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Il trionfo dei luoghi comuni

Il trionfo dei luoghi comuni

Via Guido Rossa
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Il trionfo dei luoghi comuni

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«Chiudi quella porta! Sembra di stare all’inferno!».
La folata era gelida, lo ammetto, e ha raggiunto la soglia prima che io fossi entrato.
Una puzza di rancido mi ha colpito a tradimento, quasi fosse lì ad aspettarmi.
Non che dentro ci fosse più caldo, ma la differenza di temperatura, chissà perché, quando una casa è abitata comunque si sente.
«Si è spenta la stufa, signor Baldini?», la mia voce è giunta da sotto la sciarpa, mentre con le mani cercavo di togliermi la neve dal giaccone.
Lui neanche mi guardava. Mi ha voltato le spalle ed è andato a raggiungere la sua poltrona sgangherata, quella accanto alla finestra. Che poi era anche l’unica che c’era.
«Non sono ancora venuti a spazzare la strada – ha detto osservando fuori la neve e sollevando di poco il sopracciglio sinistro – hai avuto difficoltà a trovarmi, ragazzo?».
Ragazzo. Mi faceva morire, il signor Baldini. Avevo vent’anni e lui mi riceveva in casa sua quasi ogni giorno, ma restavo sempre quel ragazzo che vedeva per la prima volta.
«È che non ci sono più le mezze stagioni», ed eravamo alla sua solita solfa, quella fatta di luoghi comuni. Solo che lui ci credeva. Ci credeva davvero. Gli veniva così naturale che, quando parlava, s’infiammava tutto. Starlo ad ascoltare era uno spasso, il vecchio Baldini, ed era per questo che dall’associazione mandavano sempre me.
«Te lo ha detto tua madre? Che non ci sono più le mezze stagioni?», e intanto guardava fuori, facendosi schermo con la mano, quasi se nel suo cortile ci fosse un nugolo d’indiani nascosti fra i cespugli, pronti per sferrare un attacco.
Io intanto ho appoggiato la borsa della spesa che avevo con me sul pianale, e ho iniziato ad armeggiare con la stufa.
«Sarà permesso che ci sia questa neve, all’inizio di marzo?» rimuginava lui, seguendo un filo del discorso che era solo suo. Perché mica aveva bisogno del mio consenso, per dire le cose, il vecchio Baldini.
«Ai miei tempi non ha mai nevicato in primavera, questo è poco ma sicuro».
Forse gli indiani, là fuori, avevano desistito ed erano battuti in ritirata, perché adesso lui era in piedi dietro di me, e pareva del tutto preso dai miei tentativi di accendere la stufa.
«Mica è primavera, signor Baldini. Ce ne vuole ancora…».
«Eh, caro il mio ragazzo, la realtà è che si stava meglio quando si stava peggio. Col vostro progresso, voi giovani avete rovinato tutto».
Avrei dovuto aspettarmelo da lui, un discorso del genere, nemmeno so perché avevo parlato. Ma la verità è che mi divertiva, il vecchio Baldini.
«Prima di andare, vado a prendere altra legna», e l’ho detto dopo essere  riuscito ad accendere il fuoco. Inutile chiedergli da quanto tempo si fosse spento, e infatti non glielo ho chiesto.
Baldini è andato a guardare nella borsa che avevo appoggiato sul ripiano della sua cucina e ha fatto una faccia schifata, quando ha scorto le arance. Io ho preso la carne e l’ho sistemata in una cassettina che lui aveva sul davanzale, insieme a un cartone di latte. In mancanza di frigorifero, lì al gelo si sarebbero conservati alla grande. Il pane, invece, insieme alle arance che non  gli piacevano mica poi tanto, l’ho messo in un cestino pulito, che ho trovato sul tavolo.
Così ho iniziato a sistemare un po’ in giro, anche se non era compito mio. Ma ho pensato a come doveva sentirsi, il vecchio Baldini, lì tutto solo. E così gli ho lavato quelle quattro tazze sporche che aveva nel secchiaio, e gli ho sfregato via le tracce di caffellatte dal fornello.
«Dove abitavo una volta – ha riattaccato lui – il sindaco era un lavativo. L’amministrazione comunale aveva pochi soldi e, durante una nevicata, ci hanno messo un giorno e mezzo prima d’intervenire con lo spazzaneve».
Avrei dovuto dirgli che la situazione là fuori non era poi così grave, che bastava che non uscisse di casa per qualche giorno, perché era tutto ghiacciato e poteva cadere. Ma tanto non stava a sentirmi, il vecchio Baldini, preso com’era dal suo discorso.
«Tutto il mondo è paese, ragazzo, non trovi?». E mi è piaciuto, perché mi ha guardato dritto negli occhi, e stavolta ha atteso che annuissi.
