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Storia d’amicizia e di bullismo

Storia d’amicizia e di bullismo

Piazza Nazionale
80143 Napoli
Sociale Racconti
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Storia d’amicizia e di bullismo

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E’ uno di quei giorni degli anni ottanta, di metà luglio, nei quali il caldo avvolge la città di Napoli e che, oltre a far grondare il sudore, fa percepire il cuocere della pelle ed è ciò che blocca Silvio nello scrivere la lettera all’amico lontano.
Dalla finestra, che ha le ante aperte, di fianco alla scrivania davanti alla quale è seduto Silvio, sopraggiunge lo schiamazzo dei ragazzi che giocano in strada, oltre al vocio dei passanti e al rumore delle auto, mentre lui è chiuso in casa, rintanato come al solito nella sua stanzetta, in cui vi resta per delle intere giornate, rifiutandosi di uscire anche per una passeggiata con la famiglia.
Solo nel periodo di scuola lo si vede, malvolentieri, uscire la mattina per recarsi alle lezioni.
Durante l’anno scolastico a Silvio le notti sembrano troppo brevi e all’alba gli sopraggiunge
un magone crescente per l’imminente arrivo del genitore, che entrato nella cameretta
e accostatosi al lettino, sul lato opposto alla scrivania, accanto alla libreria e all’armadio, gli dice, spegnendo la luce del lume sul comodino, di alzarsi e prepararsi.
Non ha mai bisogno di svegliarlo, essendo sempre già sveglio in preda ad una voglia di gridare per la sofferenza nel doversi recare alle lezioni, ma il grido gli resta in gola e in quell’istante ha anche il desiderio di essere impossibilitato ad alzarsi.
Si prepara e chiusosi la porta di casa alle spalle non prende l’ascensore ma discende le scale: inizia così a ritardare più che può l’arrivo a destinazione. Uscito dal palazzo muove passi brevi, avviandosi sul percorso più lungo per giungere all’edificio scolastico, che si trova a poco più di un chilometro dal civico in cui abita.
In classe Silvio, ogni giorno, vive un vero e proprio inferno, anche sotto gli occhi indifferenti ma pur impotenti dei docenti: è continuamente e costantemente bullizzato e deriso; lui resta inerme seduto al banco, sperando che suoni presto la campanella che sancisce la fine del tormento.
Quando è interrogato, alcune volte, preferisce dire al professore o alla professoressa
di turno d’essere impreparato, anche se i compiti a casa li ha fatti ed è preparato.
Questo per non mettersi in mostra dinanzi alla classe, dovendo stare in piedi di fianco alla cattedra, essendo che anche lì i bulli, dal loro banco, gli fanno smorfie e lo deridono.
Per interrompere il giornaliero pubblico scherno, in giorni di sconforto maggiore, arrivato nei pressi della scuola, prende la decisione di non entrare, trovando il giorno seguente una scusa sul perché è sprovvisto di giustifica, e non potendo far ritorno a casa si rintana nel cinema lì nei pressi, guardandosi il film proiettato fin all’ora di uscita da scuola.
In altre occasioni, raggiunta la piazza non distante, su cui vi è la fermata dei mezzi pubblici,  sale a bordo del tram: o sulla linea che giunge a Bagnoli oppure su quella che porta a Portici Bellavista.
Sulla tratta verso Portici Bellavista ha fatto amicizia con un signore che fa il cuoco su un mercantile che periodicamente attracca al porto di Napoli, l’uomo, di origine cipriota, sale qualche fermata dopo,  scendendo al ponte dei francesi, all’altezza del varco del porto di via Marina dei Gigli, nei pressi del Bar del Porto: luogo frequentato da portuali, marinai e vecchi lupi di mare, che trascorrono lì la giornata, raccontando, vantandosi esagerando troppo, delle conquiste femminili di quando solcavano i mari, imbarcati su qualche nave.
Evridiky, questo è il nome dell’uomo, notato già in precedenza Silvio, che pareva volersi nascondere dagli sguardi degli altri passeggeri mentre era seduto sul sediolino, facendosi più piccolo di quello è, gli si sedette accanto chiedendogli come mai a quell’ora non fosse a scuola, nello stesso tempo si presentò tendendo la mano, facendo un sorriso a voler rassicurare il ragazzo, che rispose al saluto.
Silvio come volersi liberare da un peso o semplicemente un volersi confidare, gli raccontò il perché delle sue non entrata scuola; parlò anche di come trascorresse le giornate che non erano da scuola.
