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L’uomo con l’ombrello

L’uomo con l’ombrello

Via Bonaldo Stringher
33100 Udine
Fantasia e Fantascienza Racconti
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L’uomo con l’ombrello

visita su Google street view     Udine,  Via Bonaldo Stringher /button>


Si può dire che la selezione naturale scruta di giorno in giorno, di ora in ora, in tutto il mondo, qualsiasi variazione, anche la più leggera, rifiutando quel che è cattivo e conservando ed accumulando quel che è buono; lavorando silenziosamente e insensibilmente, tutte le volte ed ovunque se ne dia l’occasione, al perfezionamento di ciascun essere vivente in rapporto alle sue condizioni di vita organiche e inorganiche.
Darwin 1859.
 
“Pochi lo notano, ma in primavera e in autunno nella nostra città appaiono quattro o cinque personaggi molto strani… …sono degli uomini vestiti di nero, solitari, taciturni. C’è chi dice che siano molti di più, ma è difficile verificare questa voce. Li si vede in giro con ogni tempo e in ogni ora. Nessuno li conosce, nessuno ci ha mai parlato. Hanno sempre impermeabile e ombrello neri. Solo una signora può testimoniare che comunque sono gentili, salutano sempre e sono molto riservati, almeno i due che vivono accanto a lei”.

Citazione tratta dall’articolo “Una setta religiosa in città?”, Messaggero del F*****, 27 aprile 2001.

Mi chiamo Rufus VIII, come altri cinque miei fratelli.
Sono uno fra gli ottavi rappresentanti della stirpe nata con Rufus I.
Questo mio avo, Rufus I, viene ricordato come capostipite poiché fu il primo a presentare tutte le caratteristiche essenziali dell’attuale stadio evolutivo della mia specie.
Però, prima ancora di lui, ci furono decine e decine di generazioni a cui corrisposero di volta in volta diversi livelli evolutivi.
Centinaia di generazioni, tra queste vi furono pure quelle che imboccarono delle vie che risultarono poi errate e che fecero scontare alla mia specie migliaia di morti e molti cicli vitali dedicati alla correzione dell’errore invece che al progresso evolutivo.
Un caso emblematico e tragico fu quello delle generazioni dette “dei quattro spicchi policromi”.
A quel tempo ci fu una vera e propria ecatombe e pochissimi furono quelli che riuscirono ad arrivare all’età della maturità riproduttiva.
Si giunse molto vicino alla totale estinzione.
Questa potenziale sciagura, probabilmente, avrebbe comportato una attesa di migliaia di anni prima che si venissero a creare le condizioni atte ad un nuovo esperimento evolutivo analogo a quello di cui io sono l’ultimo e il più perfetto frutto.
Per fortuna la linea evolutiva riuscì a sopravvivere a quel terribile errore, a correggerlo e a imboccare la via che si rivelò, almeno fino ad oggi, la migliore… ma forse, per farvi capire proprio tutti i passaggi di questa mia storia, è meglio che mi concentri sull’inizio di tutta la vicenda per poi seguire un ordine un po’ più rispettoso della scansione cronologica dei fatti.
Un giorno di inizio autunno nelle cittadina di U**** si tenne un palio tra cavalieri che provenivano un po’ da tutta Europa. Le corse furono emozionanti, la coreografia ben organizzata e accattivante, non mancarono chioschi e punti di ristoro per fermarsi a bere, mangiare e chiacchierare. Al seguito dei cavalli giunsero, ovviamente, pagliericcio e fieno.
Finita la festa tutti rincasarono, bestie e uomini; i chioschi furono smontati e gli striscioni riposti. Per alcuni giorni resti di paglia, terriccio e sterco fecero bella mostra in alcuni angoli della città.
In seguito, grazie alla solerzia del servizio di nettezza urbana per il grosso della sporcizia e grazie alle prime piogge autunnali per le minutaglie, ogni traccia “scabrosa” di quella festa scomparve.
La città rigettò nuovamente al di fuori dei suoi confini quella invasione della campagna che aveva per pochi giorni stravolto la routine urbana.
