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Via Merulana
Roma
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La salita lungo via Merulana, all’ombra dei pochi alberi rimasti non ancora sfoltiti dagli addetti al mantenimento stradale, era davvero un autentico strazio, sapendo il triste destino che ancora una volta – per la quarta domenica di fila – Hélène si accingeva a dover scontare.
La settimana successiva sarebbe stata Pasqua, chissà se qualcosa sarebbe finalmente cambiato; ma intanto la ragazzotta belga saliva lungo la strada strisciando lentamente, senza alcuna fretta, in preda al solito sentimento.
A furia di prender botte, il sedere le era diventato come un grosso pacco di scorza dura, con due orrende placche di pelle annerite, sulla superficie dei glutei bianchi piuttosto corrugati, dalla cellulite e dal servizio ricevuto con la paletta.
Inoltre, sentiva la bocca dell’ano ancora intensamente dolorante; Adrian l’aveva sodomizzata in modo fiero e deciso, per diversi minuti, inginocchiato alle sue spalle sul sedile posteriore dell’automobile. Davanti allo sguardo impassibile di Jan, seduto sempre al posto di guida.
Hélène avanzava lungo la salita, tutta stretta nella sua gonna nera, contrita e triste, avrebbe voluto piangere.
Quella mattina aveva indossato nuovamente le sue calze più corte, nell’intento di non soffrire eccessivamente il caldo; e s’era preparata meccanicamente, mentre in casa le sue due coinquiline erano ancora alle prese con la colazione e con la doccia.
Con Paula, Hélène parlava oramai assai di rado; Chiara invece l’aveva aiutata con lo studio fino al pomeriggio di due giorni addietro, salvo poi lasciarle intendere di non poterle dedicare più alcun tempo durante il fine settimana.
E dopo poco più che ventiquattr’ore, alle undici di mattina dell’indomani, nell’aula ubicata al piano terra vicino alla sala della mensa, si sarebbe svolto l’esame che Hélène aveva tanto atteso e che adesso tanto temeva.
L’ultimo tratto di strada lo fece camminando sul lato sinistro, con un filo di vento che le scombinava leggermente i lunghi capelli lisci neri; aveva il viso bianco e delicato come sempre, forse un po’ meno gonfio e paffuto del solito. Piccoli occhietti scuri e vivaci, uno sguardo ingenuo e perduto, da bambina cresciuta malamente: tanti dettagli che quel giorno le conferivano un’aria vagamente diversa rispetto al solito.
Il signor Mariano la accolse sull’ingresso del locale prendendola per mano; non gliela stringeva dal giorno del loro primo incontro. Le disse: “Ho una sorpresa per te …”. Hélène avanzò dentro il salone illuminato solamente da alcuni faretti disposti lungo la parete, atterrita come sempre.
La fece sedere sul divanetto della sala centrale, e si volse verso la barra con tutti i calici del vino rovesciati; le disse: “… adesso chiudi bene gli occhi…”. Hélène obbedì, e dopo pochi istanti udì nell’aria chiusa e rarefatta di quel luogo, un sibilo vago e lontano; dopo qualche secondo divenne più netto e vicino. Il signor Mariano le ordinò di aprire gli occhi, e le mostrò la lunga bacchetta di legno duro che egli brandiva nella mano. La scosse una volta ancora, dall’alto in basso, con le movenze solenni d’un direttore d’orchestra.
Hélène ristette spaventata, irrigidendosi lungo tutta la spina dorsale, nella sua camicetta bianca d’ordinanza. Rimase immobile sul divano in posizione inarcata, così come s’era disposta nell’istante in cui aveva riaperto gli occhi.
Il signor Mariano scosse un paio di volte ancora, la dura bacchetta a pochi centimetri di distanza dal suo viso; e solamente in quel frangente, utilizzando l’attrezzo come se fosse la punta d’una lancia, le fece segno d’alzarsi e di entrare nel solito piccolo studio, la cui porta era ancora chiusa.
