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Le Chiavi del Paradiso

Le Chiavi del Paradiso

Via delle Sette Chiese
Roma
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Le Chiavi del Paradiso

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«… per questo miei cari, non dovete indugiare davanti a una buona azione, anche a discapito della vostra salvezza… perché per ogni buona azione vi verrà donata una chiave per qualsiasi porta del paradiso… e ognuno di voi possiederà tante chiavi, tanto più è stato buono nel corso della sua terrena esistenza… Amen!» Sto sudando come un maiale prima di essere sgozzato.
La platea di vecchie e rachitici mi osserva perplessa, non ascolta niente di quello che dico.
Aspettano ansiosi la loro razione del corpo di Cristo, sembrano barboni alla mensa per poveri che non mangiano da giorni.
Se non fosse così caldo mi divertirei a farli aspettare, infilerei parole a caso solo per il gusto di prolungare la loro astinenza. Un salmo di qua, una lettera ai Corinzi di la.
Una tortura psicologica, un giochetto creato all’alba dei tempi, un metodo per tenere salda in pugno una folla di disperati, aggrappati a un’unica speranza.
La speranza di un posto felice dove riposare una volta morti!
«Mettetevi in fila e venite a prendere la Comunione
Dal tabernacolo estraggo la coppa d’ottone che contiene il “Corpo di Cristo”, venti pezzetti di ostia insipida cucinati dal fornaio indiano all’angolo della strada.
All’unisono una trentina di gambe scrocchiano nel rialzarsi dall’inginocchiatoio. Il suono riecheggia nella cappella e si confonde con le assi che scricchiolano sotto le loro rotule.
Potrei rivestire i pregadio con morbidi cuscini, ma la fede richiede sofferenza no? Portatevi dietro il dolore per tutta la vita che ne trarrete beneficio dopo la morte… che cavolate.
Odio soffrire, odio l’influenza, odio l’afa d’estate e il freddo d’inverno, odio le vesciche sotto i piedi ed odio la diarrea!
Il millepiedi umano si forma davanti all’altare, tra i dolori degli arti anziani e gli strattoni dei genitori ai figli.
Il corpo di quest’insetto rivela molto sulla natura spirituale delle persone.
In testa si possono notare i veri credenti, o meglio quelli che si credono tali. Sgomitano per accaparrarsi per primi la loro razione, bradipi per tutta la messa, ma rapidi come faine quando si tratta di divorare il loro salvatore.
A metà strada, a comporre l’intestino della scolopendra, troviamo invece quelli che sono qui per messa in scena. Non sono veri praticanti, vengono una volta si e dieci no.
Trascinati da una moglie che si è riscoperta cristiana dopo un’allucinazione, o da un marito adultero che vuole dare l’impressione della brava famiglia a tutti coloro che li vedono entrare in chiesa.
Infine, nel posto esatto dove devono essere, nel culo di quest’immonda creatura multi faccia, ci sono loro, i rifiuti della società.
Avanzi di manicomio rilasciati per mancanza di spazio dagli ospedali psichiatrici.
Forestieri venuti a portar rogne e che i nostri ospizi ospitano come fossero nobili e brava gente.
No signori. Altro che brava gente, quelli arrivano e deturpano tutto ciò che toccano con le loro sporche mani vigliacche.
Ecco, a questa babilonia nefanda io dovrei fare da portavoce per l’aldilà.
Dovrei guidarli, prepararli ed accompagnarli in quella che è la via donataci dal creatore.
Dovrei essere il loro bastone d’appoggio, la loro ancora di salvezza quando le tenebre verranno a cercarli.
Dovrei essere la voce che gli insegna come amare il prossimo prima di se stessi, porgere l’altra guancia e così via… dovrei, ma non m’interessa.
