come farle interessare a quei quattro ragazzotti di Rivalta?

Rivalta!!! Solo a dire il nome del nostro paese la reazione era sempre la stessa:

“Dove? Rivalta!!!! E che cavolo c’è a Rivalta, per quale motivo dovremmo venirci!!! No dai andiamo ad Orbassano che almeno ci facciamo qualche vasca per via Roma”

Ma Orbassano per noi voleva dire concorrenza sleale con i Super-stra-mega fighi… una partita che vivevamo come una finale calcistica giocata fuori casa.

No, era necessario trovare qualcosa, qualsiasi cosa che potesse destare anche solo il minimo interesse in loro, tanto da portarle nella provincialissima, monotonissima Rivalta di Torino.

Il Rifoglietto, con il suo carico di mistero faceva al caso nostro. Da tempo giravano voci di messe nere, satanismo, streghe e fantasmi. Tutte boiate, o almeno così credevamo, ma cosa c’è di meglio di un bosco “infestato” per baccagliare? Cavolo, già immaginavamo l’evolversi della serata:

Matteo e Giorgio avrebbero inscenato un qualche misterioso avvistamento e le donzelle, in preda al terrore ci si sarebbero buttate addosso nella frenesia della fuga. Perfetto.

Venne il giorno dell’incontro. Le tre ragazze, Cristina e Aurora di Orbassano e Marzia di Pasta, erano contente di fare qualche cosa di diverso. Si lo so noi quattro e loro tre; uno sarebbe rimasto a tenere il moccolo, ma di più non eravamo riusciti a combinare. Una cosa era certa e l’avevo messa ben in chiaro: Marzia era mia!!!

Il mistero e l’avventura aveva creato la giusta atmosfera. Salimmo lungo i boschi costeggiando la stradina sterrata che dalla cappella di San Sebastiano conduce al Truc Bandiera. Erano le 18.00 e nel percorso incontrammo alcuni paesani in cerca di funghi. Ci passarono accanto facendo goduti apprezzamenti sulle nostre accompagnatrici. Ricordo ogni istante ma pensai fosse solo suggestione: il vecchietto leggermente sovrappeso, si sorreggeva nella discesa dal sentiero con l’ausilio di un bastone. La cavagna, portata mollemente sull’avambraccio, non aveva nulla al suo interno e del resto eravamo a luglio, non un periodo ottimale per i porcini; I giorni precedenti però era piovuto abbastanza e la luna crescente faceva ben sperare anche in un periodo non propizio.  Dapprima attribuii il suo sguardo alla fallimentare ricerca: mi fissava in modo intimo, come se mi conoscesse … come se sapesse, con uno strano ghigno sul volto. Mi ricordò vagamente Jack Nicholson in Shining. La profondità con cui mi guardavamo mi intimorì e abbassai lo sguardo. Quando passarono oltre mi voltai per essere sicuro di non averlo già visto in giro. Si voltò verso di me e accadde una cosa assurda: il suo volto si deformò davanti ai miei occhi: l’alzata sopraccigliare si incurvò verso l’alto in modo innaturale fino a sfiorare l’attaccatura dei capelli; la sua bocca si espanse a fare bella mostra di denti appuntiti e una lingua biforcuta. Non so per quanto tempo rimasi così ad osservare quella spaventosa creatura; ero come ipnotizzato.

Le voci dei miei amici erano ovattate;  le sentivo chiamarmi “Dai Silvio … cazzo fai, datti una mossa”. Il vecchietto si portò piano il dito indice alla bocca, a mimare (o ammonirmi) di mantenere il silenzio. Marzia mi strattonò per il braccio e mi ridestai improvvisamente da quello stato di stand-by in cui mi trovavo un secondo prima. La guardai negli occhi incredulo e ancora sconcertato. Mi rivoltai verso i vecchietti, ma vidi solo tre uomini intenti a chiacchierare dei loro fatti, senza minimamente fare più caso a noi.

Impiegai qualche minuto a recuperare l’autocontrollo; sicuramente avevo visto qualche cosa, ma non era reale, non poteva esserlo. Decisi di tenere per me il fatto; oltre ad essere sfigato e imbranato con le ragazze non volevo che mi venisse affibbiato anche lo status di “pazzo”, quindi ammisi di avere avuto un calo di zuccheri.

Proseguimmo lungo il sentiero e raggiungemmo il cascinale ormai in disuso denominato Rifoglietto.

Quello che accadde in quel momento non ha nulla di logico. L’ambiente intorno a noi  cambiò improvvisamente. Aleggiava una  sensazione tangibile di malessere. La luna era ben visibile, enorme. Una grande lucente luna piena. Non era notte, ma era lì, perfetta e tonda; troppo ben definita. Il silenzio intorno a noi era assordante e gli alberi, prima rigogliosi,  erano ridotti a scheletri di se stessi.

Dall’interno del Rifoglietto sentimmo delle risate e un uomo si materializzò davanti al cancello che ci separava.

Fuggimmo in preda al panico, mentre una fitta nebbia velocemente si allungava verso di noi. Da quel momento tutto è confuso. Ricordo le urla degli altri, i tagli alle gambe procurati dai rovi che stavo attraversando. Ricordo una mano, tra quei rovi; lunghe dita affusolate che cercavano di prendermi. Corremmo per non so quando tempo  in tondo. Sempre il Rifoglietto si trovava dietro di noi, sempre alla stessa distanza per quanti sforzi potessimo fare per allontanarci da quel luogo.

In qualche modo riuscimmo a ritrovare il sentiero e … tutto era ritornato alla normalità. Uccellini e grilli davano sfogo delle loro abilità canore. Eravamo fuori dal bosco ma presto ci rendemmo conto che Marzia non era più con noi. Urlammo il suo nome, ma non ottenemmo alcuna risposta. Di ritornare dentro quell’incubo non se ne parlava.

Non sapevamo cosa fare, e presi dall’angoscia andammo a denunciare la scomparsa che venne ufficializzata solo tre giorni dopo.

Venne data per dispersa e non fu mai più ritrovata.

La paura e la vergogna per averla abbandonata in quel posto non mi hanno fatto dormire per anni. Non abbiamo mai detto a nessuno questa storia e da quel giorno persi qualsiasi contatto con gli altri. I carabinieri pensano a qualche bravata giovanile finita male e per un certo periodo ho pensato di aver immaginato tutto.

Vorrei solo che Marzia non torni più a farmi visita nei miei incubi.

 

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  1. vxelia
    Originalità

    Coinvolgimento

    Stile

    L’esoterica Torino non si smentisce neanche nei suoi dintorni

    7 anni fa

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