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San Martino

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Quartiere San Martino
56125 Pisa
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San Martino

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Erano gli anni 00, i 00’s in inglese. Il Millennium Bug non c’è stato, il 9/11 non era neanche nell’anticamera del nostro cervello. Nel mio invece era appena passato lo stress della maturità, l’imminente divorzio dei miei, un amore che mi teneva compagnia a suo modo, le tasse universitarie da pagare e Pisa. A Pisa c’ero già stata, la prima volta, con zia Maria e mia sorella, la zia (che poi era sorella di mio nonno ma la chiamavamo sempre zia, come gran parte del suo parentado) mi portò a vedere la Torre Pendente che avevo nove anni. Quando arrivai in Piazza dei Miracoli quella volta trovai tante transenne, lavori in corso, zero prato, insomma un cantiere. L’impatto fu come guardare un piccione, sta li ma non te ne accorgi perché è tutto grigio e sudicio, però  il piccione ha una cosa che tu non hai, lui sa volare e dalla sua altezza ti può guardare minaccioso..prova a chiamarlo ratto con le ali, se ne hai il coraggio! Erano gli anni ’90 e la Torre di Pisa stava li in piazza, in disparte, grigia e immobile. Erano poi gli anni duemila e la Torre si era da un po’ rifatta il trucco. Stavolta era bianca come il latte, attorno a lei aiuoline con le ringhiere basse – dove ai cani e alle persone non è consentito sostare ma ci andavano lo stesso – erano gli anni duemila e le bancarelle gli facevano da contorno. Erano gli anni duemila ed io stavo a Pisa, precisamente in via San Martino. San Martino era quel quartiere che si nasconde alla spalla destra di Corso Italia, poco prima di passare Ponte di Mezzo. Quel quartiere era qualcosa di eccezionale. Anarchico, fatiscente, marrone ma tanto brulicante di vita. La vita c’era ma si manifestava piano piano, dalla mattina con i piccoli negozi che aprivano le loro rugginose saracinesche ai soliti lavori in corso per far si che palazzi e strade non vengano inghiottite da un gigantesco cratere creato dalla furia urbana. C’era pure la chiesa, una cosa che smentiva se stessa, “Wojtyla è un ologramma” recitava una scritta di bomboletta spray nera sulla sua fiancata. Io ero capitata li a vivere per sei mesi aspettando che mi dessero la borsa di studio e alloggio. In verità ero già stata a San Martino, quando in quarta e quinta superiore divenne la mia meta di “forca” o “brucia” o marinare la scuola. Li c’era  il mio primo amore, c’erano i suoi compagni di corso c’era un sacco di gente più grande di me, in quell’appartamento chiamato Casa Chierici. Vivere con cinque informatici in procinto di laurearsi era un vero spasso! Si pranzava alle sei di pomeriggio con pasta al pesto oppure con un arrosto dove potevi riconoscere ogni singola patata dalla sua forma. C’erano le sessioni interminabili di Doom (chissà se sapete cos’è) la Playstation primo modello con Street Fighter a manetta (anche quello non so se sapete cosa sia)..e tanto caffè. La mia camminata mattutina per la facoltà includeva: piccolo struscio a Corso Italia per vedere la gente vestita bene, truccata e che lavora, l’imbottigliamento di Ponte di Mezzo intasato dalle macchine e dai pedoni nonché frotte di turisti, altra camminata fashion a Borgo Stretto con i suoi caffè eleganti ed i negozi dove non  mi sarei nemmeno potuta permettere di comprarmi un portachiavi e poi piccola deviazione a sinistra per entrare a Piazza dei Cavalieri (allora piena di catrame) dove avevano base i testoni della Normale e la sede della DSU (diritto allo studio universitario o per me La Mecca). Quella che passavo ogni volta per andare verso la segreteria era la statua di Diaz, non di Enrico Fermi e poi niente, se prendevo l’arco davanti alla piazza andavo dritto per la facoltà (a cinque minuti di strada dalla Torre Pendente, sempre). La Torre è come un faro per Pisa, una volta ci arrivava pure il mare. Erano gli anni duemila dicevo e per quel lasso di tempo non ce la feci a girarla tutta la città, ma riuscì comunque a visitare il murale di Keith Haring. Quell’anno riuscì pure a visitare una mostra a lui dedicata in un museo dei Lungarni – forse a San Matteo – ma non mi ricordo bene. Erano gli anni duemila e al Giardino Botanico in via Santa Maria facevo sempre pranzo, potevo entrare gratis tra le palme e le piante officinali, girare per gli orti e sentirmi un po’ fuori dal mio mondo. Quando poi lasciai Casa Chierici il mio tragitto cambiò, correvo avanti e indietro dalla stazione del treno, cambiai il pomposo Ponte di Mezzo con il più popolare Ponte Solferino e consumai per anni i marciapiedi di Lungarno Pacinotti, già concavi e scavati e da altri passi. Pisa è stata la mia casa per sei mesi e la mia meta quotidiana per circa cinque anni. Ora la rotonda davanti alle Poste è chiusa al traffico, come per Corso Italia, i negozi profumano di sapone e non sanno più di piccione mentre la Torre Pendente è talmente stata sbiancata che sembra fatta di tufo, ma si fa pagare come una d’avorio! Erano gli anni duemila e oggi sono quasi  2020, passando da San Martino, tra i vicoli pisciosi e scuri ho trovato attaccati ai muri, romantiche poesie del MeP.

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