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Pomeriggio di giugno

Pomeriggio di giugno

Via Guglielmo degli Ubertini
00176 Roma
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Pomeriggio di giugno

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Il salotto è leggermente immerso nella penombra, mentre fuori divampano i primi caldi dell’estate. Per essere solamente un pomeriggio di giugno, la calura è già alquanto appiccicosa, ma grazie al cielo ogni tanto un rivolo di vento fresco attraversa la sottile fenditura della finestra aperta.
E adesso puoi rilassarti, signor Mariano; risalire al dispaccio è stato davvero faticoso oggi, e alla fine c’è stato anche questo fastidioso straordinario da sbrigare in casa.
Il salotto rettangolare ha un leggero ma persistente odore di muffa, per via dell’allagamento da guasto presente sul soffitto; e il mobilio anni Cinquanta lo rende anche un po’ triste e dimesso.
Resisti alla tentazione di aprirti una lattina, al massimo puoi toglierti la camicia e restare in canottiera se vuoi; e soprattutto puoi sederti di nuovo: la vecchia sedia in legno non sarà comodissima, ma almeno non è calda come il divano in pelle accampato dinanzi al televisore.
Adesso puoi rilassarti, vecchio omone con i baffi alla Dalì; e perché no? Anche aprirti un po’ la cintura sul davanti. E visto che ci sei, anche sbottonarti i pantaloni eleganti di flanella.
Fallo per bene, per oggi te lo sei meritato, e non temere se a venire giù sono anche i tuoi boxer da pugile: il legno della sedia ti terrà fresco mentre accomodi il tuo largo fondoschiena tanto grezzo e inelegante, e anche un po’ sudato; e quel pene così lungo e molle da tempo inoperoso, ti penzolerà tutto quanto appiccicoso in mezzo alle gambe.
Ora che ti sei un po’ rilassato, guarda la parete bianca di fronte a te, a lato del mobiletto con il servizio di piatti in bella mostra: Hélène è lì, ce l’hai messa tu, di spalle con le mani aperte appiccicate al muro. È da venti minuti che piange ininterrottamente, singhiozzando e asciugandosi le lacrime tutta voltata dall’altro lato.
Eppure, stavolta la ragazzina l’ha combinata davvero grossa, e tu hai perso del tutto la tua pazienza; e adesso se ne sta in lacrime dinanzi al muro, con la sua canottierina gialla tutta stretta attillata sul davanti, il pantaloncino estivo e lo slippino sottile avvolti intorno alle ginocchia, ed il sederone tutto gonfio per le botte che le hai dato.
Hai deciso che la misura era colma, e gliele hai suonate per davvero. Quando parlare non serve più a niente, Hélène ascolta e comprende solamente il tonfo degli sculaccioni; e oggi pomeriggio gliele hai date davvero per bene, al punto che pensi che questa volta imparerà davvero a rigare dritto.
Il suo pianto incessante però inizia ad infastidirti, ma cosa puoi farle ancora, dopo averla ridotta in quel modo? Certamente lo rifaresti di nuovo senza alcuna remora.
Adesso però è tempo di rilassarsi: e la mano un po’ stanca scivola verso il pene penzolante, schiudendolo per un solo istante, fino ad emanare il suo odore alacre in mezzo all’aria completamente afosa della stanza.
Ti accorgi che è vivo, e che il sangue ha ricominciato a pulsare; fissalo per bene allora, il sederone tutto rigonfio di Hélène: sembra quasi un volto triste, ad osservarlo con attenzione; due profonde gote arrossate, ed una riga nel mezzo, lunga e silenziosa.
Lo muove un po’ lentamente, quasi volesse farlo respirare, dopo l’afflizione del castigo, mentre la schiena rimane leggermente reclinata su un lato, e le mani schiuse contro il muro.
Apri nuovamente con la mano, ed in quell’istante il tubo molle prende forma, acquisendo nerbo e sostanza. Diviene come un tronco diviso in due, e allora puoi afferrarlo nella sua metà inferiore.
È lì che il laccio della mano dà il meglio di sé: lo immagini come il nastro stretto intorno ad una salsiccia, oppure a un pacchetto chiuso bello annodato. Ti accorgi che la barriera è calata, e che il piacere ha inizio.
