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La magnolia della Reggia

La magnolia della Reggia

Reggia di Caserta
81100 Caserta
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La magnolia della reggia

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Scantonato oltre il palazzo del Vescovo, Francesco guardò ancora una volta verso la finestra bifora. Non vide nulla. Più nulla. Anche se sapeva che gli occhi di Natella erano nascosti dietro la tendina merlettata, preferì drizzare definitivamente il real cavallo sulla strada che conduceva all’uscita della vecchia Caserta. Era certo che non l’avrebbe riconosciuto nessuno, vestito in quel modo. Tirò le redini, ma la bestia procedeva nervosa e rapida, rischiando di mettersi sotto due contadini che rientravano a casa e poi di schiantarsi sul muraglione che proteggeva l’area del castello.  “Jamme, guagliò!”, sbraitò perentorio al cavallo che, rassegnato, calò la criniera e trottò oltre le mura. Agli occhi di Francesco si aprì la vista sulla piana sottostante. La reggia, vista da quassù, gli mozzò il fiato. Altro che Versailles! Erano loro i migliori, non aveva mai avuto dubbi. I tumulti di quel periodo, le fosche previsioni politiche che si azzuffavano sul cielo di Napoli come le nuvole plumbee su quello di Caserta non dovevano mai scalfire quella certezza. La reggia, già in fondo allo sguardo, stava lì a confermarlo. Il suo avo, Carlo III, l’aveva costruita senza tralasciare il minimo dettaglio, costringendo Luigi Van Wittel ad ogni sforzo per fare di quel luogo il più accogliente e sontuoso palazzo reale del mondo. E ci era riuscito.
Mentre il cavallo aumentava l’andatura ed iniziava a prender la discesa, pensò che loro Borboni avevano sempre vinto nella storia, in ogni parte d’Europa, avevano dominato e deciso i destini dei popoli. Non sarebbe stato diverso. Non poteva esserlo giusto ora, pensò Francesco, che il destino cominciava a sfiorare proprio la sua di mano. Il fuoco di quel martoriato periodo si sarebbe presto spento e la cenere diradata, come quella del Vesuvio dopo l’ultima eruzione.
Il cavallo si impennò, spaventato da un cane spuntato da un cespuglio, lui riuscì a tenersi fermo in sella finché il cavallo non si riprese ma percepì la scena come un cattivo augurio. Non cadde, però. Non sarebbe caduto. Il cavallo continuò a scendere. Verso la reggia.
Del randagio si sperse l’ombra.
Raggiunta la piana, passò accanto ad alcuni poderi ben irrigati ed arricchiti dall’acqua che la sua famiglia aveva portato in quel luogo dalle montagne di Benevento. Entrò rapido nella reggia, lasciò il cavallo ad uno stalliere che lo riconobbe subito ed al quale lanciò un fugace ed amichevole saluto e si diresse verso lo Scalone, lo salì oltre le statue dei leoni, scansò la cappella dove era in corso una cerimonia e prese per il suo appartamento. Incrociò il padre stanco e preoccupato per come si mettevano le cose nel regno. Volse uno sguardo verso il quadro di sua madre, Maria Cristina, e pensò che tutto sarebbe stato diverso se lei fosse stata viva, se ci fosse stata lei al suo fianco mentre si apprestava – lo sentiva – ad ereditare dal padre quel fardello pesante. Non che Maria Teresa d’Austria, la nuova moglie di suo padre, non fosse efficiente nel gestire le cose del regno, l’amore per il re e l’affetto sincero anche per lui, ma sentiva che se la regina savoiarda non fosse morta poco dopo averlo partorito la storia avrebbe preso altri binari, sia per loro che per il Regno delle Due Sicilie: quel tappo del conte di Cavour non sarebbe riuscito ad abbindolare il sovrano piemontese e convincerlo ad azioni che erano contro il suo stesso sangue ed avrebbe dovuto smetterla a giocare con due mazzi di carte.
Maria Teresa teneva ferma la propria austerità e il proprio decisionismo in contrapposizione al fatalismo e l’ottimismo smisurato di Francesco, che pur amava come figlio suo. A furia di vivere con i napoletani, però, anche lei si era convinta che non di solo calcolo fosse fatta la vita e che il destino, il fato, la sorte, una qualche influenza ce l’avevano pure nelle umane vicende. Soprattutto nelle umane disgrazie, che i calcoli sparigliavano.
Se n’era convinta ancora di più da quando aveva sentito parlare di Natella, la ragazzina che nel ‘48, a dodici anni, aveva previsto l’eruzione del Vesuvio. Qualche settimana dopo se la chiamò a corte e si divertiva a contrapporre il suo pragmatismo alle previsioni della ragazza.
