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Melodramma Novantanove

Melodramma Novantanove

Via Partenope
Napoli
Storico Racconti
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Melodramma Novantanove

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Agli antichi martiri ai nuovi martiri
Dolcezza provo, lungi nel mio pensiero m’assale per vasti lidi, lungo le coste illuminate dai chioschi solitari nella serale euforia partenopea. Partenope, ignuda corre verso un suo destino che disarma l’animo in preda alla furia degli eventi e sul monte delle croci il castello ingrassa al sole del mezzogiorno. Mentre il gallo suona la sua chitarra nel bar dei musici. Indossa una giacca di lana, lunghi capelli neri un desiderio di sparire per rime lasse. Un eroina in te, discende come un benevole Dio che giace nella mente in rivolta per strada, mentre Partenope implora la sua pieta al nemico.
 
Queste campagne, queste periferie estreme,isperse senza lacci per le scarpe, ermafrodite espressioni di gioia, di speranze crude deliranti immaginifici fiabeschi sentimenti, espressioni solari che si radunano nella tasca del viaggiatore che viaggia sopra un sauro colorato. Passa per la città sopra il suo sauro, saluta la signora egli va dal re, va dal suo consigliere, va a chiedere una tregua per questa guerra che scoppia nelle campagne . La rivolta dei contadini dei ridenti sentimenti , idilli melliferi, tutto quello che vedo sento è un lungo fischio di un treno che passa ai confini di questa citta immaginaria, fiabesca, che ha ampi portici, strade strette che si uniscono alla fine di questo viaggio nel tempo. Migliaia di persone, riunite davanti alla statua del salvatore, attendono che egli parli dica loro il da farsi. Brillano di gioia e speranze perdute dentro l’alito di un vento di giustizia. Una speranze irosa tetra come le dita della mano che tende a stringere questa anima povera che chiede elemosina ai lati di un marciapiede. E ognuno davanti alla regina si prostra, ognuno vorrebbe avere quel qualcosa che nasconda il male di un vivere antico. Un tempo fallace senza ripercussioni sostanziali che si ripercuotono nell’azione scenica che rappresenta questo vivere.
 
Il cielo è cupo, sopra il destino, crudele fato, c’aspetta di un vivere ai margini di questa società di carbonari, di cadetti nelle usate rimembranze che emozionano l’animo in preda alla lirica che vola sopra le nostre teste. E Partenopee ignuda, sogna e canta la sua libertà desta nel mattino che piacque a Pindaro che elogiò Carolina, immaginifica la storia di una poltrona vagante, un seggio del sedile, porto austero.
 
Partenope:
“Nei vostri dolci sorrisi io veggio il mio vivere e la mia rima , libera vola nell’aria tra le piazze affollate, tra le strade che conducono al bel castello, Quanta gente pendula sulla forca, balla nel vento della ribellione. Esalano il respiro nel loro credo nel dire, m’inonda il petto e le mie labbra sono viole al freddo disceso dal profondo nord. Clemente il cielo sia con me”
 
Coro:
“Accogli le nostre suppliche oh regina del gentile canto a te affidiamo il nostro amor terreno le nostre disgrazie. Siamo noi figli dell’azione che renderà il tuo portamento delicato nell’entrare a corte. Siano i nostri canti, pie illusioni di un vivere fuori dall’antro del mostro straniero”
 
Partenope:
“Oh come mi solleva il vivere con voi o miei sudditi, come mi diletta vivere per rime e altre egloghe come mi perseguita il sogno di giustizia nel sperare di vedere la nostra terra più bella, più bella del& padre, più bella del mare, del sogno che io faccio di notte, quando sono sdraiata davanti al dolce panorama e la luna mi solleva nell’incanto delle muse, che vengono deste per strade ripide a piedi nudi a incontrare il mio destino.
In tenerezza si scioglie, ogni mia tristezza ed ogni emozione mi raggela l’animo in maniche di camicia davanti allo specchio negli occhi del gatto che fissano il mio pube scoperto”
 
Coro:
“Per te amata dagli uomini , splende il faro delle virtù. Si squaglia  lo scioglilingua si scioglie il sangue del santo patrono . Ed il cappotto del condannato e macchiato di sangue innocente. Tutti, viviamo d’amore, tutti viviamo in te Partenope, tutti siamo diretti ed indiretti, timidi soldati”
 
Poeta:
“Questo è tuo volere o mia diletta, questo il cammino da intraprendere nella redenzione,  nella subdola espressione dell’anno che si compie come mostra il suo volere il popolo affranto dalle tasse. Ci guidano i santi per nuovi auspici per nuove giostre per ermetiche ecchimosi”
 