Però una piccola cosa era cambiata. Tra le fessure dei grossi blocchi di pietra calcarea che formavano il lastricato di una strada del centro storico, si erano arenate piccole quantità d’un miscuglio di frammenti di paglia, di sterco e di altro materiale organico non ben definibile.
Inoltre su una ventina di metri quadrati di quella strada erano arrivate casualmente delle spore fungine.
Forse portate dal vento, forse cadute dai banchi del mercato che una volta alla settimana nasceva in quel posto grazie all’affluire di ambulanti che offrivano le più svariate mercanzie, dai tessuti ai fiori, dai dolci ai quadri, dai formaggi ai funghi…
Alcune di queste spore caddero sulla sterile pietra per essere poi schiacciate da piedi e da ruote, altre furono trascinate nelle fogne dalla pioggia, altre ancora trovarono una protezione nelle fessure del selciato, fessure che come abbiamo già visto custodivano anche un buon humus per il tipo di forma vivente che avrebbero potuto generare le spore: una coltura di muffa.
Così grazie al tepore della stagione e al clima umido della zona si formò un bel reticolo di muffa che riuscì a produrre tante capocchiette grigiastre, le quali seguivano una disposizione regolarissima, i rettangoli delle fessure tra le pietre ben squadrate.
Questo avvenimento rappresentò la nascita del ceppo urbano della nostra specie.
Il primo problema da affrontare nel nostro percorso evolutivo fu dato dalla possibilità di raggiungere la maturità sessuale in ambiente urbano. I miei antenati infatti dovevano raggiungere una certa grandezza per poi produrre spore.
Gli unici luoghi in cui potevano attecchire nel centro città a U**** risultavano le fessure fra i cubetti del porfido o fra le pietre che formavano il lastricato delle strade, quindi capitò che la crescita degli individui per il raggiungimento della maturità sessuale li portasse a sporgere con le loro capocchie al di fuori del livello del lastricato.
Però così ad ogni passaggio di scarpa o di ruota si verificava un massacro.
La specie riuscì a riprodursi solo perché alcune colonie trovarono attecchimento in angoli non trafficati vicino a pali o a grandi ciotole ornamentali.
Se non si fosse trovata una soluzione ci saremmo avviati pian piano all’estinzione.
Il primo tentativo riguardò uno sviluppo del corpo fungino entro la rete delle fessure del lastricato.
Però anche questa soluzione non fu soddisfacente, infatti affinché le spore maturassero avevano bisogno di molta luce solare. Quindi i funghi nostri antenati raggiungevano notevoli dimensioni – con un corpo che in pratica era a forma di rete- però vedevano distrutte quasi del tutto le loro infiorescenze riproduttive dal passaggio di mezzi, uomini e animali.
Queste, infatti, per maturare dovevano ricevere la luce del sole e quindi sporgere oltre il livello di sicurezza rispetto al selciato.
Fra alcune colonie, in giro per le tre o quattro viuzze e la piazza che avevamo intanto occupato come specie, nacquero individui con un tessuto epidermico molto resistente, ottenuto tramite l’inglobamento di particelle metalliche e gommose. In tal modo le infiorescenze potevano resistere allo schiacciamento e al calpestio.
L’unico momento pericoloso rimase la mezz’ora in cui l’infiorescenza sbocciava e dava al vento le spore. Questo perché era impossibile far passere le spore tramite la corteccia molto dura e callosa che permise la sopravvivenza.
Però fu egualmente un successo!
In poche generazioni tutti gli individui nati da questo ceppo più resistente soppiantarono gli altri non evolutisi in tale direzione.
Fu il passo evolutivo che diede il via al periodo della nostra storia che è stato chiamato “dei corazzati”.
In alcune zone in cui le particelle gommose e metalliche erano meno numerose si registrò la tendenza a far sviluppare individui meno grandi in estensione reticolare e con un periodo di vita più breve. Ciò accelerò l’evoluzione.