Ora, si preoccupava del fatto che Natella da qualche tempo non sfornava buoni presagi. La smorfia le aveva parlato terribilmente chiaro e lei lo aveva detto alla regina madre: Francesco sarebbe stato l’ultimo re ad abitare quella reggia e soprattutto a guidare quel regno.
Lei reagì facendo le corna – un po’ partenopea lo era nel tempo diventata… – ed accompagnando i gesti con un sonora risata, sonora e preoccupata allo stesso tempo, ma che doveva servire ad esorcizzare il pericolo. A mutare il fato. A contrapporvi la logica. A contrapporvi i Borboni. E la loro forza.
Però Natella non ne aveva mai sbagliata una…
Scettica com’era, la regina fingeva di illudersi che quella ragazza ricorresse davvero a chissà quale particolare alchimia e sortilegio. La verità – lo sapeva – era che Natella aveva acume e intelligenza fuori dal normale e gli eventi non li indovinava, semplicemente li prevedeva. Si impregnava come una spugna del sentore della gente comune, quella lontana dalla reggia, quella stanca, affamata e affascinata da nuove idee e nuovi eroi, e con quelle profezie a cui sia Natella che la regina facevano finta di credere la ragazza portava alla testa del regno la pancia del popolo.  E la regina lo accoglieva. Sotto forma si smorfia. E lo utilizzava, nell’agire e nel governare quotidiano, nel consigliare Ferdinando.
Natella, da parte sua, era felice, perché la sua fama di indovina era un lasciapassare per frequentare la corte e ciò le bastava. I suoi fianchi si andavano facendo sinuosi, gli occhi neri e penetranti, i riccioli folti che le scendevano amorevolmente disordinati ai due lati della testa, lo sguardo forte, orgoglioso, intelligente, il seno negli ultimi anni emergeva sempre più deciso sotto i vestiti che sembravano restringersi addosso al corpo e disegnarne le forme. Particolari che al giovane Francesco non erano sfuggiti. Ed a Natella, acuta com’era, non era sfuggito che Francesco li avesse notati.
Natella si era mescolata bene nella vita di corte.
Ne erano passati di eventi da quando la regina, saputo che quella ragazzina di Caserta aveva previsto l’eruzione del Vesuvio, l’aveva mandata a prelevare da due cavalieri nella casupola dietro al castello sul borgo. Alla ragazzina tremarono le gambe e per poco non svenne. Poi, man mano che quelle frequentazioni a corte diventavano più assidue, la bambina capiva i meccanismi e con la sua mente elastica riusciva miracolosamente a coordinarli con ciò che avvertiva e viveva fuori dalla reggia. E poi faceva la smorfia.
Quando Francesco andò via dalla casa del Vescovo lei lo scorse da dietro la finestra e lo riconobbe. Il principino amava quelle uscite in incognito, che tutti conoscevano. Ma il ragazzo rispettava la gente e voleva loro bene perciò nessuno osava disturbarlo. Si sentiva napoletano ed i napoletani lo sentivano uno di loro. Spesso se ne girava per via Toledo da solo, vestito come uno qualunque. La cosa lo divertiva e poi gli consentiva di capire cosa il popolo dicesse di loro. Quando gli saliva la fame, si infilava nelle viuzze di San Gregorio Armeno, raggiungeva il convento delle suore solo per il piacere di farsi offrire la pastiera. Se la prendeva e se ne scendeva al Maschio, guardava verso Capri ed immaginava la sirena Partenope preparare la pastiera per ingraziarsi i naufraghi. Ultimamente anche lui cominciava a sentirsi un po’ naufrago e quel dolce lo rassicurava.
Natella fu tentata di farsi scorgere quando lo vide sotto il palazzo del Vescovo. Avrebbe voluto dirgli che una previsione, una sola, quella determinante per la sua vita, l’aveva sbagliata. Era quella della magnolia: lì, seduta sulla magnolia del parco, aveva detto a Francesco che non si sarebbe mai innamorata di lui.
Lo ricordava bene quell’angolo della reggia, anche se dal fidanzamento di Francesco lo frequentava poco. Ci era andata da piccola, con Francesco ed altri ragazzi di corte. Erano usciti dal lato del parco grande e, prima del lago, avevano svoltato verso i boschi. Lì era stato costruito un castello ad uso e consumo dei loro giochi. In quel castello Francesco la prese in giro la prima volta, quando la vide con Anna e Anita e la accolse con una dolce risata: “ma sei tu allora quella bambina che la regina dice indovini la sorte? Indovina la mia”.