Gli indiani, là fuori, erano tornati. Baldini era in piedi alla finestra e scrutava di nuovo con quella mano ritta davanti agli occhi, nella sua posa di generale che ordina alla truppa l’attenti.
«Qui una volta era tutta campagna, lo sai ragazzo?», ma stavolta non ha atteso la mia risposta. Io nel frattempo ero passato a riordinargli quella rete arrugginita, messa di traverso in fondo alla stanza, che il vecchio Baldini si ostinava a usare per letto. Avrei dovuto dire all’associazione di darmi una coperta nuova, la prossima volta. E avrei dovuto ricordarmi di passare prima a comprargli qualche giornale. Avrebbe potuto fare davvero delle belle dissertazioni, il vecchio Baldini, se solo avesse avuto qualche giornale ad ispirarlo con argomenti nuovi.
«Uno crede che, in un posto dove una volta era tutta campagna, siano attrezzati per soccorrere la popolazione in caso di bisogno. Ce li hanno i trattori, loro, se vogliono. E invece no. Ci lasciano qui a marcire e a morire di freddo».
Il vecchio Baldini era proprio andato. Se la prendeva con le persone sbagliate. E adesso veniva anche a me di parlare per luoghi comuni. Avrei voluto dirgli che è vero che i soldi non fanno la felicità, porca miseria, ma neppure vivere così dovrebbe essere permesso! E dato che c’ero, perché no, avrei voluto dirgli che l’amore è cieco, senza dubbio, ma quella che lo aveva lasciato e lo aveva ridotto in quel modo era proprio una stronza! Perché una donna c’era stata, a suo tempo. Avevo sentito che una volta ne parlavano all’associazione. Lei era andata via con un altro, e il vecchio Baldini aveva dato di matto.
Certo, forse anch’io lo avrei fatto. E poi, era lei quella coi soldi, che ha trovato uno con più soldi ancora. Così, che piove sempre sul bagnato l’ho pensato, tanto per quel giorno avevamo fatto il pieno.
E il povero vecchio Baldini, povero anche di fatto, si era ridotto a vivere in quella catapecchia con un’unica stanza, al freddo, e a mangiare quelle arance pidocchiose che gli portavo io. E per giunta, adesso non era nemmeno più tanto giovane, senza contare l’arteriosclerosi che galoppava a rapide falcate.
Quando ho finito di fare le faccende, lui era davanti al secchiaio e stava mangiando un’arancia, facendo una smorfia di disgusto ad ogni boccata.
«Vuoi un’arancia, ragazzo?» mi ha chiesto.
Perché il vecchio Baldini era generoso. Lui mica si risparmiava, quando aveva qualcosa da offrire.
«No, grazie, signor Baldini. Io sto per andare».
E ho dato un’ultima controllata in giro, ma mi sembrava tutto a posto.
Così sono uscito nella legnaia, come gli avevo promesso. Le scorte c’erano ancora, e gli ho portato in casa quattro o cinque bei ciocchi.
«Allora, qui è tutto in ordine – ho detto – prima che si spenga il fuoco, ci butti su questi pezzi». Ma sapevo che era inutile, perché il buon vecchio Baldini a certe cose mica ci badava.
Lui stava annuendo, e intanto sussurrava “bravo, bravo ragazzo”, ma lo diceva come a ritmo di una musica che solo lui sentiva dentro alla testa.
«Se ce la faccio, torno domani. Altrimenti ci vediamo giovedì. Ma di cibo ne ha, signor Baldini, stia tranquillo».
Lui mi ha fatto un gesto con la mano, mentre mi accompagnava alla porta. Voleva dirmi di lasciar perdere, di non preoccuparmi, che andava bene così. Oppure, tutte e tre le cose messe insieme. L’espressione era quella di chi ha sentito un rumore molto fastidioso.
«Vedrà che lo spazzaneve sarà qui a momenti», ma lui era di nuovo alla finestra, e sembrava non ascoltare più. Gli indiani danzavano nella neve, o forse chissà a cosa pensava, il vecchio Baldini.
Io mi sono rincalzato il berretto e ho chiuso il giaccone. Poi mi sono ripreso la sciarpa, che avevo tolto per fare meglio i lavori.
Prima che aprissi la porta, il vecchio Baldini mi ha rivolto la parola.
«Tua madre deve essere fiera di te, ragazzo», e ha ammiccato, con quel suo sorriso senza denti.
Ci sono rimasto, un po’. Ma lui non era ancora contento.
«Quanti anni hai, ragazzo?».
E mentre facevo presto ad uscire, per non disperdere il caldo, gli ho risposto una cosa che sicuramente gli faceva piacere.
«Dalla mia nascita sono passati vent’anni – ho detto – ma, mi creda signor Baldini, a mia mamma sembra sempre ieri».

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