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I pensieri che vorresti non avere (sul femminismo e sul nostro corpo)

I pensieri che vorresti non avere (sul femminismo e sul nostro corpo)

Viale Unicef 26
74121 Taranto
Sociale Racconti
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I pensieri che vorresti non avere (sul femminismo e sul nostro corpo)

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Ieri sono andata in un locale. Ad accoglierci, ovviamente, una ragazza. Bella, capello biondo e mosso, vita stretta e seno prosperoso ma non volgare, gambe magre e glutei tondi, alti, sodi. “Ma quanto è bella questa ragazza?”, ho pensato; ho iniziato ad osservarla e, perché nasconderlo, ad invidiarla.
Avrei voluto avere il suo sedere, avrei voluto poter indossare quei pantaloni bianchi facendo una bella figura come la facevano su di lei. Sarei ipocrita a dire che sono una brutta ragazza o a dire che ho un brutto fisico, sarei ipocrita a dire che non piaccio, perché si tratta sempre di questo: piacere più che piacersi. Eppure guardavo quella ragazza, che mi piace immaginare si chiamasse Sara, con la solidarietà di una donna che vuole dirti quanto sei bella, perché non è una competizione la nostra (o meglio, non dovrebbe esserlo) ma allo stesso tempo con quell’invidia sana che mi faceva sentire inferiore e insicura; per intenderci: Sara sarebbe stata quell’amica con cui se ci esci con un gruppo di ragazzi, sai che guarderanno lei piuttosto che te. E quindi eviti a volte di uscirci, maledicendo questo pensiero che ti fa schifo avere ma che senti inevitabilmente dentro di te. Però la serata è proseguita, ci siamo seduti al tavolo e io mi sono divertita senza pensare più a Sara.
A fianco a me c’era Dysia, la mia migliore amica. Lei ha una storia un po’ diversa dalla mia: io non mi piaccio ma, come detto prima, sarei ipocrita a definirmi una brutta ragazza; non sono mai stata bullizzata per il mio fisico, per i miei kili, non ho mai contato le calorie, mi sono raramente vergognata di uscire perché mi sentivo brutta (e le volte che è successo, alla fine uscivo lo stesso), non ho mai avuto “fear foods”, non mi sono mai privata di mangiare qualcosa perché “mi fa ingrassare”, non ho mai seguito diete dimagranti. Dysia sì. Non fraintendete, è bellissima in ogni sua forma però per lei non è sempre (mai) stato così. E neanche per quegli idioti frustrati che si sentono appagati se ti prendono in giro perché hai più kili di loro. Non sono nella testa di Dysia però non mi è stato troppo difficile immaginare cosa le fosse passato per la testa quando ha visto Sara dai capelli biondi e con i pantaloni bianchi. Un po’ perché me lo ha detto lei, un po’ perché, se sei attento, glielo si legge negli occhi alle persone, quando soffrono.
Dysia ha notato le stesse cose che ho notato io e ci siamo anche scambiate un commento: «Hai visto che bella?», chiedendoci poi come sia possibile avere dei glutei così alti e tondi. «Costituzione» – ho detto io – «e tanta palestra» ho aggiunto, come da una parte a voler giustificare il motivo per il quale non potrò mai avere dei glutei così (costituzione) con un velo però di autocritica, perché se mi allenassi forse anche io potrei averlo, quindi è anche colpa mia… come se avere un sedere alto, sodo e tondo fosse un dovere, ma a questo poi ci arriviamo.
Abbiamo notato le stesse cose, la differenza sta nel fatto che io mi sono poi seduta al tavolo e a Sara non ci pensavo più, Dysia si è seduta con me però con lei c’era anche l’immagine di Sara nella sua testa. E da che era Sara ad invadere i suoi pensieri, si è aggiunta anche quella ragazza con il seno perfetto che si è alzata per andare in bagno, e quell’altra ragazza dai capelli rossi con la schiena più sensuale che Dysia avesse mai visto fino a quel momento; per non parlare di quella cameriera mora con la pancia così piatta da far intravedere le linee oblique degli addominali.
Erano tutte belle ragazze; quello che però sfuggiva a Dysia, mentre era occupata ad idealizzare e invidiare queste donne perfette, erano i glutei un po’ scesi della ragazza dal seno perfetto, e quel vestito che scendeva lineare, senza troppe curve, sul petto della rossa dalla schiena mozzafiato, e il naso un po’ adunco della cameriera con l’addome migliore di Italia. Dysia non aveva neanche visto che mentre mi piegavo per prendere il tovagliolo che mi era appena caduto, l’addome piatto che aveva- a sua detta- sempre apprezzato (e invidiato) molto di me, aveva creato tanti rotolini che poi sono andati via una volta tornata a sedermi in posizione eretta (perché se mi fossi accasciata, sarebbero rimasti lì). Le sono sfuggite tante cose, tantissime, tranne quanto fossero perfette tutte tranne lei. Mi sembra inutile a questo punto dire che non si è divertita troppo quella sera, mi sembra però molto utile dire che dopo quella sera ha iniziato di nuovo a mangiare un po’ di meno.