Partenope:
“Sia lieta il cielo, tutto gli uomini di questo regno, governato da un  ragno che ha mangiato a colazione  mosca del  re. Non hai visto passare nessuno, sotto la mia  finestra ? Sia lieto ogni evento ed ogni concetto che racchiude  la morte dentro un sillogismo di frasi fatte all’occasione. Potere al popolo, potere al suo santo nome. Poiché fummo  fortunati,  a non perire sulle  barricate con tra le mani i forconi,  macchiati di  sangue del mostro della miseria”
 
Poeta:
“Siamo temerari, noi scrivani, siamo stati gettati nelle buie carceri senza onore alcuno. Siamo stati torturati e poi impiccati all’albero della cuccagna con un mucchio di straccioni, con un mucchio di parole mai comprese,  poiché il nostro ardore, andava oltre questo rivolta. Nel vento la voce era udita sulle alpi e sugli appennini, erano  quelle le nostre voci che echeggiavano gaie e meste distratte nel sogno di una libertà che non si riposa a sera. Di questa ragione nell’obblio del fato che governa il nostro vivere, siamo stati condannati ad essere prigionieri di una giustizia straniera figlia della cattiva sorte. Spargiamo pene e sofferenze. Non ci è dato dire cosa provammo, cosa vorremmo  . Noi sudditi di mondi sovrumani.  Gestiti da tiranni, governati da pirati,  mostri di altri pianeti venuti a coltivare  odio e tristezza. Fame e miseria. Sere nostre che affiorano nell’animo di un vecchio sognatore, fermo sul ciglio della sua casa , la dove spunta e tramonta il sole della nostra libertà.  Noi  costretti ad ubbidire per farti contenta madre partenopea. Divampa la fiamma della rivolta, divampa nei fondachi, nei vicoli scuri dove le carogne si riuniscono a cantare la loro gioia ed il loro amore represso. E sposi noi tutti siamo dell’amore patrio, dell’amore di nostro vivere sotto un vessillo straniero. Un vessillo nero che sventola sui nostri castelli e suoi nostri palazzi, un simbolo di morte che ride alla vita. Tu madre terra c’infondi coraggio che a noi mancò per resistere all’invasione nemica”
 
Coro:
“Morimmo  ed amammo
Moriamo ed amiamo
Ridiamo e giocammo
Viviamo e sognammo
Sentiamo e esultiamo
Perimmo e cademmo
Perduti saremo
Avanti miei prodi”
 
Poeta:
“Volgi le tue braccia verso di noi o redentore, signore  degli oppressi. Questa nostra misera storia senza nome. Senza padre e senza madre. Senza la nostra terra noi siamo polvere nel vento che va verso oriente ed occidente verso il paese del sole levante, dove vivono  altre genti, dove vivono i signori, sacri agli dei. Ed io piango il mio amore nel mio dolore di uomo piegato nella fede”
 
Coro:
“Quel dolce sorriso un tempo, scacciò ogni tristezza  inebriò il canto delle muse. E che fece addormentare i mostri dell’esistenza,  nelle speranze meste del riscatto dal gioco crudele, dal carcere duro, intriso dall’odore della morte che ci portiamo addosso per strade sempre più sudice”
 
Partenope:
“Rivoltosi  bramate in tempo delle mele, bramate il sogno teso nella tela, vi incamminate alla ricerca di ogni bene e di ogni felicità, una tazzulella di caffè lo sguardo fugace di una donna ed il mondo gira su stesso nel suo eterno sentimento”
 
Primo Giacobino   prostrandosi:
“Ai tuoi piedi rimaniamo signora della notte. Signora dell’amore. Regina del nostro misero canto che trasalì per diverse dimensioni”
 
Secondo Giacobino:
“Donna dei nostri dolori. Ideali  del nostro cuore infranto, ideali che ballano  nella nostra mente  che capovolgono il tempo. Donna non aver paura di noi. Fra noi rimani coperta di  gemme d’oro, il tuo bel viso splende nel tempo passato. Increduli  siamo nel ricordo di questo dolore”
 
Partenope:
“Saluti a voi ribelli  . Saluti a voi brava gente”
 
Terzo Giacobino:
“Noi ti doniamo  il nostro amor filiale. Le ali nostre sono corrose  e si salta i fossi in silenzio. La nelle meste sere sotto i torrioni del bel castello, aspettiamo passi il vento infetto. Questo dolore,  racchiude ogni sospiro, ed ogni ancestrale eufemismo. Noi aspettiamo ai lati della strada che tu Partenope passi. Che tu ci degni di un tuo sorriso”
 
Rivoluzionaria:
“E di ricordi iddio ci ha castigati a sua immagine. Nel logos  abbiamo tradito la morte  cosi ora noi canteremo altri moti ed altre rivolte”
 