Appena Francesco finì di parlare, l’attenzione di Natella fu attratta da una colomba, spuntata da chissà dove, che aleggiava in direzione dell’albero di magnolia, appoggiandosi al ramo e fermandosi lì a guardare ora Francesco ora Natella. Improvvisamente, da dietro si scagliò un corvo che la azzannò ferocemente ed in un attimo Natella non vide più né la colomba né il corvo. Ebbe paura. Francesco ancora rideva di quella che gli era sembrata una battuta. A Natella tremarono le gambe come quando erano venuti i cavalieri ad avvisarla che la regina voleva parlarle. Francesco, quei due uccelli sulla magnolia, non li notò. Natella si limitò ad abbassare lo sguardo, a prendere per mano Anna ed Anita ed a dirigersi lontano. Passeggiarono fino al giardino inglese, alla cascata, poi ridiscesero dalla parte opposta, sedendosi di fronte alle fontane di Eolo. Natella non dimenticò mai quel giorno. Né quei due uccelli.
Nemmeno adesso, col naso appoggiato alla finestra sotto la quale era passato veloce e nervoso il cavallo di Francesco, dimenticava quella scena. E le altre. Venute dopo di quella.
Fino all’ultima.
Ancora la bellissima e maledetta magnolia. Natella era seduta lì, coi suoi seni ormai marcati, i fianchi sinuosi, gli occhi neri.  Tutta la corte sapeva ciò nessuno osava dire: stava aspettando Francesco. Il principe arrivò col suo solito cavallo e col suo solito sorriso buono e sicuro. La prese per una mano e lei saltò sopra. Si introdussero nel bosco e raggiunsero un lago con un isolotto in mezzo. Come le altre volte, Francesco si avvicinò ad una delle piccole piazzole di cui era formato il lungolago, fece scendere Natella e assicurò il cavallo ad un gancio. Aprì un cancelletto e diede la mano a Natella che salì dietro di lui sulla barchetta di legno, spostando con l’altra mano i folti ricci dalla parte opposta al sole. Lo stesso Francesco remava e sorrideva, mentre il sole catapultava la propria ombra sull’acqua, ricolorandola, dando nuova vita ai rami degli alberi attorno che sembravano formicolare e brillare, specchiandosi sul lago. Era un contesto magico. Come l’isolotto. Francesco la prese per la mano e la introdusse dentro.
Ogni quando succedeva, i brividi di Natella la riportavano con la mente ed il cuore a quando era successo la prima volta, un anno prima. Lei, sedicenne, era in quello stesso punto, smaniosa di ripetere quel bacio che Francesco le aveva quasi rubato sullo Scalone della reggia, proprio sotto gli occhi vigili dei leoni di marmo messi lì ad impressionare ed intimidire le diplomazie del mondo e che lei invece vedeva come amichevoli compagni, come fossero gattini di San Leucio. Di Francesco avrebbe voluto riassaporare nuovamente quelle labbra e perciò aveva accettato di andare all’isolotto con lui, pur sapendo che lì, il principino, non si sarebbe limitato al bacio. Non sapeva esattamente cosa aspettarsi: in fatto di cuore, le sue potenzialità divinatorie sembravano perdere ogni efficacia, come delle polveri da sparo inzuppate nell’acqua.
Francesco le sorrise, come quella volta bambina vicino alla magnolia; come quell’altra quando la incrociò all’ingresso e notò che non era più bambina; come allo Scalone, quando le regalò quell’inatteso bacio che le aveva cambiato la vita. Allo stesso modo le sorrise, accarezzandole piano la mano, come se l’avesse sfiorata per caso e poi presa nella sua, portata alle labbra ed appoggiata sul volto. Un volto regale. Tra le sue mani! Natella fremeva. Francesco indugiò con le dita sul volto della ragazza, esplorò i riccioli che a lei sembravano distendersi e riallacciarsi al passaggio di quelle mani, raggiunse la nuca mentre lei chiudeva gli occhi, ormai abbandonata a lui. Le dita di Francesco tornarono ad accarezzarle il volto e scesero sul collo. Lei sentì presto una leggera pressione sul vestito all’altezza del seno, poi dall’altra parte, i capezzoli le si inturgidirono. Mai un uomo… La prima mano di uomo che aveva osato tanto. Teneva gli occhi chiusi ed improvvisamente sentì che il vento entrava nella sua camicetta liberata dai bottoni, sentiva sempre più vento, sentiva sempre le mani sulla pelle ed improvvisamente sentì le proprie labbra invase da altre labbra: erano quelle dello Scalone. Aprì gli occhi per rivederci gli occhi del bambino vicino alla magnolia, ma gli occhi di Francesco li trovò chiusi e trasportati. Li richiuse anche lei e si lasciò trasportare.
Impazzì di gioia e di amore quando il dolore fisico all’addome lasciò il posto a qualcosa di gigantesco che le invase il corpo, l’anima, la sua piccola ed insignificante storia intrecciata con la storia del futuro re delle Due Sicilie. Con gli occhi serrati si rivide bimba sulla magnolia, rivide la colomba. Ed il corvo! Aprì gli occhi improvvisamente. Francesco sorrideva. Due lacrime aspre e grosse come i limoni di quella terra le solcavano le guance felici.