Hélène allora si sollevò senza alcuna leggerezza, tenendosi ambedue le mani aperte sul volto, e muovendosi con postura sempre lievemente inarcata; a quel punto il suo padrone ebbe quasi l’istinto di colpirla sul didietro della gonna, mentre ella gli passava dinanzi. Poi si mosse alle sue spalle, con la bacchetta infilata sotto il braccio, potendo così estrarre dal taschino della camicia, un sigaro nuovo da scartare.
La porta dello studio era chiusa, e Hélène si arrestò di fronte ad essa, non sapendo esattamente cosa fare; non aveva ancora parlato da quando era entrata nel locale. Il signor Mariano le disse, senza alcuna cortesia: “La chiave si trova nel primo cassetto sotto alla credenza … io ti aspetto qui, rapida”.
Hélène provò per una volta ancora, l’insano istinto di scappare via da quel luogo, che sembrava sempre più simile ad un inferno. Ma non lo fece, e tornò indietro fino in fondo alla sala di mezzo, con la piccola chiave di ferro stretta nella mano. “Apri”, le ordinò il suo datore di lavoro, e così ella fece, trovando la solita scrivania di legno che l’attendeva, nella penombra della piccola stanza.
In quel momento, sentì la bacchetta di legno che le veniva imposta sul sedere, lungo il retro della gonna; il signor Mariano la stava testando, e voleva fargliela sentire in tutta la sua durezza e nel suo spessore.
Poi accese il suo sigaro, e prese a tirarlo e a tossire in maniera scomposta; infine dopo l’ennesimo colpo di tosse, le disse con tono fermo: “Se fossi stato più giovane di vent’anni … ci sarebbe stato quest’oggi un cazzo duro, al posto della bacchetta … ti dovrai contentare di questa, cameriera”.
Hélène prese a piangere disperatamente, con ambedue le mani aperte sugli occhi, e le unghie aggrappate alle sopracciglia; non poteva fare null’altro, di fronte a quelle parole così volgari e spregevoli: avrebbe voluto nascondersi.
Il signor Mariano riprese, tra una boccata di fumo e l’altra: “la paletta della cucina ti ha indurita, questo invece te lo farà a strisce …”, e si mise a ridere in modo orrendo.
Poi concluse, mentre sentiva il pene crescergli in modo informe e innaturale, fino quasi a fuoriuscirgli da un lato sotto alle mutande: “Avanti! … fammi vedere come sei messa oggi … su quella gonna”. E le diede un piccolo colpetto sul didietro di nuovo, per ribadire il concetto.
Hélène non s’era ancora piegata in avanti, e lo fece in modo spontaneo, nell’istante stesso in cui ella si sollevò la gonna, obbedendo all’ordine; il signor Mariano accese una lampada nel piccolo studio e ne volse il braccio flessibile verso di lei, fino ad illuminare da un lato in modo trasversale e un po’ grottesco, il gigantesco popò della povera ragazza.
Si intravedevano due orribili macchie nere verticali, che le scendevano da sopra, fino alla metà esatta d’entrambi i glutei tumefatti. Il resto era tutto uno schifo di bozzi e di bucce d’arancia, una vista davvero impietosa. La mutandina color carne sembrava quasi un filo trasparente ed evanescente, illuminata di lato nella luce fioca dello studio.
Hélène continuava a piangere disperata, e non si diede pena di afferrare la sedia di fronte, come era solita fare tutte le volte; il signor Mariano glielo rammentò, puntando la bacchetta e colpendo ambedue i braccioli, prima quello sinistro e poi quello destro, in rapida sequenza.
Con una mossa decisa, le abbassò le mutandine, che a quanto pare lo disturbavano; gliele tirò giù senza liberarla in mezzo alle gambe, lasciandole il minuscolo filino rosa e l’elastico leggero entrambi discesi, che penzolavano di poco sotto alla cavalcatura della povera ragazza.
Poi le appoggiò nuovamente la dura bacchetta di legno, ed Hélène avvertì immediato, un forte ed intenso bruciore: era unicamente la spinta del legno contro le due grosse chiazze sul didietro, a causarle quella pena. Tremò al solo pensiero, di quello che l’avrebbe attesa di lì a poco.
Le disse, dopo l’ennesimo tiro di sigaro: “Te ne darò dieci, e poi metteremo il tappetto, è già pronto”. E si mise a ridere.