Nacquero individui dal corpo relativamente più molle rispetto ai “corazzati”, e questi individui più molli avevano la capacità di concentrare lo sviluppo della pelle corazzata solo sulle infiorescenze. In compenso la maggiore permeabilità ed elasticità della pelle sul resto del corpo permise loro di creare degli scambi chimici con l’ambiente innovativi e di riuscire a generare calore con reazioni metaboliche. Questo calore si rivelò idoneo a indurre la maturazione delle spore senza la necessità della luce solare.
Fu così che questi individui poterono far sbocciare le infiorescenze nelle ore notturne, evitando il traffico diurno che falcidiava ancora, in certe situazioni, le infiorescenze mature nella fase di rilascio delle spore.
Sembra superfluo dirlo, ma anche questa volta in poco tempo ci fu un ricambio totale.
Però i “corazzati” furono sostituiti dai “notturni” un po’ più lentamente di quanto avvenne nel processo di sostituzione precedente, processo che aveva visto affermarsi i “corazzati” stessi.
Infatti per circa quattro o cinque generazioni i due ceppi convissero tranquillamente.
Si racconta ancora oggi che l’ultimo dei “corazzati” pian piano si ritirò tramite un tombino negli anfratti sotterranei e che lì acquisì nuove caratteristiche, fra cui una longevità incredibile… …qualcuno giura d’averlo visto di recente, ma sono solo leggende metropolitane!
Si passò così di generazione in generazione e parallelamente di evoluzione in evoluzione.
Ma la natura non procede in una sequenza di progresso continuo, in certi casi le mutazioni risultarono totalmente perdenti oppure furono funzionali solo di fronte a particolarissime occasioni, e appena non lo furono più vennero eliminate.
E’ inutile elencare tutti i passaggi, sarebbe anche noioso.
Mi limiterò a illustrarvi i passaggi salienti che portarono all’età dei “rufus”, l’età di cui io rappresento l’ottava generazione.
Una mutazione interessante e vincente in una fase di emergenza fu quella degli “spugnosi impermeabili”.
In un certo periodo la pulizia notturna delle strade di U**** venne effettuata con dei saponi estremamente potenti e corrosivi. Per cinque o sei mesi l’uso del prodotto divenne la prassi.
Ci fu una moria incredibile, in certe strade si passò automaticamente ad una strategia di sopravvivenza legata ad una minor densità di individui per metro quadrato associata alla tendenza ad’allargare il territorio di diffusione. In altre si utilizzarono i corpi delle vittime per costruire degli strati protettivi. Nacquero poi due o tre generazioni dette degli “spugnosi impermeabili”.
Questi avevano la pelle ricca di piccole cavità in cui il sapone si depositava senza scorrere via.
Avevano anche la capacità di entrare in una sorta di letargo ad ogni giro di pulizia della strada.
Così il sapone si seccava, le sue componenti dannose invece scorrevano via e i funghi ad ogni tornata inspessivano la placca di materiale protettivo.
Tutto il sistema aveva però l’inconveniente di rallentare terribilmente i cicli riproduttivi e in certi casi lo strato saponoso esogeno bloccava la possibilità di produrre infiorescenze e di sparpagliare nuove spore.
Appena gli uomini smisero di usare quel sapone gli “spugnosi impermeabili” scomparvero per lasciare il posto alla discendenza dei pochi sopravvissuti che non avevano adottato questa tecnica di sopravvivenza.
Un caso emblematico e tragico -come annunciato all’inizio- fu quello delle generazioni dette “qusp”. La sigla indica la definizione “quattro spicchi policromi”.
A quel tempo ci fu una vera e propria ecatombe e pochissimi furono quelli che riuscirono ad arrivare all’età della maturità riproduttiva.
Si giunse molto vicino alla totale estinzione.
Resta il paradosso che queste generazioni “qusp” nel loro totale fallimento e nella tragedia sfiorata aprirono in realtà la strada delle evoluzioni “verticali”; strada da cui nasciamo anche i miei fratelli ed io, Rufus VIII.
Cosa era accaduto?