Io e Dysia abbiamo vissuto una serata tanto analoga quanto diversa: la diversità ve l’ho già illustrata dove risiedeva, l’analogia risiede invece nel fatto che ci siamo sentite entrambe sbagliate in un sistema che è esso stesso ad essere sbagliato.
Cosa sarebbe successo se da piccole in TV avessimo visto Adele come ragazza immagine piuttosto che Belen? Se avessimo visto veline a Striscia la notizia con qualche smagliatura e qualche buco di cellulite sparso qua e là? O se avessimo visto ai moto show ragazzi illustrare la mostra piuttosto che donne con abiti succinti (rigorosamente non oltre la taglia 38)? Se al posto di Sara, e di tutte le Sara che abbiamo incontrato in ogni locale, ci fosse stata una taglia 50? O un ragazzo un po’ bassottello? E se quella mamma (perché è casualmente quasi sempre una donna a dirtelo) un po’ severa quel giorno non ti avesse detto «Vedi che poi ingrassi», come se l’idea di ingrassare equivalesse ad una minaccia: se mangi ingrassi, se ingrassi non rispetti gli standard sociali, se non rispetti gli standard sociali non piaci, se non piaci rimani zitella.
Prima ho detto che quando ho visto Sara e i suoi glutei perfetti, mi sono data un po’ la colpa perché in fondo è anche colpa mia se non mi voglio allenare. Non mi piace allenarmi, lo trovo profondamente scocciante e se penso a tutte le volte che l’ho fatto mentirei se dicessi che l’ho fatto per me stessa. L’ho fatto perché non corrispondere agli standard sociali mi faceva sentire insicura, brutta, quindi dovevo migliorarmi per avere un culo come quello di Sara. Ma a me la palestra non piace. E allora perché l’ho fatto lo stesso? E a dirla tutta, quando non lo metto a confronto con quello delle altre, il mio sedere non mi fa neanche così schifo.
Ci insegnano che il seno giusto è quello alto, tondo, sostanzioso ma non troppo, che sennò poi siamo volgari; le gambe giuste sono quelle slanciate, magre ma non troppo che sennò poi quando un ragazzo ti prende la coscia che deve toccare? Le ossa? Quindi un po’ di carne ci deve essere, ma non moscia eh, muscolosa. E le gambe slanciate devono culminare in un sedere tondo, alto, sodo, sporgente. Sull’addome ci sono diverse scuole patriarcali di pensiero:
a) non è rilevante, basta che ci siano il culo e le tette (esempio pratico: quelli che ti dicono «Ma vedi che ai maschi non importa della pancia piatta» però culo e tette devono essere d’obbligo, quando tentano di consolarti: se piaci ai maschi, allora non ti devi preoccupare di altro)
b) la pancia deve essere piatta e preferibilmente con l’addome delineato.
Chissà che mondo sarebbe se ci avessero insegnato altro, se avessimo visto altro alla TV, sulle copertine dei giornali, sulle passerelle delle sfilate di moda, alle scrivanie degli uffici, nei pub e nei bar. La trappola delle abitudini è che sono facilissime da prendere, difficilissime da perdere. Ma una cosa che è sempre stata così non significa che sia sempre stata giusta. Forse non si può cambiare il mondo, ma il mondo è fatto di individui, e gli individui sì che possono pensare, educarsi, cambiare, evolversi. Che succederebbe quindi se ci creassimo dei nuovi insegnamenti?
 
Quello che sto cercando di dire a Dysia, a tutte le Dysia sparse nel mondo, a me stessa, a tutte le me sparse nel mondo, è che Sara era indubbiamente bellissima ieri sera. Ma avete mai pensato con che sfumature i nostri occhi avrebbero guardato Sara se tutto ciò citato sopra non ci fosse stato inculcato da che siamo nate? Se la nostra educazione non si fosse fondata su un sistema patriarcale, maschio, bianco, etero, cisgender?
«Eh ma con i ‘se’ non si va avanti, ormai siamo cresciute in questo mondo, non possiamo tornare indietro» avrete buona ragione a pensare e a dirmi. Però fate attenzione: il mio ‘se’ non apre un’ipotesi su ciò che poteva essere, apre un’ipotesi su quello che possiamo educare ad essere.
Quindi Dysia, promettimi una cosa: la prossima volta che ci vai in quel locale, la prossima volta che vedi una Sara, pensa a quanto è indebito verso te stessa sentirti sbagliata in un sistema che si sente e afferma come giusto nella sua invece reale devianza.
E magari pensa anche a quanto sei bella, perché sei tu.

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