Poi aggiunse, con tono di voce sempre più sadico e fastidiosamente oltraggioso: “Ma devi contarle tesoro mio … semplicemente uno e poi grazie, dopodiché due … e poi avanti fino a dieci”.
Era la stessa triste umiliazione, cui era stata sottoposta durante la sua festa per i diciott’anni.
“Hai capito … stupida cameriera !?!”, urlò alle sue spalle l’uomo, appoggiandole nuovamente la bacchetta tutta quanta per intero, da sinistra a destra; al punto che in quell’istante il culone rigonfio della ragazza pareva tagliato in due, a metà, da una severa linea orizzontale scura.
Hélène mollò i due braccioli per un attimo, asciugandosi le lacrime e sospirando in modo desolato, dopodiché si piegò nuovamente con la pancia lungo tutta la scrivania, ed afferrò la sedia con tutta la forza di cui disponeva; il signor Mariano le sistemò meglio la gonna lungo la schiena.
Prese lo slancio, e la colpì, con un sibilo lungo e penoso; Hélène non resistette, e subito tirò in su la povera schiena, abbandonando i due braccioli. Emise un guaito acuto e intenso, e subito fu di nuovo con le mani poggiate sopra alla scrivania, e l’enorme sederone sollevato, che ancora oscillava scosso dalla bacchetta durissima.
“Non dici nulla ?!?…” la derise il suo padrone, carezzando la bacchetta e poi riprendendo subito: “Avanti! piegati di nuovo …”. Ma Hélène piangendo rispose: “… ma signore … fa tanto male”. Egli allora le mise la mano lungo la schiena, con tutto il suo sigaro acceso tra le dita, e la spinse di forza ordinandole: “Giù! … pancino piatto”.
Hélène afferrò nuovamente i braccioli piangendo, poi chiuse gli occhi, e poté avvertire il sibilo nuovamente. Fu colpita ancora, stavolta leggermente più in basso, e fece uno sforzo enorme per non mollare la presa dei braccioli dinanzi a lei.
Il sederone dopo ogni scossa vibrava per qualche istante, alla luce fioca della lampadina, e sotto lo sguardo curioso e divertito del proprietario del locale; le appoggiò la bacchetta una terza volta ancora, mollandole due colpetti leggeri, per poi inarcare la schiena come un esperto giocatore di golf, allargare il braccio, ed infine scaricarle addosso la sferzata. Hélène ululò, e ancora una volta mollò la presa dei braccioli.
Il signor Mariano le si fece accanto, sul lato sinistro, avvicinandole la punta della bacchetta al viso; era davvero rude e minaccioso, come mai prima d’allora gli era capitato.
Disse digrignando i denti a Hélène: “Siamo ancora a zero stupida cameriera … non t’ho ancora sentito dire uno …”; Hélène comprese disperatamente, di avere trasgredito quei semplici ordini. Allora singhiozzò per liberarsi la gola dalle lacrime discesele in basso, ed assumendo nuovamente la posizione reclinata, chiuse gli occhi.
“Uuu…no …” ululò subito, appena fu colpita per la quarta volta, ed appoggiò il capo in avanti, con i capelli che immediatamente le si volsero da un lato.
“Non ho sentito … grazie “, ribatté il signor Mariano, e senza darle nemmeno il tempo di assestarsi, la colpì nuovamente in modo virulento, al punto che Hélène emise uno squittìo penoso, simile al verso di una scimmia.
“Ricominciamo daccapo … abbassati” le ordinò il suo datore di lavoro; Hélène per un istante si mise le mani lungo i glutei, e poté avvertire pienamente, come fossero divenuti entrambi caldi, rovinati e duri da fare spavento. La bacchetta le fu nuovamente poggiata sul didietro, sopra il dorso delle mani, al punto che ella dovette affrettarsi a toglierle di lì, per il concreto timore che venissero colpite anch’esse.
Si abbassò, il signor Mariano tirò per due volte il suo sigaro, mentre il pene era già eretto in modo deciso, al punto che se solamente Hélène si fosse voltata, lo avrebbe sicuramente intravisto, una leva inclinata di traverso sotto la stoffa di lanetta dei pantaloni.