Perché farmi carico degli altri quando questi non fanno altro che ammazzarsi a vicenda, fingere amore e pugnalarsi alle spalle.
Tanto, una volta finito tutto, quando i nostri occhi si chiuderanno per sempre, nessuno ancora sa cosa accadrà… per ora.
«Ecco il corpo di Cristo… ecco il corpo di Cristo… il corpo di Cristo… il corpo di cristo.. corpo di cristo… cristo.. cristo… Amen!» Ed anche questa è fatta.
La mandria rumina contenta, ogni pecora è intenta a lanciare la sua richiesta all’Altissimo:
– Sa dio, ho mangiato il corpo di suo figlio sacrificatosi per noi, non è che mi guarisce quest’ulcera? –
– Mio signore, mi si è rotta l’auto per colpa del mio figliastro… non è che ti porteresti lassù quel bastardo? –
– Dio santissimo che sei nei cieli, fa che Luca s’innamori di Ilenia, così Ilenia lascia stare Giorgio, così Giorgio smette di girare con Pancio e gli altri e inizia a girare con la banda del Matto, così il Matto vede quanto è simpatico Giorgio e… –
La meridiana sulla facciata dell’ingresso indica un orario e una data, l’ombra taglia in due il quadrante di marmo scandendone il tempo. Non ci capisco niente!
Non ho mai imparato a leggerla e mi affido all’orologio che porto al polso, dieci minuti a mezzogiorno.
Infilo una mano in tasca, stringo con forza la chiave di rame che nascondo nella tonaca e mi assicuro che sia ancora lì. Questo gesto sta diventando sempre più maniacale, nel palmo destro i calli si gonfiano col passare dei giorni a furia di strangolare quel tubicino metallico.
I minuti finali della funzione mi logorano l’intestino. L’ansia di fuggire verso la risposta delle risposte, di correre verso quella porta di cui solo io sono il custode, mi stritola le viscere.
La lentezza con cui quei miserabili si allontanano dalla croce, mi porta a volergli urlare contro che Dio punirebbe chi non è svelto nelle sue richieste. E, finita la processione, la sua richiesta è quella di schiodare!
Andatevene, tanto domani sarete di nuovo qui a cannibalizzare colui che vi ha salvato. A invocare parole di cui nemmeno carpite il significato più becero. A scambiarvi finti segni di pace, pulendovi dopo ogni stretta di mano ad uno sconosciuto.
Andate, ho di meglio in serbo per me.
A voi mento, come sempre si mente a chi è ignorante e non vede oltre il proprio naso, oltre l’evidenza.
Le chiavi del Paradiso non si accumulano facendo buone azioni, ma scendendo a patti con la cruda realtà. Bisogna cercarle nei più remoti segreti dell’esistenza umana, nei racconti che i popoli ci hanno tramandato. Si, tutti i popoli, tutti i miti, tutte le storie e tutte le religioni.
Io la chiave l’ho trovata.
Non scambio le mie informazioni con chi non capisce niente di questo mondo e vuole scoprirne uno nuovo. Tengo per me quello che so e terrò per me quello che scoprirò.
L’ultimo visitatore se ne va, si chiudono le porte e un silenzio tombale cala nella chiesa.
Mi barrico dentro, voglio restare solo e indisturbato.
Anche lui odia il trambusto e lo capisco bene. Siamo d’accordo entrambi che decimare la popolazione mondiale non sarebbe una cattiva idea.
Fanno troppo casino gli uomini e ormai non si sa più dove piazzarli.
Li impiliamo uno sopra l’altro senza trovare rimedio e continuiamo a ripeterci che donare una coperta a Natale ai più bisognosi serva a qualcosa, quando i problemi sono molto più vasti.
Si dovrebbe regalare una coperta lunga chilometri per salvare davvero le persone, tanto vale non fare più persone.
Non dico di uccidere nove decimi degli esseri viventi, bipedi e senza cervello che abitano il pianeta, ma almeno facciamo che non si possano più riprodurre.