Primo Giacobino:
“Magnanima regina, governi il moto del nostro spirito,  governi il caso e la città infinita. Le mille luci che pulsano nell’oscurità. Nel lontano andare e venire verso altre terre nel moto dell’orologio udiamo  il suo ticchettio, risuonare  tenebroso nella stanza ove noi rivoluzionari  alloggiamo”
 
Partenope:
“Ah si lieta sia la vostra vita, nella bella lingua volgare. Nelle acque del vostro incantevole golfo. Nei fumi delle fumarole della solfatara. negli infausti auspici di un tempo che arrise la sorte di diversi popoli. Oppressi ed oppressori, si alzi il professore egli conosce il viso della storia”
 
Secondo Giacobino:
“Siete asciuto  fora dallo seminato, la guerra  porta tormento.
Guarda come  lo sole cade nel  mare”
 
Rivoluzionari:
“Vivi siamo nel tuo nome
Con te combattiamo
Ed amiamo
Rincorriamo i tristi giorni
Leghiamo i nostri morti al carro del condannato
I nostri canti si odono per strade fino sopra il patibolo dove balla la morte
Sotto il fuoco dei cannoni
Sotto la panca dove la donna giace con il suo amante
In questo pane siamo rinati
In questo canto siamo cresciuti
In questo suono siamo stati presi per folli
Per te di luce viviamo
Per te cambiamo le carte in tavola
Per te ordiniamo un panino
Per te gustiamo , questo amore al veleno
Regna sopra questo suolo il fauno fortunato
Amico del fato
Amico di noi povera gente
Fato che ci solleverà dal fuoco”
 
Poeta:
“Amore mi inonda il l’animo
Amore mi trasporta lontano
Mi cambia le vesti
Il verso
Il salire e lo scendere da questo carro
Verso un’altra terra  vado , verso un’enigmatica illusione
Ancestrale epigono elitario
Che trascende il verbo  nel suo insieme
Nella mitica illusione  dispersa  per mezzi termini
In apologie in angoli smussi
Poi triste diviene la rivolta”
 
Terzo Giacobino:
“Dove la gaia bellezza di un tempo
Dove si nasconde  la bella canzone della libertà”
 
Poeta:
“La libertà giace in una fossa insieme all’essere uno
Nella sua incomprensione si svapora
Si svuota di alchimie bibliche
Si bea della sua bellezza”
 
Primo Giacobino:
“Sono io che muoio o il mondo cade ai miei piedi”
 
Partenope:
“Nel vero avanza l’esistenza .
Ella danza ignuda in mezzo a noi”
 
Secondo Giacobino:
“Non capisco chi è costui?”
 
Terzo Giacobino:
“Non ricordi chi eri?”
 
Rivoluzionaria:
“Sembra uno straniero”
 
Primo Giacobino:
“E’ un pellegrino”
 
Partenope:
“Le sue canzoni sono lieve come il vento marino”
 
Secondo Giacobino:
“Quel suo venerando aspetto desta in me strane impressioni”
 
Primo Giacobino:
“Quale fu la ragione di tanto male
Quale fu il termine che segno la fine di questo dialogo
Quale fu la genesi che cesso il sentire in se il soffrire
E le belle rime metriche e lime e spiragli di bellezza
Avanza questa canzone tra la folla
Mossa dal fato
Mossa dalla grida
Mossa dal pianto
Mossa dal canto”
 
Repubblicano:
“Chi regna  in questo circolo
Chi gioca a fare il bugiardo
Chi suona la cornamusa
Chi spoglia la madonna
Chi giace sul duro selciato
Chi implora pieta
Chi spera di tornare ad essere vivo”
 
Partenope:
“Sono io che vi imploro”
 
Poeta:
“Lasciaci andare verso la  nostra sorte
Lascia che noi siamo
Lascia che noi raccogliamo il nostro canto
Raccogliamo le nostre lacrime magre
Il chimico sillabare
La bella lingua dei padri”
 
Primo Giacobino:
“Gioiamo per lei”
 
Partenope:
La gioia si desta nella sera ci trasporta dove nulla esiste
Dove siamo noi stessi
Per sommi capi
Chi ha bussato la porta del curato
Chi giace in una fossa
Chi guida a cento all’ora sopra l’autostrada
Chi doma una donna
Chi doma il cuore di un ammalato
Chi porta fiori al camposanto
Chi  canta per amore
 
Repubblicano
Anime amorose rose rosse di passioni
Io cantai un tempo per tanta gente
Rose di sera pensieri che volano lontano sopra il mare delle mie memorie
 
Repubblicani
Idolo dei nostri letarghi Idoli dei nostri giorni
Migranti . immagini di un mondo transitorio
Un lavoro sporco
Un passato triste
Un canto represso
In questa fossa
+in questo sogno
In questo ritmo ho dimenticato il mio coraggio di esistere
La mia triste storia di uomo
 