Il cipriota, che mastica l’italiano e parla oltre al turco, che è la sua lingua, l’inglese, con cui si esprime sulla nave con gli altri componenti dell’equipaggio e il portoghese, lingua del paese in cui vive, gli disse, come  si stesse rivolgendo ad un amico che non vedeva da tempo<<Ritorno da mia moglie e dai miei cinque figli tre/quattro volte l’anno, ciò dipende dai tempi dei viaggi in mare e dagli scali da fare; ho una fattoria fuori dal centro della città agricola di Chimoio in Mozambico, luogo di origine e di residenza da sempre di mia moglie Amachi. Per raggiungere casa, giunto al porto di Maputo,  mi trovo ad intraprendere un altro viaggio di due giorni tra autobus e treno, con gli ultimi cento chilometri da compiere chiedendo passaggi.>>
Alla fermata del ponte dei francesi lo invitò a scendere per prende un gelato, arrivati al bar comprò due cornetti Algida al whisky, dicendogli che quel gusto è per i veri uomini che sanno affrontare l’avversità della vita.
Dopo qualche racconto sui suoi viaggi, sulla terra dove risiede e due chiacchiere Evridiky accompagnò Silvio alla fermata di ritorno e prima che giungesse il tram gli promise che se non avesse fatto più assenze ingiustificate, la prossima volta che sarebbe tornato a Napoli, lo avrebbe portato a visitare la nave.
Su un foglio gli scrisse l’indirizzo di casa dicendogli di scrivergli se ne avesse avuto piacere e nello stesso tempo si fece dare l’indirizzo per fargli sapere la data del nuovo scalo nella città.
All’arrivo del veicolo su rotaie, salutatosi, Silvio vi salì per far ritorno a casa, promettendo di non fare più filone.
Ha quasi completato lo scritto, caldo e sudore permettendo, e stando sul pensiero su cosa scrivere per riempire le ultime righe è preso di soprassalto nel trovarsi alle spalle la famiglia al completo.
Il padre ha tra le mani una lettera appena presa dalla cassetta della posta nell’androne del palazzo destinata a lui.
I familiari, notato che il destinatario è Silvio e che il mittente è un signore che scrive dall’altro capo del mondo, incuriositi, hanno letto il contenuto prima di accedere alla cabina dell’ascensore.
Il genitore la pone sulla base della scrivania e si accorge che il figlio è intento a scriverne una anche lui.
Su un foglietto nota il nome del destinatario e l’indirizzo che sono sulla busta da lui poggiata, a quel punto legge il contenuto redatto dal figlio, dopodiché gli chiede spiegazioni insieme al resto della famiglia, anche sul fatto che Evridiky gli domanda se avesse fatto più assenze a scuola.
I familiari si seggono l’uno di fianco all’altro su un lato del lettino, attendendo che Silvio inizi a parlare; il ragazzo con il magone e con il sudore, ora freddo, che le percorre la schiena per la vicenda delle assenze ingiustificate, inizia a raccontare quello che è costretto a subire a scuola, che poi non è diverso da ciò che subisce in strada, con la differenza che in strada capita un qualcosa di passeggero mentre a scuola è un qualcosa di costante, perciò ha iniziato a fare filone, anche se sa che è un qualcosa da non fare per molteplici ragioni e che non è così facendo che si risolve il problema.
Parla della volta sul tram in cui Evridiky gli si avvicinò chiedendogli come mai non fosse a scuola, racconta di cosa avevano parlato sul mezzo, al bar e pure che l’uomo gli disse di non fare più delle assenze ingiustificate, anche perché, se non le avesse più fatte, al suo ritorno, gli avrebbe fatto visitare la nave.
Dopo cena Silvio ritorna nella cameretta per terminare la missiva prima di coricarsi, scrivendo che i familiari hanno scoperto delle sue non entrate a scuola, avendo letto la lettera e che quando verrà a Napoli lo vorrebbero conoscere e invitarlo a pranzo.
Terminate le vacanze estive, Silvio, ha iniziato il nuovo anno scolastico, con docenti che non è che possano far molto in difesa del suo subire: è ancora a vivere il suo dramma che assomiglia all’imperterrita nuvoletta di Fantozzi.
Ma sa che almeno alla fine delle ore scolastiche ritornerà nell’accogliente casa, in seno all’amorevole famiglia, dove di certo non sono a mancare i batti becchi, ma di sicuro è un porto sicuro ed accogliente, tutto ciò che probabilmente manca tra le mura di coloro che sfogano la propria rabbia e le loro frustrazioni sui più deboli e più sfortunati.