Vi fu un periodo in cui il clima e la disponibilità incredibile di risorse diede luogo ad una sovrappopolazione mai sperimentata prima dalla nostra civiltà fungina e urbana.
Le nostre colonie crebbero esponenzialmente, iniziarono le lotte per lo spazio. Vi furono casi estremi di cannibalismo: funghi che parassitarono funghi, fratelli che si cibarono di fratelli.
Ai confini delle colonie ci si spingeva in una corsa per l’espansione territoriale… …purtroppo verso tutte le direzioni prima o poi incontrammo una barriera che ai quei tempi risultò insormontabile: l’asfalto.
Poi accadde che la nostra moltitudine divenne visibile per l’uomo. L’uomo non capì totalmente la nostra natura, ci combatté con grandi macchine con spazzole metalliche e reagenti chimici.
Fu una ecatombe, chi non moriva per le spazzole o per la chimica rimaneva soffocato dai cadaveri dei vicini.
L’unica salvezza sembrava risiedere nell’emigrazione, ma come fare per superare l’asfalto?
L’asfalto ci distruggeva.
Ci fu chi divenne appiccicoso per attaccarsi alle suole delle scarpe e ai pneumatici… …nulla da fare, anche un minimo passaggio sull’asfalto o uccideva i nostri o li rendeva sterili.
Ci fu chi pensò di fare come aveva fatto l’ultimo dei “corazzati”: la via delle fogne; ma di questi non si seppe più nulla.
Dopo un po’ di tempo apparvero dei mutati particolari. Questi individui avevano sviluppato una resistenza agli agenti chimici e superavano il problema meccanico della “spazzolata” velocizzando al massimo il ciclo nascita-riproduzione-morte. L’unico problema risultò nel fatto che le loro infiorescenze -non si sa per quali motivi- erano molto più alte della norma, più grandi e piuttosto tondeggianti. Inoltre apparivano come formate da quattro spicchi pigmentati in modo alternato: uno spicchio rosa e uno verde. Furono, appunto, chiamati “qusp”.
Questi “qusp” furono gli unici a sopravvivere all’attacco diretto umano. Gli uomini si abituarono ben presto alla presenza di una patina strana fra i cubetti di porfido e le lastre dei marciapiedi del centro storico della loro città. E si abituarono anche alla presenza ricorrente di piccole palline rosa e verdi. Del resto la disinfestazione meccanica e chimica costava un bel po’… …tutte tasse in più da pagare, meglio lasciare perdere.
Avvenne così che quella mutazione d’emergenza divenne la norma.
Però l’assenza degli attacchi chimico-meccanici umani portò quei funghi “qusp” -abituati a vivere in un ambiente totalmente ostile- a forme incontrollate di gigantismo.
Nel giro di due o tre generazioni le infiorescenze tondeggianti giunsero alla maturità tutte ad un diametro tra i 15 e i 20 centimetri. Fenomeno stranissimo… …attirò l’attenzione dei cuccioli d’uomo: la moda fra loro divenne la caccia ai “palloni strani”. Chi ne distruggeva di più vinceva. Le mamme non capivano perché i loro frugoletti -sempre restii alle passeggiate in centro per vedere le vetrine- per due settimane non protestarono più e inoltre risultava preferissero una ben precisa zona del centro città.
A forza di non poter più riprodursi i “qusp” portarono alla quasi totale estinzione la nostra stirpe. Il loro ciclo vitale iperveloce -vincente in origine- divenne letale associato al gigantismo delle infiorescenze.
Ho calcolato che nel momento culminante della crisi “qusp” devono essere riuscite a giungere a maturazione solamente tre infiorescenze… …ecco cosa rimaneva di una specie formata a suo tempo da milioni di individui.
Ma riuscimmo a passare anche questa!
Sempre per motivi sconosciuti le infiorescenze iniziarono a perdere la colorazione vivace e iniziarono ad assumere un aspetto più allungato.
La scarsità della popolazione portò ad un incremento del gigantismo sia orizzontale che verticale.
