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Massimino

Massimino

06132 Parco Lucagnano Perugia
Fantasia e Fantascienza Racconti
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Massimino

visita su Google street view     Parco Lacugnano, Str. di Lacugnano, 06132 Perugia /button>


«Guarda che disastro hanno combinato…» constatò Paola, guardando le macerie sul pavimento. «Rimbocchiamoci le maniche e sistemiamo questo macello».
Fece un giro dell’abitazione per rendersi conto di cosa l’aspettasse. Arrivata nella stanza con le celle detentive, vi trovò rinchiusi due ragazze e due ragazzi, piuttosto spaventati.
«Fammi uscire, ti prego! Il padrone mi starà cercando…» la implorò uno dei ragazzi, il più mingherlino.
«Fammi indovinare: tu sei Massimo, vero?» chiese Paola.
«Come fai a conoscermi? Tu chi sei? Dov’è il mio padrone?».
«È uscito con i suoi amici».
«Padrone! Padrone! Perdonami, padrone! Sarò bravo, te lo prometto!» urlò Massimo.
Paola scosse la testa, uscì dalla stanza, prese il cellulare dalla borsetta e fece una telefonata.
«Nicola? Ciao, sono Paola».
«Ciao, bella! Come stai?».
«Bene, grazie. Ho un lavoro per te».
«Di cosa si tratta, tesoro?».
«Hai dieci minuti per raggiungermi in Corso Vannucci! Porta dei muratori e l’impresa di pulizie».
«Agli ordini, signora. Se sarò bravo che premio mi darai?» scoppiò in una risata.
La ragazza, scocciata, chiuse la telefonata e sospirò: «Ma perché fa sempre il cretino?».
Nell’attesa, tornò a perlustrare l’abitazione per studiare un sistema d’illuminazione “alternativo”.
Il cellulare di Paola squillò.
«Dove sei?» chiese la ragazza.
«Qui sotto, amore».
«Scendo, vi faccio entrare» sbuffò. «Che cretino!».
La ragazza uscì dall’appartamento, scese le scale, aprì il portone del vecchio palazzo e trovò Nicola ad aspettarla, accompagnato da sei uomini piuttosto nerboruti.
«Da questa parte» disse Paola.
Salirono le scale ed entrarono nell’appartamento.
«Nicola, dobbiamo sistemare questa parete demolita e installare delle luci a LED nel battiscopa. Hai tempo fino alle quattro del mattino; dopo, saranno guai per tutti».
«Non c’è problema, dolcezza, dovremmo riuscirci. Chiamo gli altri. Piuttosto… quand’è che usciamo insieme, io e te?» sfoggiò il suo sorriso migliore, mettendo in mostra i quattro o cinque denti mancanti e tutti gli altri quasi marci.
Paola fece una smorfia di disgusto, scosse la testa e cambiò discorso: «Quelli delle pulizie: mi seguano».
La ragazza si diresse nella zona detentiva e aprì la cella con i prigionieri.
«Chi siete, voi? Cosa ci fate nella casa del mio padrone?». Massimo era preoccupato.
«Massimo, vieni con me» disse Paola, con tono piatto.
Il ragazzo si affrettò ad uscire dalla cella.
«Voi occupatevi degli altri» ordinò Paola agli uomini delle pulizie, indicando il resto dei prigionieri, che vennero afferrati con forza e portati via di peso.
Massimo tremava come una foglia: nella sua mente aveva intuito che le cose non si stavano mettendo affatto bene.
«Ti porto da Richard, seguimi» lo rassicurò la ragazza.
«Ma tu chi sei? Perché sei qui?» chiese titubante il ragazzo.
«Richard mi ha chiesto di sistemargli l’appartamento e di portarti da lui, vuole parlarti».
«Va bene» rispose con un filo di voce.
Lasciarono l’appartamento e percorsero Corso Vannucci fino alla Rocca Paolina, che attraversarono per raggiungere le scale mobili e, da lì, il parcheggio di Piazza Partigiani dove li attendeva l’auto di Paola.
«Dov’è il padrone?» chiese Massimo.
«Sono andati al parco di Lacugnano, doveva incontrare altri amici» rispose, seccata.
Percorsero l’intero tragitto senza dire una parola. Massimo guardava fuori dal finestrino con l’espressione di un cane bastonato che si aspetta di essere abbandonato in una piazzola dell’autostrada da un momento all’altro. Fermarono la macchina in un ampio parcheggio desolato e scesero. Massimo si accorse della mancanza dell’auto del suo padrone, ma non disse nulla.