In uno dei giorni di ritorno da scuola trova sulla scrivania una lettera, sigillata, inviatagli da Evridiky: oltre allo scritto gli ha inviato delle foto della sua casa, della famiglia e della zona circostante; gli scrive che è da pochi giorni rientrato da un viaggio tra il Pacifico e l’Oceano Indiano e che tra circa un mese si ritroverà di nuovo a partire e Napoli sarà uno degli scali.
Lo esorta a scrivergli per dargli notizie e per poter ricevere il numero telefono, così quando sbarcherà chiamerà per poi potersi rivedere.
Il ragazzo a cena porta la corrispondenza e le foto a tavola e prima di cenare, tutti riuniti, la legge e fa guardare le fotografie a tutta la famiglia.
E’ un venerdì pomeriggio, Silvio è in cameretta a fare i compiti, il padre è al lavoro e il resto della famiglia è distribuita in casa, quando dal corridoio sopraggiunge lo squillo del telefono, la madre, che sta in cucina, a stirare mentre guarda la televisione, si reca a rispondere, dall’altra parte della cornetta, in un italiano con accento straniero, un signore chiede di lui, presentandosi: è Evridiky.
La donna, dettogli di essere la madre, si mette a conversare per alcuni minuti, al termine dei quali Silvio viene chiamato al telefono, lui e il cuoco marinaio si salutano, il cipriota gli chiede se gli facesse piacere d’incontrarlo prima che riparta.
La madre, che è restata ad ascoltare, lo fa invitare per la domenica a pranzo: lui e il padre andranno a prenderlo verso le dieci, così avranno il tempo per visitare la nave, all’entrata del porto dove il cipriota li attenderà.
Silvio vive il sabato in attesa del dì di festa, trascorre la notte, che conduce al giorno domenicale, felicemente insonne, la mattina attende sveglio il padre che lo venga a chiamare e gli dica di alzarsi.
Giungono al varco accanto a cui Silvio nota Evridiky, lo indica al genitore, raggiuntolo il ragazzo li presenta, i due uomini si stringono la mano e si mettono a conversare.
Il cuoco si rivolge a Silvio e gli fa giurare, in tono scherzoso, che non è colpevole di altre assenze immotivate, lui glielo giura.
I tre accedono al porto, arrivano alla nave, vi salgono con il permesso del comandante,
conoscono il resto dell’equipaggio e fanno un giro, al termine sbarcano, escono dal porto,
raggiungono l’auto e si dirigono all’abitazione nella quale gli altri familiari sono in attesa incuriositi.
Trascorrono una bella domenica intorno al tavolo, tra pietanze, chiacchiere e racconti del cipriota; nel tardo pomeriggio padre e figlio accompagnano l’ospite, che è stato fatto sentire come un componente della famiglia.
Al porto si salutano con la promessa di restare in contatto e di rivedersi quando la nave avesse di nuovo attraccato nel porto di Napoli.
E’ lunedì mattina, Silvio, chiusosi la porta di casa alle spalle, discende le scale, esce dallo stabile e si dirige a scuola, nei pressi decide di non entrare, raggiunge la fermata del tram prendendo la linea per il porto.
Nei pressi scende, va al varco dov’è ormeggiato il mercantile, con una scusa entra, le guardie
che lo riconoscono, avendolo visto il giorno prima in compagnia del padre e dell’uomo, lo fanno passare, raggiunge la nave, sale, ma in vece di andare dal cipriota, senza farsi scorgere, si nasconde tra le merci.
E’ l’imbrunire, la nave leva gli ormeggi e salpa mentre lui è restato sul ponte nascosto.
Passano le ore, ha timore, si pente dello sconsiderato gesto, il mare, al largo, s’ingrossa con il calare della notte.
Tenta di ripararsi meglio che può, all’improvviso sopraggiunge il sonno, s’addormenta mentre lampi squarciano il cielo e tuoni annunciano tempesta.
All’improvviso, quando sembra tutto tranquillo, sente una voce durante il sonno, si sveglia di soprassalto, apre gli occhi e in quel momento gli viene una voglia di gridare, ma il grido gli resta in gola, si riaccende la sofferenza perché vede e sente il padre, venuto accanto al lettino, che gli dice di alzarsi e prepararsi per recarsi a scuola.

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