Era affacciata alla sua finestra bifora quando sulla spianata, alla reggia, vide quell’andirivieni di persone, di cavalli, di piccoli plotoni di soldati, con divise diverse. Il vocio scomposto e lo scalpitio indefinito risalivano l’angoscioso silenzio della collina ed arrivavano fino al borgo. Le avevano fatto sapere che non era necessario scendere alla reggia quella mattina e Natella era rimasta alla finestra. Ricordando gli strani movimenti dei giorni prima, quando aveva intravisto il suo amore, ormai segreto, ormai segregato dentro il cuore, Re Francesco, passeggiare da solo dentro il boschetto del parco. Lo aveva seguito senza farsi notare e lo aveva visto avvicinarsi alla magnolia, accarezzarla delicatamente, sedersi su uno dei rami che era quasi parallelo al terreno, guardare verso l’alto, verso un cielo che gli era sempre stato favorevole ma che negli ultimi anni sembrava essersi rivoltato. Lo aveva visto riabbassare lo sguardo e tenerlo fisso sulla magnolia. La loro magnolia. Chissà cosa stava pensando! Chissà se la stava pensando?
Ormai era da tempo che non andava più con lui all’isolotto dell’amore e Natella aveva imparato a convivere con quel sentimento rimasto appiccicato alla magnolia. Del resto Francesco ora era re, era sposato. Non era più quell’adolescente che aveva conosciuto all’ombra di quel grande albero. Anche le loro condizioni si erano delineate. Non erano più due ragazzini, ma erano cresciuti: lui aveva preso la sua casella reale, lei aveva tenuto il grembiulino di servetta da piccola nascosto in un baule dentro casa al borgo con le tendine merlettate alle finestre.
Quell’ultimo anno era stato carico di eventi.
Gli risuonava ancora nelle orecchie la marcia nuziale ascoltata di nascosto da un anfratto della chiesa l’anno prima, quando lui, Francesco d’Assisi Maria Leopoldo, aveva giurato amore ad una donna che non conosceva e che ora ne era la moglie, Maria Sofia di Baviera. Aveva visto il sorriso di Francesco non perdere vigore, malgrado le continue voci di insurrezioni imminenti e malgrado la morte del padre gli avesse lasciato un regno infragilito ed ormai evanescente. Aveva visto crescere il pancione della nuova regina, le sue risa con la discussa sorella Sissi giunta dall’Austria, aveva udito il pianto ed i primi gargarismi della piccola Maria Cristina Pia di Borbone. E dopo pochi mesi ne aveva ascoltato anche gli ultimi vagiti. Le avversità personali andavano ad aggiungersi all’avanzata dei garibaldini che diventavano ogni giorno più aggressivi e che ormai minacciavano direttamente la corona borbonica.
“Il re va a Napoli, poi si ritira da qualche parte, dicono a Gaeta. I Borboni sono finiti, che vadano all’inferno!”.
La notte di Natale pianse a dirotto mentre il Re dei Re nasceva un’altra volta, lasciandosi guardare da luci indisponenti e fissando nel mezzo della grotta del presepe in legno, con il Bambinello che sembrava sorridere, Giuseppe, Maria e dietro una cometa rossa, a forma di peperoncino. Piangeva e teneva stretto in mano un foglio. Lo teneva stretto da qualche giorno. Era il proclama del suo di Re, il suo unico Re, che si rivendicava napoletano, che imprecava contro i traditori, che assicurava amore e fedeltà. Che ormai nessuno credeva più, perché a rivestire l’imminente ed ineluttabile futuro non si vedevano altro che giubbe rosse.
Anche perché Natella, che credeva nella precisione e razionalità del fato. Un fato che ad un esercito imponente e col favore del popolo aveva contrapposto un re bravo nell’amore – e Natella lo sapeva… –  ma non certo nella guerra, ed ancor meno nella politica. Ed anche questo Natella lo sapeva.
Lasciò cadere piano il proclama, si portò le mani al cuore cercandone i battiti e continuò ad osservare dalla propria finestra il maniacale gironzolio di persone sulla piana.
La reggia si liberò del suo Re.
Lei ci ridiscese due anni dopo.
Non c’era più il suo amore, dentro. Andò dritta fuori, al parco. Prese verso la magnolia, che era ferma, nuda, immobile al vento. Sola…
Non c’era nessuno in giro. Si abbassò quasi in genuflessione, indicò con l’indice il ramo che lasciato il tronco si liberava subito parallelo al terreno, quasi toccandolo. Fu allora che un bimbo si liberò dalla morsa di sua madre e vi saltò sopra. Una colomba gli si mise vicino. Natella tremò di paura. “Francesco, attento!”. Guardò dietro la colomba ed il bambino, nessun corvo. Nessun corvo si vedeva tra i boschi. Solo il riflesso del sole che colorava gli spazi tra gli alberi. Sorrise. E pure la magnolia le parve ora che sorrideva.