Su un metro quadrato una volta c’erano centinaia di funghi, in questa ultima fase di prima uscita dall’età “qusp” si registrò la presenza di un fungo ogni 2,5 metri quadrati.
Lo sviluppo in verticale, avviato con i “qusp” solo per le infiorescenze, -una volta corretta la pigmentazione e una volta elaborate strategie mimetiche funzionali- interessò anche il corpo fungino stesso.
Passarono centinaia di generazioni e di età.
Ci fu l’età dei “cilindrici”, si mimetizzavano fra i bidoni delle immondizie; erano persino cavi e utilizzabili dagli umani a tutti gli effetti. Alcuni esemplari avevano sviluppato un sistema digerente in fondo alle cavità in cui gli umani gettavano i rifiuti; che pacchia in certi periodi di abbondanza di rifiuti organici. Poi venne il turno dei “cilindrici pieni” che invece si confondevano con gli idranti. Con loro la massa di sviluppo fungino verticale superò in proporzione quella di sviluppo orizzontale.
Se fu importante l’avvento dei “cilindrici pieni” per la nascita della stirpe dei Rufus, ancora più importante se non essenziale fu la generazione dei “tubulari”.
Questi, dilatando la gamma di sostanze inglobabili nei loro tessuti, riuscirono nella straordinaria impresa di superare la barriera dell’asfalto. Addirittura i vari bitumi divennero la componente prima delle strutture di sostegno per lo sviluppo verticale (cosa inimmaginabile per molte delle generazioni precedenti per le quali asfalto e bitume erano sinonimo di “invalicabilità” e di “morte”).
L’asfalto inglobato permise di costruire entro i corpi fungini dei montanti verticali, dei tubuli leggeri e resistenti, delle vere e proprie strutture che permisero di svettare in altezza vincendo la forza di gravità.
Fra i “tubulari” più incredibili ve ne furono alcuni che diedero il nome a interi periodi della nostra storia; ci fu ad esempio l’era straordinaria dei cosiddetti “lampionidi”.
Che tempi!
Gli individui in quell’era raggiunsero altezze vertiginose e forme tali da riuscire addirittura a ricevere cure e attenzioni positive da parte degli uomini. I funghi giganti detti “lampionidi” assunsero appunto forma e dimensione di lampioni fra i più svariati: in stile liberty e classico per i centri storici, più razionali e spartani per le periferie. All’apice di questi funghi incredibili si sviluppavano escrescenze composte da tessuto connettivo fluorescente. Le mani di vernice che ogni tanto ricevevano dagli umani non solo non li danneggiavano, ma permettevano loro il ricambio del materiale inorganico che componeva le strutture portanti ai livelli più alti, dove era difficile far giungere in gran quantità molecole e particelle abbondanti a livello del terreno.
Quale orgoglio provo ad essere una delle fasi di sviluppo di questa gloriosa stirpe!
Ma l’evoluzione non si fermò.
Non si sa per quali motivi, ma accadde che fra i lampionidi si sviluppò un nuovo ceppo evolutivo. Certo, i lampionidi continuarono a vivere e a dominare la scena. Continuarono a diffondersi per le città e per le campagne, specializzandosi a seconda delle situazioni ambientali che incontravano.
Però, proprio nella città d’origine di tutto il processo, U****, per motivi ancora in parte oscuri, nacque la stirpe dei “Rufus” o altrimenti detta “Con l’ombrello”.
Il primo esemplare della nuova stirpe fu un lampionide che risiedeva vicino ad un laboratorio in cui gli umani conducevano attività strane perdendo un sacco di tempo con provette, sostanze e macchinari apparentemente inutili.
Questo lampionide, raggiunta l’altezza di circa un metro e ottanta centimetri, smise di allungarsi e crebbe in larghezza, assomigliando così ad un tronco d’albero secco e privo di chioma. Questa mutazione sarebbe dovuta risultare svantaggiosa, infatti la conformazione portò nel giro di qualche mese alla morte del nostro capostipite causata da uomini che potano e curano i giardini della città.