“Giù … di nuovo”, le disse, mentre spingendole la schiena con la bacchetta, la costringeva ad abbassarsi lungo il tavolo.
A quel punto tutto si fece silenzioso, mentre il pallido sederone già interamente deturpato tremava indifeso dinanzi a lui; il proprietario del locale lo guardò, poi osservò il capo della ragazza piegato in avanti, ed infine aprì il braccio e la colpì con grande precisione e forza inaudita.
“Oo-oh uuuh… grazi oo…” mugolò Hélène; ed il signor Mariano venne immediatamente, eiaculando nei propri pantaloni in modo talmente abbondante, che parte dei liquidi gli discesero lungo le gambe fino a bagnargli i calzini giù in basso. Si eccitava davvero per quella miseria.
Se solamente Hélène lo avesse veduto, avrebbe sicuramente provato uno schifo indicibile; ed invece in quell’istante, la ragazzotta belga sentiva nuovamente montare un’assurda ossessione. Era incredibilmente, la stessa identica ed inconfessabile sensazione, provata due anni e mezzo addietro, al Camping de la Lesse. Il giorno del suo primo, vergognosissimo e rovinoso orgasmo.
Chiuse gli occhi e aprì la bocca, dopodiché fu colpita di nuovo, provando un dolore incredibile; ma senza battere ciglio rispose: “… duee signore … gra … grazie …”.
Un minuscolo rivolo di sangue iniziava a venirle fuori in cima, leggermente da un lato. Il signor Mariano, mentre sentiva i liquidi discendergli ancora lungo le gambe, lo notò, e decise quindi d’abbassare il taglio dei suoi fendenti, per non sollecitare ulteriormente quella piccolissima ferita.
Già il sedere di Hélène presentava diversi tagli orizzontali, lungo le due grosse macchie nere; era una vista sempre più imbarazzante e penosa. Il signor Mariano tirò il suo sigaro ed allargò nuovamente il braccio, dopodiché la colpì in basso, facendole schioccare ambedue le chiappe all’unisono. Hélène ululò: “oooo … ooh”, e poi “…aattro … grazie signore …”. “Ne vuoi ancora vero?” disse lui ridendo, senza rendersi conto che il tre era stato saltato.
“Sì signore, la prego ancora…”, ripeté la ragazzotta belga con tono di voce completamente anonimo. Il quinto colpo arrivò subito, facendola vibrare sulle gambe, e segnandola con un tratto leggermente trasversale, sovrapposto a tutte le striature che già la deturpavano. Un altro piccolo rivolo di sangue iniziava a formarsi sul lato sinistro, al termine d’una profonda fenditura orizzontale. Il signor Mariano lo notò di nuovo, e questa volta le mise finalmente la mano sul sedere.
Non l’aveva mai toccata prima d’allora, ed invece che limitarsi a sondare la profondità di quelle orribili striature, egli decise di tastarla, afferrandole la pelle dura e miseramente corrugata delle natiche, sentendo che erano tutte calde, bollenti, da cima a fondo.
Invece che impietosirsi, il proprietario del locale ebbe in quell’istante un attacco di autentico e puro sadismo; avrebbe voluto annientare la sua cameriera, ridurla in uno stato di nullità, vederla strisciare in terra come un oggetto inerte.
Le poggiò la bacchetta sul sedere una volta ancora, poi la allontanò per un attimo, e nuovamente gliela rovesciò addosso; quella urlò disperata: “eeee … cinquee …”, e poi: “grazieee signore …”, con le lacrime che le scendevano copiose; aveva contato il cinque per due volte senza volerlo.
La pancia di Hélène era sempre più gonfia, i fianchi le tremavano; ed il signor Mariano sapientemente aspettava, il suo piacere lui l’aveva già provato, e adesso poteva giocare con lei, anche fino al punto di lasciarla per interi minuti così, con il culone per aria, tristemente esposta nell’attesa.
Pensò di dargliene due di fila, ed allora arretrando solamente per un breve respiro, prese lo slancio e la colpì, udendo dapprima un sei, e poi senza nemmeno attendere il grazie, rovesciandole addosso una sferzata ancora più dura; alla quale Hélène rispose con un guaito davvero penoso, staccando le mani dai braccioli, e finalmente sussurrando: “se … eeette e…”; ed aggiungendo in ultimo: “… grazie padrone”.