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  1. Elisabetta
    Originalità

    Coinvolgimento

    Stile

    Coinvolgente, arrivi alla fine della storia sperando che il destino faccia rinascere Natella tra le braccia del suo amore. Complimenti! Bellissimo!

    7 anni fa
  2. Gianpiero Venuti
    Originalità

    Coinvolgimento

    Stile

    Coinvolgente, originale con stile.

    7 anni fa
  3. Gianpiero Venuti
    Originalità

    Coinvolgimento

    Stile

    Bello, coinvolgente!

    7 anni fa
  4. Melina Patane '
    Originalità

    Coinvolgimento

    Stile

    Una “penna” felice questa di Filippo Brianni,autore di un racconto che, come una macchina del tempo ci conduce. legandoci ad ogni parola, in tempi lontani e in atmosfere che non ci appartengono ma risultano familiari per la bravura dello scrittore a descrivere luoghi e personaggi
    In poche righe Brianni ha saputo cogliere il dramma di un momento storico, inesorabilmente votato al cambiamento per il soffiare dei forti
    venti legati all’ Unità d’ Italia,
    raccontando la caduta del Regno
    Borbonico attraverso l’analisi del
    personaggio Francesco, re politicamente infelice, costretto ad un ruolo che non gli si con faceva
    Francesco è l’ adolescente appassionato che ama la bellezza e la coglie nel suo frutto più dolce, la sinuosa popolata, intelligente ed acuta,in fama di indovina
    Mondi in contrapposizione, letti analiticamente ma senza enfasi politica o psicologica,descritti nell’atto di vivere quella forma di dialogo universale che è l’Amore
    L’amore che si fa dramma della differenza sociale, della rinuncia e dell’ abbandono;sentimenti accolti col fatalismo di chi pensa di non poter cambiare nulla della propria condizione,ma che ha solo dato amore,portandone in solitudine le
    conseguenze
    Un breve racconto che sa racchiudere molteplici chiavi di lettura, rimanendo fino alla fine una scrittura limpida, suggestiva e abilmente descrittiva

    7 anni fa
  5. Toti
    Originalità

    Coinvolgimento

    Stile

    Stile meraviglioso e grande capacità di trasmettere l’evento ed il contesto storico. Le immagini della Reggia, poi, sono bellissime.

    6 anni fa

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