«Vieni, Massimo, non avrai paura di una ragazza indifesa?» chiese con voce angelica, strizzandogli l’occhio.
Il ragazzo la squadrò dalla testa ai piedi: era più bassa di lui e non sembrava particolarmente forte. Il vestito nero che la fasciava era abbastanza aderente da lasciar intuire che non fosse armata.
«Paura di te? Figuriamoci. Il mio padrone mi ha insegnato tante cose sulle arti marziali» si pavoneggiò il ragazzo, tirando in fuori il petto.
La ragazza sorrise divertita.
«Vuoi mettermi alla prova?» chiese, sogghignando, Massimo.
«No, no. Non c’è bisogno, mi fido di te» rispose Paola, con tono provocante.
«Andiamo? Il padrone mi starà aspettando. Non vorrei che si infuriasse».
La ragazza si avvicinò a Massimo e lo prese sottobraccio.
«Andiamo. Con te vicino mi sento già più al sicuro» sorrise, compiaciuta.
Si addentrarono nel parco, era ormai notte fonda e non c’era nessuno. La luna era coperta dalle nuvole, si vedeva a stento il percorso di ghiaia bianca che si snodava tra gli alberi.
«Siamo quasi arrivati» spiegò Paola, stringendosi di più al ragazzo.
«Io non vedo nessuno» ripose Massimo, cercando di scorgere qualcosa nell’oscurità.
«Loro possono vedere al buio, sono laggiù, non li vedi?» chiese Paola.
«Ah, eccoli, ora posso vederli». Mentì, non vedeva nessuno e dei brividi avevano iniziato a scorrergli lungo la schiena.
La ragazza, dopo qualche metro, lasciò il bracco di Massimo e si allontanò di qualche passo.
«Scusami, sono sicura che tu sia un bravo ragazzo, ma avresti dovuto saperlo che un giorno o l’altro sarebbe finita così» sussurrò tristemente.
«Di cosa parli?». Massimo non capiva cosa stesse succedendo.
Paola compì una rotazione con il busto, colpendo con un calcio il volto di Massimo, che cadde a terra.
«Sei impazzita?» urlò, sgomento, cercando di rimettersi in piedi.
Paola gli piombò sullo stomaco con le ginocchia, lasciandolo senza fiato. Massimo boccheggiava come un pesce fuor d’acqua, non poteva né urlare né respirare. La ragazza divaricò le gambe: legato ad una coscia, nella parte interna, c’era un contenitore della grandezza di un sigaro da cui estrasse rapidamente una siringa. Pugnalò con l’ago la vena carotidea di Massimo e vi iniettò tutto il contenuto; gli tappò poi la bocca con le mani ed aspettò che l’iniezione facesse effetto.
Lentamente, Massimo tornò a respirare, ma qualcosa in lui non andava. Si sentiva strano, non riusciva a capire cosa stesse accadendo, mentre con le mani cercava di liberarsi della ragazza senza però riuscire ad imprimere la forza necessaria. Più il tempo passava e più si sentiva male. Della schiuma bianca gli si cominciò a formare sulla bocca; il corpo iniziò a tremare in preda alle convulsioni. Paola si sollevò dal corpo di Massimo e, furibonda, tornò verso l’auto.
«Aiuto, vi prego, aiutatemi!». Con un filo di voce, Massimo cercava aiuto, ma invano.
Il torace iniziava a fargli male, mentre il cuore batteva all’impazzata. Dopo qualche minuto di stenti, il respiro divenne affannoso e sempre più lento. Il buio riempì lentamente gli occhi del ragazzo: il cuore si era fermato.
«Che tu sia dannato, Richard!» esclamò Paola, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. «Non hai saputo sceglierti neanche un bravo servitore ed ora è morto. Ti odio!». Digrignò i denti e colpì con forza il tettuccio dell’auto. Impiegò qualche minuto prima di ritrovare il controllo.
Salì nell’auto e tornò all’abitazione di Richard, doveva supervisionare i lavori, prima che il suo nuovo padrone vi facesse ritorno.
 
Capitolo Extra del Romanzo “Un Nuovo Nemico“

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