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La mamma è la mamma

La mamma è la mamma

Via San Quirico
06059 Todi (PG)
Diari e Memorie Racconti
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La mamma è la mamma

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Io sono nata alla fine del 1946, nella profonda campagna dell’Orvietano a circa 15 Km dalla città,  in una numerosa famiglia patriarcale di contadini, come ce n’erano una volta.
Finite le scuole elementari ebbi, eccezionalmente, la possibilità di continuare a studiare e frequentare la scuola media; dico che ebbi  questa opportunità  eccezionalmente  perché ero figlia “femmina” di contadini e in quegli anni i figli di contadini non studiavano ma, finite le elementari, iniziavano a lavorare nei campi o in casa,  le donne fino a qualche anno prima neanche avevano il diritto al voto perciò eccezionalmente mi è sembrato l’avverbio più appropriato. Ma questa è un’altra storia degna di essere raccontata a parte.
I miei genitori ascoltarono con attenzione i consigli della mia maestra poi, con consapevolezza presero la loro decisione  che  però dovettero difendere strenuamente contro tutto e tutti; sembrava tutto risolto ma restava da decidere come e dove andare:  – le scuole medie erano ad Orvieto che però distava circa 15 km, e la corriera
non c’era, – sarei potuta andare in collegio ma era costoso e non c’erano i soldi per pagare la retta, – ad Orvieto non avevamo parenti o amici che avrebbero potuto ospitarmi. Che fare ?