Lo aveva chiamato in quel modo, e non più signore, come tutte le volte precedenti. Nella povera testa di Hélène, era oramai chiaro, quello che la eccitava al punto da condurla fino ad un nuovo e folle, rovinoso orgasmo; si sentiva dominata, umiliata e posseduta. E per quanto volesse negarlo in tutte le maniere possibili, il ventre le tremava al solo pensiero, di essere alla mercé di quell’uomo al tempo stesso potente e sadico, che l’avrebbe abusata e maltrattata fino alla fine.
Il signor Mariano riprese ad eiaculare, non ce la faceva più di vedere quel culo interamente segnato dai suoi colpi; era come una spugna molla che traspirava sudore, una palla di gomma bianca e nerastra sbattuta e rigonfia. Le mollò l’ottava scudisciata, e nemmeno si diede pena del fatto, che Hélène oramai annichilita nemmeno gli rispondesse.
Estrasse il tappino verde dalla tasca, con le mani che gli tremavano, e lo avvicinò al culo di Hélène, in mezzo alle natiche. La ragazzotta belga lo sentì nitidamente, quella punta gommosa e bombata che si faceva strada in mezzo alla carne spessa e sudata dei suoi glutei tutti rovinati.
Glieli dilatò con una mano, tirando sempre il suo sigaro fermo nella bocca; poi parlando a fatica avendolo sempre chiuso tra i denti, le domandò: “… lentamente … oppure tutto assieme ?!?…”.
Hélène comprese che glielo stava per infilare, ed allora abbassò il capo e chiuse gli occhi, senza rispondere; il suo padrone glielo infilò nel sedere in un solo colpo, spingendo quell’orrendo oggetto sul piccolo dorso di gomma, cosicché in un solo secondo le fu conficcato interamente, tutto quanto dentro l’ano. Poi lo spinse un poco ancora alla sua estremità, facendola mugolare in modo triste e sconsolato. Le era stato infilato nel culo per bene.
In quell’istante Hélène venne miseramente; in pochissimi attimi, dalla vagina timidamente schiusa le discese una colata di liquidi che il suo aguzzino non poté notare unicamente per via della luce fioca; ma non gli sfuggirono i gemiti di piacere della sciagurata ragazza, simili a momenti di spasimo: un susseguirsi di guaiti e di pianto, per alcuni istanti interminabili.
Il signor Mariano decise di abbandonarla per qualche minuto nello studio, per andarsi a ripulire in bagno: si era completamente infradiciato nelle mutande e sotto i pantaloni; appoggiò la bacchetta orizzontalmente lungo la schiena di Hélène, da sinistra a destra, e con tono di voce sempre più sadico e divertito, le disse: “Non dovrai farla cadere cameriera … io so bene come l’ho poggiata, per cui non provare a spostarti, se non vuoi che te ne dia altre dieci…”.
Hélène rimase ferma per un tempo lunghissimo, e per non far cadere in terra la bacchetta, dovette trattenersi con ambedue le mani aggrappate ai braccioli, e la pancia perfettamente allineata lungo il tavolo. Poteva sentire nitidamente il tappino, infilato tutto quanto dentro al sedere, e le striature orizzontali che la segnavano: avrebbe potuto quasi contarle una ad una, per quanto le facevano male.
In quel momento la ragazzotta belga aveva smesso completamente di piangere: aveva provato un nuovo ed assurdo orgasmo, nell’atto orrendo di venire umiliata e punita.
Non sapeva se si sarebbe dovuta sotterrare per la vergogna, o se piuttosto avrebbe dovuto accettare quella sua condizione, come un fatto ovvio e scontato: non era forse la piena conseguenza della sua stupidità, nonché il premio meritato per aver commesso una serie interminabile di sciagurati errori?