Eppure Rufus I, così poi venne chiamato il nostro antenato per il colore rossiccio della sua scorza esterna, ebbe il tempo di riprodursi. Nella zona in cui era collocato il laboratorio degli umani nacquero così una ventina di individui dalle spore di Rufus I.
Alcuni si svilupparono in modo identico a quello del padre, e fecero la stessa fine dopo un paio di stagioni. Alcuni invece, assorbendo sostanze che fuoriuscivano dai laboratori, subirono delle mutazioni velocissime. Fra variazioni astruse e bizzarre, sopravvissero cinque individui caratterizzati da un colore bruno scuro, da una escrescenza tondeggiante -proprio con la forma di certe cappelle di alcuni funghi- posta all’apice del corpo, e con la base del tronco suddivisa in due parti cilindriche di dimensione e lunghezza simile.
Si trattò della generazione dei Rufus II.
Nel giro di cinque o sei cicli stagionali, di generazione in generazione, per sopravvivere sempre al meglio e sotto l’influenza delle sostanze liberate nell’ambiente dagli umani col camice bianco, apparvero e vennero selezionate innumerevoli mutazioni.
Memorabile fu il passaggio fra i Rufus IV e i Rufus V.
Allora il frutto della muffa fungina che ci generò, e ci genera tuttora, assunse le fattezze di un corpo umano avvolto in un impermeabile scuro e protetto da una cappella molto resistente somigliante moltissimo ad un ombrello aperto.
I Rufus V nacquero in vari punti più o meno riparati e più o meno favorevoli alla sopravvivenza e alla riproduzione. Ce la fecero quelli che si trovarono in angoli umidi e ombrosi, in cui permaneva quasi sempre una certa penombra e in cui il passaggio degli umani era raro.
Con i Rufus VI si generò la doppia cappella, così che sotto quella a forma d’ombrello ne nacque una seconda più piccola, somigliante ai copricapo che portano a volte gli esemplari maschi degli umani.
Ma la cosa più importante fu che con i Rufus VI si sviluppò anche un sistema nervoso e si stabilizzò il periodo di infiorescenza: due volte all’anno per due mesi, in Primavera e in Autunno.
Oggi, dopo i Rufus VII, ci siamo noi, i Rufus VIII. Certo i lampionidi sono più longevi, più numerosi e più diffusi, ma presto noi soppianteremo tutti i nostri cugini rimasti indietro evolutivamente.
E’ una certezza, ce lo insegna tutta la nostra storia.
Ciò soprattutto per l’incredibile sviluppo del nostro sistema nervoso, che ci permette ormai di muovere molte parti del nostro corpo fungino.
Scusate un attimo.
“Buongiorno signora Rosa!”.
“Buon giorno a lei, dottore”.
Vedete, non sono ancora riuscito a dire nulla di più alla signora Rosa, è molto riservata e schiva, ma già mi considera un dottore! Del resto mi sembra che voi mi comprendiate del tutto e che la mia dizione sia buona, chiara.
C’è uno di noi che vive laggiù, vicino alla roggia, che dice che fra qualche decennio non solo avremo lasciato alla storia i lampionidi, ma riusciremo ad iniziare a soppiantare gli umani.
Lo consideriamo tutti un po’ bizzarro, detto fra noi, un po’ tocco.
Del resto insiste nel dire che lui è riuscito a trovare un sistema per spostarsi dal posto in cui è nato portandosi dietro un po’ di terreno inglobato su cui mantenere il reticolo fungino generatore.
Io sinceramente ci credo poco, ma chi può dirlo, con una storia come la nostra ci si può aspettare di tutto…
Il signore con l’ombrello congedò gentilmente Andrea e Federico, i quali corsero subito a casa per raccontare dell’incontro e della storia ascoltata ai genitori.
Andrea, 8 anni, fu portato da uno psicologo, poi da uno psichiatra.
Federico, 11 anni, ebbe il divieto di giocare con i videogiochi per due mesi, poi per un annetto.
Nessuno, ovviamente, pensò d’andare a verificare l’esistenza di quell’uomo con l’ombrello.


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