Fortunatamente i miei nonni materni si erano appena trasferiti a Todi così si decise che sarei andata  da loro  ed io fui contentissima perché volevo molto bene ai miei nonni e loro me ne volevano anche di più. Todi era  lontana ma io sarei comunque potuta tornare a casa a Natale, a Pasqua e in Estate, sembrava tutto a posto ma non avevo fatto i conti con la nostalgia ed il distacco dalla mamma.
Il distacco dal babbo lo avevo già sperimentato quando era stato in ospedale qualche mese a Firenze ma dalla mamma non mi ero separata mai neanche quando, a sei anni, avevo rotto una gamba ed ero finita all’ospedale. In quell’occasione, dopo due giorni di ricovero,  mia zia Marietta venne in ospedale per dare il cambio alla mamma e mi portò in regalo una  bambola ma io, che non avevo avuto mai una bambola, la rifiutai e feci un tale putiferio che il primario preferì dimettermi. Chi lo sa che fine avrà fatto quella bambola! 
La mamma mi raccontava, specialmente negli ultimi anni della sua vita, che da piccola mi chiamavano la “santarellina” perché ero sempre silenziosa e tranquilla ma mi sa che non era del tutto vero!
I nonni e lo zio erano molto affettuosi, mi riempivano di  attenzione e di affetto, erano felici della mia presenza e del fatto che fossi lì per studiare; io anche ero contenta  ed i primi giorni andò tutto bene, oltre alla soddisfazione di essere lì per andare a scuola,  c’era la novità di essere in città, una piccola ma bellissima  città, di abitare in una casa modesta ma  con la luce elettrica e l’acqua corrente in casa, insomma un sacco di novità per me ragazzina di campagna che non ero stata mai in città.
Poi dopo qualche giorno cominciò la nostalgia di casa e della mamma, il telefono non c’era e le lettere ci mettevano giorni se non settimane, io  cercavo di nascondere il mio stato d’animo ma la nonna e il nonno sensibili ed attenti se ne accorsero e quando mi chiesero: “Cellì (abbreviazione di Cellina nomignolo affettuoso in dialetto) cosa ti manca?” Io scoppiai a piangere e risposi solo: “la mamma è la mamma!”
La corriera per Orvieto, che passava al Fossatello dove abitavano i miei genitori,  c’era solo due volte a settimana e l’ indomani era un giorno di questi; il nonno  mi sveglio prima dell’alba mi fece vestire e mi portò a trovare i miei genitori;  non crediate che sia stata  una cosa da niente, intanto era comunque un viaggio di quasi due ore all’andata e altrettanto al ritorno perché la corriera si fermava spesso,  quasi ad ogni  casale, faceva da postale (infatti per noi era il postale e non la corriera, portava persone, cose, lettere,  messaggi anche vocali) ed il prezzo del biglietto era comunque costoso per due vecchi contadini pensionati come erano i miei nonni.
Rinfrancata dagli abbracci dei miei genitori, del mio fratellino, dei miei cugini e da tutti gli zii tornai a Todi con il nonno in vicolo San Quirico, ero pronta per affrontare i miei tre anni di medie lontana da casa.
Nel vicolo abitava una cugina della mia mamma, zia Lucietta,  con la sua famiglia e  un’altra famiglia di amici, con una figlia mia coetanea che si chiamava Graziella,  che ospitavano un’altra bambina della mia età, che però era di un paesino vicino e a differenza di me tornava a casa tutti i sabato; eravamo tutti amici e parenti in armonia e mi sembrava come si fosse un po’ ricostruita la mia numerosa famiglia.
Mi ambientai e cominciai a sentirmi a casa nonostante la nostalgia della mia casa e della mia famiglia; con zia Lucietta andavamo al parco con i suoi bambini, con Graziella e sua cugina andavamo a scuola insieme, qualche volta al cinema nel bel teatro Comunale di Todi, io che non avevo visto mai il cinema! Con i nonni qualche volta andavamo in campagna dal fratello della nonna  così non sentivo neanche la mancanza della campagna, dei prati, degli animali. Zia Lucietta, che era sarta come la mia mamma, mi cucì anche un cappotto, il mio primo cappotto!
Zio  Ascanio, fratello della mamma, che suonava la fisarmonica ed amava ballare a volte organizzava a casa piccole  festicciole e mi insegnava qualche passo; una volta, per carnevale,  mi portò anche a ballare, zia Lucietta mi aveva prestato una gonna blu a pieghe e una camicetta bianca e, vestita da signorinella,  mi sentii una principessa. Mi  divertii moltissimo, tornammo un po’ tardi e mi addormentai felice e stanca; era il 14 febbraio 1961 (non ricordavo la data esatta  ma mi è stato facile ritrovarla su internet), la mattina dopo ci fu l’eclissi totale di sole che io non vidi perché, nonostante  i tentativi della  nonna io, stanca della serata eccezionale di ballo, non  riuscì a svegliarmi in tempo.
Riuscii a vivere felice anche lontana dalla mamma che sapevo esserci anche se distante da me, l’affetto di amici e parenti, la tenerezza dei nonni e la complicità dello zio non mi mancavano, e mi aiutarono anche  tutte le novità che, nella mia giovane vita  stavo affrontando.
La città, la luce elettrica, il gas per cucinare, il bagno in casa, il cinema, il cappotto,  il ballo! Ma  la più grande novità di tutte forse per me fu  il fatto che ogni classe avesse  un insegnante per ogni materia o quasi; io venivo da una scuola di campagna dove avevamo una maestra per tre classi, o meglio, l’aula  era una sola ma dentro c’erano alunni di tre classi diverse.
Le novità e la curiosità per scoprirle ed accettarle  aiutano a vivere, a progredire a non arrendersi ed anche a non invecchiare.

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  1. Al'72
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    E’ un racconto che trasmette un elemento bellissimo, che sento raccontare da tante persone che hanno provato la gioia di poter studiare o la tristezza e la rabbia per non poterlo fare: una dolce testimonianza sulla quale dobbiamo riflettere. Studiare ci rende liberi di scegliere!

    7 anni fa
  2. Marco Pax
    Originalità

    Coinvolgimento

    Stile

    Le storie vere trasmettono sempre emozioni autentiche

    7 anni fa
  3. moissela
    Originalità

    Coinvolgimento

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    Una storia fine anni ’50 inizi anni ’60 quando studiare non era scontato per tutti ma cominciava a diventare possibile e qualche volta il sogno si realizzava.
    Mi piace pensare che anche la magia della bella Todi abbia contribuito ad attenuare la nostalgia della bambina per la sua mamma.

    7 anni fa

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