Mezzogiorno.
Sotto all’altare, nascosto dal bancone bianco venato di grigio, c’è un piccolo foro sul pavimento.
Al centro esatto di una mattonella nascosta sotto la tavola liturgica, la toppa minuscola aspetta solo la sua metà, la chiave di rame.
La infilo e giro tre volte in senso orario.
Dietro di me il suono di un marchingegno meccanico indica l’apertura di una serratura.
Mi volto, so dove si trova la porta. Avanzo con passo sicuro fino quasi a scontrarmi col corpo tumefatto di Gesù immortalato in un quadro ormai sbiadito.
Senza troppa premura stacco il dipinto ad olio dal muro e lo poso a terra. Quella che si cela dietro di esso non è una porta nel senso vero del termine, è il disegno di una porta fatto col sangue di qualche anima dannata.
La maniglia è la parte più rifinita con tanto di dita scheletriche che ne fanno da contorno.
L’afferro, la mano penetra nel muro come se fosse aria e stringe la maniglia, l’unica parte solida di quel muro di diorite.
Tiro la porta, non si apre. Tiro di nuovo, non si apre. Spingo, si apre. Mi dimentico sempre!
All’interno una figura sta seduta dandomi le spalle, un enorme tavolo d’ebano troneggia al centro della stanza.
Guardo l’orologio, mezzogiorno e sette, cavolo sono in ritardo.
Supero la soglia, il muro si richiude, una miriade di torce illuminano l’antro d’ossidiana e donano un bagliore rossastro a tutto ciò che mi circonda.
Mi accomodo su una poltrona d’ossa, poso il culo su un cuscino confortevole, alla faccia di quei babbei la fuori.
Non capisco come, ma il fuoco delle fiaccole non rende questo posto un forno. La prima volta pensavo di morire di caldo qua dentro, pochi metri quadri e fiamme anche ad agosto. Invece sono qui che mi godo il fresco e svelo i più grandi misteri dell’umanità.
«Allora, dove eravamo rimasti? La creazione della donna? Il dualismo tra Enkiliti ed Enliliti? Orione? L’apocalisse? Cosa mi vuoi dunque chiedere?» Con i gomiti appoggiati al tavolo e lo sguardo fisso su di me, il padrone di casa inizia a mescolare un mazzo di carte dal retro nero.
Le sue corna ondeggiano su e giù con i piegamenti del capo, corna da toro lunghe quasi un metro. Il collo è muscoloso per poter reggere il peso di quel copricapo donatogli dalla natura.
Sarà alto due metri e mezzo, due imponenti ali piegate dietro la schiena gli fanno da mantello.
Ha la pelle rossa e piena di cicatrici, proprio come viene raffigurato nei più accurati manoscritti apocrifi.
Per quanto riguarda l’odore di zolfo e il fumo, sono tutte fandonie. Chi non sentirebbe puzza di bruciato in una stanza che sembra andare a fuoco dalle pareti al soffitto.
Sarà per questo motivo che l’inferno viene visto così dai profani.
Interpretano a modo loro quello che neanche esiste, che nemmeno conoscono e si fanno guardiani delle verità che loro stessi inventano.
«Quello che vorrei chiederti oggi mio caro Lucifero, non riguarda eventi passati o presenti, riguarda il futuro!»
Mi accingo a vedere le carte che mi ha lanciato.
«Il futuro? Io non prevedo il futuro, come posso darti certe risposte se neppure io le possiedo?»
«No, ma che hai capito. Io non intendo “prevedere il futuro”. Intendo… cosa succede nel futuro della nostra esistenza una volta che moriamo? Dove ce ne andiamo? Esiste realmente un posto dopo la morte o sono solo fantasie che ci raccontano da sempre per farci stare buoni?»
«Ah… quel futuro. Beh, allora la risposta ce l’ho!»
«E quindi?»
«Quindi te la dirò, ma solo dopo che mi avrai battuto a carte!»

 


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