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Lui e lei sotto il Vulcano

Lui e lei sotto il Vulcano

Via Quattro Novembre
00186 Giardini Naxos
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Lui e lei sotto il Vulcano

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Il loro primo incontro era stato avvolgente e mitico proprio come il luogo che li circondava. Un movimento per l’anima dalle forti emozioni, il bianco candido della neve, il nero intenso della lava. Un paesaggio mozza fiato, luogo di profondi contrasti proprio come loro due. Lei, minuta, bruna, tutto pepe. Lui alto, biondo, ripiegato su sé stesso. Lei amante dell’aria aperta e dello sport, al limite sempre del pericolo. Lui pantofolaio, abitudinario, quel giorno di fine anno sulla neve per caso. Lei determinata, aveva già pianificato il suo futuro, università, lavoro, famiglia. Lui, invece, viveva alla giornata con dei lavoretti saltuari che gli permettevano un minimo di indipendenza. In comune poco o nulla, eppure quell’inizio d’anno, tra i boschi di castagno e i pini secolari, si erano trovati. Amore a prima vista? Lui affermava di sì. Lei aveva dei dubbi, ma non si ero mai trovata così bene come con lui. Da quella notte, per giorni e giorni, le loro mani non si staccarono più. I mesi a seguire esplosero come la primavera intorno loro. Ad ogni appuntamento il desiderio di vedersi, stare insieme, toccarsi, odorarsi, cresceva. Insieme stavano benissimo. Tanto bene che presto decisero di andare a convivere in una casetta sul mare messa a disposizione dal nonno di lui che l’adorava. Le loro mani si divisero per lungo tempo la prima volta quando nacque Nicolò. Lei rimase sempre una donna bella e peperina. Il loro rapporto di coppia invece si spezzò, il matrimonio si spense, tra loro iniziò una polemica continua. E mentre l’amore tra lei e il figlio crebbe sempre di più, quello tra lei e il marito si esaurì. Fino a quando lui pensò persino di mettere fine a quella convivenza, ma poi davanti al mare, con lontano il Vulcano che li aveva fatti incontrare, le chiese di sposarlo. Le loro mani si ricongiunsero durante un autunno per boschi a raccogliere funghi, castagne, pinoli ed un inverno lungo le piste, lui a sciare, lei ad aspettarlo al caldo della baita, dove si eravamo conosciuti con un buon libro e una dolce cioccolata calda. Quando nacque Tommaso erano felici, ma ancora una volta, appena tornata a casa dall’ospedale le loro strade si divisero. Lei a rincorrere pannolini, biberon, notti in bianco, asilo, scuola, feste di compleanno, malattie, giochi, compiti. Lui, isolato sempre più con il suo lavoro e la sua televisione. Quel giorno d’inverno freddo e uggioso, si aggiustò il ciuffo e chiese. – Possiamo parlare? Certo che possiamo. – Che domanda mi fai? le rispose nervoso, mentre giocava con le chiavi della macchina.  – Sei sempre di fretta. Non ha mai tempo. E quando ti parlo ho l’impressione che non presti attenzione a ciò che ti dico. Invano lei cercò di farsi guardare. – E sempre sta storia che non ti ascolto, che non ti capisco, che non presto attenzione … Per te il mondo ruota solo intorno a te. Io invece gioco tutto il giorno. Spostò la sedia e si mise di fronte come a scrutare i suoi pensieri. – Non ho detto questo. Non capisco perché travisi sempre ciò che dico… Lui si spostò e si infilò la giacca blu che sino a un minuto prima pendeva mollemente sullo schienale della sedia. – Sempre, categorica e totalizzante. Con il viso rosso dalla rabbia gli strattonò il braccio per fermarlo. – Tu o aggredisci e fai il prepotente o stai zitto, non parli, ti chiudi in te stesso. Le spostò bruscamente la mano e con un ghigno le urlò. – Senti, non facciamo altro che litigare per stupidaggini e sono stufo. Mi sono rovinato la vita! Lei comprese che presto sarebbe andato via lasciandola sola lì e che sarebbe ritornato a casa solo a notte fonda. Eppure ancora una volta non riuscì a cambiare registro ed a non accusarlo, a non aggredirlo con un fiume di parole. – Tu ti sei rovinato la vita e io allora. Eppure sono qui non scappo, non urlo, cerco di parlare. Io i problemi li affronto. Si alzò di scatto e le sbuffò in faccia. – I problemi li affronto anch’io. Ma, parliamo, parliamo ma di cosa parliamo. – Incomunicabilità caro mio ma che relazione possiamo avere se non ci comprendiamo. A volte quando parlo mi sembra di parlare a un muro. Stanco delle solite e inutili discussioni, esagerò più del solito, rivelando sino in fondo i suoi pensieri. – Senti io credo che tu sei pazza secondo te dopo un intero giorno di lavoro fuori casa, io dovrei ascoltarti e risponderti, magari per ore, magari su chissà quali stronzate… – Già perché le mie sono solo stupidaggini, come hai detto? Stronzate, delle stronzate. Meno male che in famiglia abbiamo il saggio che sa tutto. Mai fesserie. Mai abbassare la guardia. Ormai a qualche passo distante da lei lui si girò di scatto, la guardò ma forse non la vide, e gridò. – Basta io me ne vado mi sono proprio rotto a stare qui ad ascoltarti. Prima insisti ad uscire a bere qualcosa. Una lagna lunga ed insistente per oltre un’ora e poi una volta fuori incominci a lamentarti e finisci a litigare… – Ma dove vai, troppo comodo, una volta che riusciamo ad uscire insieme soli, scappi via subito accusandomi … Ti avevo solo chiesto di parlare, parlare un po’. – Tu sei matta o è un fatto ormonale, si sa le donne in certi giorni vedono tutto in maniera diversa … Parlare ma non parliamo abbastanza. Cosa vuoi? Cosa cerchi? – Un nuovo modo di comunicare. Non solo parole vuote di significato o parole necessarie, ma parole che esprimo emozioni, sentimenti, comprensione… Fuori dalla finestra un mare blu cobalto cullava le poche barche ritornate dalla pesca e lontano all’orizzonte il fumo nero di quel Vulcano che li aveva fatti incontrare.

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