Quando la porta dello studio finalmente si riaprì, Hélène era ancora perfettamente immobile, con la bacchetta di legno in delicato equilibrio lungo la schiena; il signor Mariano la liberò, deridendola: “Brava cameriera … t’ho dovuto fare quel ridicolo culo a strisce … e sfondartelo pure con un tappo … ma finalmente hai imparato! … e per la prossima domenica sei dispensata, deciderò poi cosa fare di te…”.
“Mi vuole licenziare?!?” trasalì Hélène, mentre si rassettava le sue mutandine, provando a lenire con le mani il dolore insopportabile; i glutei le erano divenuti oramai come due palloni insensibili, e lungo le due grosse placche dure che già l’affliggevano, poteva ora sentire in modo nitido, le fenditure orizzontali che la tagliavano su tutto quanto il didietro.
“Vedremo … poi vedremo”, rispose senza alcuna emozione il suo datore di lavoro; poi le fece cenno di uscire e di andarsene.
Nel pomeriggio Hélène si ritrovò nuovamente da sola in casa a studiare, con grandissima fatica; aveva anche dovuto accomodare un piccolo cuscino sopra alla sedia, non riuscendo a starsene seduta sul duro legno, nelle condizioni in cui si trovava.
Il tappino di gomma se ne stava sempre lì, infilato in modo durevole ed impietoso, nell’orifizio caldo della sventurata.
Le teneva compagnia, le ricordava costantemente di essere stata una stupida, ed in fondo di meritarselo; non bastava infatti il fatto di essere stata punita, in modo ripetuto, e di portare con sé il dolore duro e persistente di quelle botte, per tutto il tempo. Una spinta continua dentro l’ano, in maniera particolare quando se ne stava seduta, le dava la sensazione che quella punizione non fossa mai finita, e che continuasse ancora in quel preciso istante.
Alle cinque del pomeriggio uscì nuovamente, non si era nemmeno ripulita; dovette servire la saletta centrale, quella in cui il signor Mariano le aveva mostrato la bacchetta di legno quella mattina, e lo fece con rigore ed aspetto esteriore assai ordinato e compunto. Qualcosa in lei era cambiato.
Il tappino infilato nel sedere glielo ricordava di continuo, era come un promemoria: le ricordava di essere stata una vera stupida, ed il bruciore insopportabile sotto alla stoffa della gonna, col didietro segnato in verticale e in orizzontale dalle botte, ne era la diretta conferma.
Ma in quei momenti Hélène poteva sentire finalmente montare in sé una sorta di rinnovata obbedienza e di cieca disciplina; era come se avendo finalmente toccato il fondo dell’umiliazione e della vergogna, non avesse adesso null’altro da fare, che non di risalirne la china. Il signor Mariano la guardava sorridendo, e probabilmente non vedeva l’ora che arrivasse nuovamente il momento, di sfilare quel delizioso tappino.
Così quando fu l’una di notte, non volendola far soffrire ulteriormente, mentre la moglie andava controllando assieme a Cathy l’intero incasso della serata, egli fece un cenno a Hélène di infilarsi velocemente nel suo piccolo studio.
La ragazzotta belga obbedì senza fiatare; ma quando poi fu dentro, trattenendo a stento il respiro, gli disse: “Adesso te lo mostrerò, vedi … è ancora al suo posto …”. In quell’istante, volgendogli rapidamente le spalle, si sollevò la gonna con ambedue le mani, tirandosela su lungo i fianchi.
Dietro il filino quasi trasparente dello slippino color carne, si intravedeva benissimo, piegato in due sotto la spinta dei glutei neri e deteriorati, il fondo ovale dell’oggetto di gomma, conficcato per bene dentro l’ano della ragazza. Il resto della vista era orribilmente triste, e confermava lo stato di pena e di degrado in cui il proprietario del locale, aveva ridotto la sua povera cameriera: un culone gigantesco, con le sue placche nere lunghe e rigonfie, e diverse strisce orizzontali di morbida carne aperta, da un lato all’altro senza alcuna eccezione.
Quello provò nuovamente una vivace erezione, avrebbe voluto metterle le mani addosso; ma Hélène volgendosi repentinamente verso di lui, si tirò dolcemente giù la gonna, lasciandolo sorpreso e senza parole; gli disse sospirando: “Ti prego di non togliermelo … lo voglio tenere fino a domani”.

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