Partenope
Felici sposi
Felice promesse
Porte aperte davanti agli uomini
Porta questo bacio
Porta questo sogno
Porta questo canto
Porta questo mondo più in la
Porta tua madre dal dentista
Porta la tua amante dal medico
Porta questa sorte dal chirurgo
Porta questa canzone dal notaio
Porta questo canto dal mio Dio
 
Poeta
Oh grande madre sei ancora li che aspetti il mio ritorno
Dietro la porta della mia vecchiaia
Dietro la porta della mia giovinezza
Dietro la porta della vecchia bellezza
In questo jazz
In questo blues
In questo scendere salire per ire davanti iddio
 
Partenope
In molti ti seguiranno
In molti diranno dove vai
 
Repubblicano
Fa che io sia me stesso
Segua il tuo passo nella triste sera
 
Partenope
Non aver timore t’aspetto sotto l’ala della vecchia stazione
Dietro i treni arrugginiti
Sotto le macerie degli anni
Assopiti addosso al  vagabondo che dorme beato per terra ad un passo
dalla suo viaggio”
 
Repubblicano:
“Cerco il volere degli uomini
Cerco di capire il perché di tanto male”
 
Partenope:
“Volgi il passo verso la fine ed in fretta prosegui il viaggio”
 
Repubblicano:
“Rendere felice gli altri mi conviene assai”
 
Partenope:
“Bramo vederti felice nel tuo tempo”
 
Repubblicano:
“Io non conosco il genio che anima il tuo animo
Ma prediligo tarantelle alle tagliatelle”
 
Partenope:
“Sogno o son desta nel mio misero canto
Mi spoglio e vivo  il desiderio di un amplesso nel suono mesto di un canto popolare”
 
Coro delle Muse:
“Di tanti appulsi
Di tanti amplessi il mio e il migliore
Il mio e questa vita che passa
Questa vita che canto
questa canto che ascolto
nella sera sulla strada
Nera ed aspra
Risuona giovane e forte
La tua voce ascolto
Bramo il tuo corpo
Il tuo canto popolare”
 
Repubblicano:
Bella l’arte che narra del vero
“Bella l’arte che danza con me
Bella l’arte che sogno di amare
Bell’arte che mi porterà da via da questo inferno
Che mi porterà verso Marte
Verso un’altra dimensione
Dietro i tuoi sguardi
I tuoi occhi dolci
Che guardo estasiato
Forse e tutto un sogno
Forse e questa sera di ottobre troppo triste
Piove e piango
Navigo da solio contro corrente
Contro il mondo dei grandi”
 
Partenope:
“Ma tu chi sei che spii il mondo da solo dal tuo letto di piume di anatre”
 
Repubblicano:
“Quel sono io che passo distratto tra la folla
Che volge il passo attraverso i secoli passati
Non cesso di stupirmi
Mi struggo mi giro nella fossa
Mi giro per strada mentre cammino
Il tempo sono io”
 
Partenope:
“Che dici oh cielo”
 
Il Tempo:
“Rinfranca il cuore sapere qualcuno che ama come me il suo tempo
Qualcuno che aspetta possa cambiare qualcosa
Che per diversi linguaggi non ha paura di se stesso di cosa sia divenuto”
 
Coro:
“Tanto stupore non aspettare nessuno
Non aspettare che piova di nuovo
Bon aspettare di piacerti addosso
Non portare il tuo cuore dal medico
Non portare il tuo sorriso per strada
Ti sembra un sogno sei ad un passo dal perderlo”
 
Il Tempo:
“Nell’immutabile probabilità ogni cosa accade
Non piove
Io sono il mio tempo
Il tempo di bere di mangiare
Il tempo che passa inesorabilmente
Ora come ieri
Oggi come domani”
 
Coro:
“Tanto stupore ci assale
Tanto amore ci porta via
Tanto tutto sarà come l’abbiamo immaginato fosse
Tutto sarà un domani
Tutto sarà
Ogni cosa sembra un sogno
Un ombra raminga che vaga per la città
Con la sua amica di sempre
nell’oscurità dei vicoli
Sento la mia ombra vacillare
Sento il tuo corpo contro il mio”
 
Il Tempo:
“Ascolta popolo, ascolta questo canto
Ascolta Partenope partire per altre mete
Senti il vento venire
Nella sera con tanti sanfedisti
Senti ogni cosa sembra finire
Tutto il pubblico va via ed io rimango con il mio tempo
Con il canto
Con la mia gioia
Con la mia tristezza
Il mio blues
Il mio accordo perfetto
Il mio dono a Partenope”


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    Melodramma Novantanove

    Domenico De Ferraro

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