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Circonvallazione Clodia
Roma
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<Vedrai che qui non ci bagneremo> .
Sotto una pensilina di una fermata del metrò, Alberto si ritrasse più indietro possibile e con i cartoni raccattati prima che venisse giù il diluvio si coprì dalla pioggia.
<Vieni Ely, stringiti a me e non aver paura, tra poco smetterà di piovere, vedrai.>
Non smise per tutta la notte. Una pioggia torrenziale di fine estate aveva riempito le strade tanto da sembrare un fiume in piena, il cielo illuminato da lampi e tuoni come esplosioni, esplosioni di mine come quelle che aveva sentito per una vita, lui che aveva lavorato per 30 anni in una cava di marmo.
<Non tremare Ely, ci sono qui io>.
Un raggio di sole lo trafisse e si svegliò meravigliato. La furia della pioggia durante la notte era finita tra le braccia di un sole consolatorio.
<Ely, sveglia, guarda che bella giornata. Dai, che andiamo a fare colazione e poi andiamo al parco”>.
Con qualche euro ancora in tasca, prese un cornetto e una ciambella per la sua Ely, ma non si sedette ai tavolini preferì la panchina di fronte il Bar. Lì, dopo aver consumato la colazione, osservava l’andirivieni della gente al Bar, i suoi movimenti, gli sguardi, gli atteggiamenti, il mondo che scorreva in una infinitesimale porzione di città.
<Dai Ely, ho visto abbastanza per oggi, ti va di andare al parco? o preferisci lo zoo?>
<Ma che domanda stupida, ma certo che ti piace vedere gli animali, andiamo dai:>
Lo zoo si trovava a parecchi chilometri di distanza, ma abituato com’era a camminare, non se ne fece un problema.
<Se sei stanca Ely, ci fermiamo un po’, che dici?>

<Come è potuto accadere? una cosa simile non è mai successa?> Il tono alto della voce rimbombò nella stanza dai tetti altissimi della antica struttura. La Direttrice aveva appena convocato il personale addetto e fatto loro una reprimenda che risuonava peggio dei tuoni della notte precedente. La sua vice Cercò di calmarla convincendola che dato il brutto tempo della notte, sicuramente non si sarebbe allontanato più di tanto. Per il momento si propose di non avvisare gli organi competenti per la ricerca.
La direttrice sguinzagliò i suoi alla ricerca di Alberto, doveva essere ritrovato assolutamente in giornata e riportato nella struttura, tutto in silenzio senza far trapelare la notizia al di fuori della struttura.
I due addetti girarono nei pressi del rione, andarono in diversi bar della zona e in uno un barista gli raccontò che un uomo molto simile era entrato nel bar ed aveva preso un cornetto ed una ciambella e gli aveva raccontato che la ciambella era per la sua Ely.
I due uomini si guardarono meravigliati, il barista gli disse che era seduto sulla panchina di fronte e che ogni tanto metteva le mano sulle orecchie. Ora erano convinti che era proprio lui, quel gesto figlio di una vita passate nelle cave era tipico di Alberto.
Erano passate un paio d’ore da quando il barista l’aveva visto gli indicò la direzione dove lo aveva visto dirigersi.

Alberto poi si era fermato davanti ad un Palazzo antico del centro. Si era reso conto di non essere così forte come credeva e aveva convinto Ely a fare un cambiamento di programma perché le sue gambe ma soprattutto i suoi polmoni non reggevano allo sforzo fisico come una volta. Si sedettero su una panchina all’ombra del grande palazzo. Aveva sete. Guardò in giro e vide di fronte al palazzo nel marciapiede una antica fontanella. Attraversò la strada non curante delle auto che sopraggiungevano e una in particolare si fermò dopo una brusca frenata ad un centimetro da lui. Il sibilo intenso delle gomme sull’asfalto lo fecero trasalire e si mise le mani a tapparsi le orecchie, quello dell’auto dopo averlo preso a parolacce lo schivò e sgommò via. Dopo che sorseggiò un bel po’ d’acqua, vide passare il Tram e decise di prenderlo. <Ti piace il Tram Ely?>
<Vieni saliamo e facciamoci un giretto>.

I due della sicurezza nel frattempo vagavano sconfortati in giro chiedendo qua è la se avevano visto un signore anziano fornendo via via alle persone le fattezze di Alberto, contraddicendosi tra di loro. Uno diceva che era alto all’incirca un metro e ottanta, l’altro decisamente più basso, uno pochi capelli e bianchi, l’altro praticamente calvo, uno robusto e tarchiato l’altro longilineo. Avevano decisamente le idee confuse, come confuse erano le indicazioni che avevano ricevuto dalle stesse persone perché di anziani con le fattezze che loro avevano dato, la città era piena.

Improvvisamente dopo solo un paio di fermate, scesero dal Tram. Ora cominciavano ad esplodergli dentro le mine, una, due, tre. Si dovette fermare e ansimante si sdraiò su una panchina, facendo spazio alla sua Ely, che era sempre accanto a lui.

Nel tardo pomeriggio una signora a passeggio con il suo cane, lo nota sdraiato sulla panchina, sembra inanimato e spaventata chiama la polizia. I poliziotti si rendono conto che per Alberto non c’è nulla da fare e, nell’attesa del medico legale, frugano nelle tasche della sua giacca alla ricerca di qualche documento per poterlo identificare. Il corpo viene portato nella camera mortuaria dell’ospedale. Non vengono trovati documenti addosso, ma solo delle foto e una in particolare, in bianco e nero ingiallita dal tempo, dove è ritratta una bambina e dietro una dedica. <Ely, il tuo sorriso è un bocciolo di rosa fiorito dentro il mio cuore.>
Il suo corpo rimarrà per mesi e mesi nell’obitorio senza che nessuno lo reclami; una delle tante vittime della solitudine che non interessa a nessuno, in questo mondo.

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