Il pianto della ragazzina è inesorabile, e continua sempre eguale. Vorresti ordinarle di smettere, ma poi comprendi che è a causa dei tuoi sculaccioni, che ella piange; non le dai alcuna attenzione, tanto lei non imparerà mai se non in questa maniera.
Lo riprendi meglio, è gonfio e turgido al punto giusto: apri e chiudi alla base, e oramai lo puoi ammirare, eretto come una colonna di marmo rosa. Reclini leggermente in basso la schiena, scivolando coi glutei sul davanti. Quanto sangue corre nelle vene, fino a dentro il sacchetto molle che penzola in basso, giù dalla sedia.
Il limite è superato, mentre la ragazzina continua a piangere; gli occhi tornano con insistenza a frugarla sul didietro, gonfio e deforme, con due enormi chiazze rosse; è probabile che le resteranno per diversi giorni, diventeranno prima viola e poi nere: due grossi lividi neri che l’accompagneranno fino alla prova costume, che la ragazzina non farà.
Le minuscole mutandine bianche restano sospese a metà delle sue ginocchia, né su e né giù: avvolte nell’unico punto in cui Hélène dovrà abituarsi ad indossarle d’ora in avanti. Il sederone occupa l’aria libera in mezzo al salotto di fronte ai tuoi occhi: l’hai veramente ridotta malissimo questa volta.
Ed il bastone è oramai gonfio all’inverosimile; più gonfio di quanto sia ragionevole immaginare quando è a riposo. Sembra che l’aria sotto la pellaccia dura e sudata lo riempia come il copertone di un’automobile. Non serve nemmeno più che tu lo muova, basta che tu lo trattenga saldo alla base, per sentire il sangue correre dal basso verso l’alto, in su e in giù, rassodandolo, rinforzandolo, come un pilastro di cemento armato.
È il momento di evitare grossi danni; ti levi di scatto dalla sedia, con la cinta che sbatacchia sul pavimento; solamente in quell’istante, Hélène volge i suoi occhi neri e mesti verso il basso, verso la fibbia pesante caduta in terra: per un istante teme per sé stessa, una nuova dose di percosse. Ma la tua mano destra ha già fatto per intero il suo dovere su di lei.
Lei non ha il coraggio di guardarti il pene, che è una mazza dritta e possente, mentre muovi rapido brancolando verso la cassettiera vicino al divano. Lì trovi una scatola, e dentro di essa tante bustine di plastica, che apri nervosamente.
È questione di istanti, ma tanto basta per allentare la presa del sangue attorno al suo budello; ti risiedi e devi ricominciare daccapo; ma stavolta la partita è facile, il liquido è già in circolo, e la ragazzina ti guarda proprio lì in mezzo: ha gli occhi inumiditi dal pianto ed è impaurita, impressionata dalla tua prepotenza.
Lo riprendi dal basso, agitandolo come l’asta vuota priva della bandiera. E proprio come un’asta si piega in su, e poi da un lato, mentre la stretta alla base lo dilata indefinitamente in alto, come i palloncini allungati dello stadio.
Ed è di nuovo trionfalmente eretto, ancora più dritto e monumentale che mai; il preservativo si srotola col suo odore di lattice inumidito, sporcandolo e disturbandolo, fino poco oltre la metà.
Guardi il popò di Hélène, l’ombra è scesa su di lei, ma le gote tristi e gonfie continuano a bruciare come il sole d’agosto. È di nuovo con lo sguardo riverso contro la parete, le mani schiuse, la schiena inarcata, e le caviglie leggermente divaricate. Questa volta le hai fatto davvero un culo così.
E allora stringi solo un po’ ancora, una rapida volta ancora verso l’alto, e giù alla base di nuovo, con il nerbo che finalmente si rivolge verso di te, ed è finita: tutto scorre rapidissimo come un fiume in piena, ed è un’onda di piacere interminabile, lunga come mai l’avevi provata prima, come l’applauso alla fine di un concerto grandioso. Guardi il preservativo, che è gonfio il doppio del suo contenuto, e poi volgi una volta ancora lo sguardo verso la parete, verso la ragazzina punita.
Solamente adesso, lei ti permetterà di affondare le mani nelle sue povere natiche completamente arroventate.

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