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Il profumo delle rose

Il profumo delle rose

Corso Regina Maria Pia
00122 Lido di Ostia
Gialli e Thriller Racconti
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Il profumo delle rose

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Passeggiava per il giardino incolto, con il naso per aria a controllare i rami nodosi del grande ulivo e le gambe nude tra le erbacce, stando attenta a non ferirsi con le rose i cui steli spinosi sembravano volessero trattenerla.
Sebbene non più curate da molto tempo e ridotte a cespugli privi di forma, le piante erano in piena fioritura ed emanavano un intenso profumo.
«Il terreno ha bisogno di essere dissodato e occorre estirpare le erbacce. Dovrò chiamare un giardiniere per la potatura degli alberi da frutto. L’ulivo, invece, vorrei lasciarlo così, contorto e piegato dagli anni, non avrei il coraggio di tagliarne i rami», rifletteva Linda mentre, con le mani sui fianchi, osservava soddisfatta il giardino immenso.
Aveva da poco firmato il contratto e, finalmente, dopo aver risolto tutte le pratiche burocratiche necessarie, quella grande villa era sua.
Aveva concluso un vero affare perché l’immobile era in vendita all’asta già da parecchio tempo senza, però, aver destato alcun interesse da parte degli acquirenti.
Era venuta a sapere dalla gente del posto che, parecchi anni addietro, la figlia quindicenne dei vecchi proprietari era stata portata via dal mare che non aveva più restituito il corpo.
Inutili le numerose e ripetute ricerche da parte dei sommozzatori: la ragazza sembrava esser stata inghiottita dalle acque.
I genitori, disperati, si erano chiusi nel loro dolore.
Da quando la figlia era scomparsa, la madre era impazzita e, con ossessione, curava le rose che la ragazza aveva piantato sotto il vecchio ulivo insieme a un’amica.
Il padre, medico condotto del paese e considerato da tutti un sant’uomo, era rimasto in vita soltanto per poco tempo.
Consumato dalla sofferenza per la tragica scomparsa della figlia e l’inguaribile pazzia della moglie, si era lasciato andare, spegnendosi nell’arco di qualche mese dall’incidente.
La donna, una volta rimasta sola, aveva abbandonato del tutto la casa e, come un’ombra, si trascinava per le vie del paese, dormendo per strada e vivendo ancora solo grazie all’attenzione di un gruppo di cittadini volontari.
Alcuni abitanti del luogo mormoravano, però a mezza bocca, che la giovane fosse stata uccisa dal padre il quale non aveva accettato che la figlia avesse stretto un’amicizia molto particolare con una certa Giulia, una ragazza di città dai modi troppo liberi.
C’era chi giurava di aver sentito lamenti di donna provenire dal giardino e chi, addirittura, era pronto ad affermare di aver intravisto delle ombre vagare nella casa vuota come se il fantasma di una ragazza si aggirasse da anni nell’edificio abbandonato.
Alcuni le suggerirono persino di non acquistare quella casa maledetta, di starne alla larga.
«Al diavolo dicerie e superstizioni! Ho realizzato il sogno della mia vita acquistando quest’antica villa circondata da un giardino immenso. Certo, sono stati necessari importanti lavori di ristrutturazione per gli interni dell’edificio e ora occorre dedicarsi al restauro del giardino e della facciata esterna, ma il tempo non mi manca e i soldi nemmeno».
Linda, infatti, aveva avuto la fortuna di ereditare un’ingente somma che le avrebbe permesso di condurre una vita più che agiata e di coronare il suo sogno di scrittrice di romanzi gialli.
Appena aveva attraversato la soglia di quella casa enorme e silenziosa, aveva deciso che sarebbe stata sua e che avrebbe destinato a studio la stanza dalla parete rotonda che affacciava sull’antico ulivo.
Sembrava un ambiente adatto per dedicarsi al proprio lavoro.
In quel luogo magico, seduta su un divano di vimini e con la fedele Olivetti lettera 32 sulle gambe, avrebbe scritto i suoi romanzi gustando ogni battere del martelletto e il fluire di ogni carattere impresso sul foglio di carta.
Appassionata di oggetti di antiquariato, aveva pensato di mantenere tutti gli antichi arredi affidandosi, per il loro restauro, a un noto ebanista del posto che aveva già dato dimostrazione della sua maestria restituendo allo splendore originale i mobili della stanza da  letto.
Per comodità e igiene, avrebbe cambiato soltanto il mobilio della grande cucina, dove l’acciaio e il vetro avrebbero occupato il posto del legno.
Quella sarebbe stata la prima notte nella sua meravigliosa casa e fu ben contenta di poter dormire nel grande letto liberty appena restaurato che profumava di gommalacca e lenzuola nuove.
La notte, però, non fu per niente tranquilla.
Un vento feroce pareva intenzionato a spazzare il giardino.
S’incanalava con particolare intensità tra l’ulivo e le piante di rosa che, in maniera innaturale, si piegavano fin quasi a terra per poi tornare a riprendere la propria posizione originale.
Sembravano soggiogate, come se delle mani invisibili le obbligassero con la forza ad abbassare il capo e a rinunciare alla propria libertà.
Un sibilo sottile, simile a un lamento di donna, si insinuava tra i vetri antichi degli infissi e, come lama affilata, le torturava le orecchie.
«Vento di maestrale, nient’altro che vento tipico di questa terra selvaggia e genuina!», furono le parole che Linda si ripeteva come un mantra fin quando non riuscì a prender sonno.
Un sole prepotente la svegliò la mattina successiva, penetrando tra le fessure delle persiane.
La notte era trascorsa e tutto sembrava di nuovo tranquillo.
Il vento si era placato e, attraverso la finestra che Linda aveva spalancato, entrava il dolce profumo delle rose misto alla brezza marina.
Seduta sul letto, con le spalle comodamente sprofondate nel morbido cuscino, la ragazza osservava la grande camera.
Nulla era stato toccato da quando la casa era stata abbandonata.
Tutto era rimasto come sospeso, in una sorta di immobilità forzata.
Ogni elemento era ostaggio del tempo: non solo gli arredi e le suppellettili, ma anche i numerosi libri che, polverosi, riempivano la libreria di mogano.
Suonarono alla porta e Linda, che aspettava con impazienza un pacco, si precipitò ad aprire senza neanche far caso a ciò che indossava.
Il fattorino, un ragazzetto dall’aria sveglia, parve apprezzare la trasparenza della leggera camicia da notte e, per tale motivo, indugiò sulla soglia più del dovuto.
«Che casa, signorina! Mia nonna mi racconta spesso che ci abitava brava gente, una bella famiglia. Io non ero ancora nato. Poi la storiaccia della figlia. Poveri genitori, non si sono più ripresi. La madre è ancora viva ma è impazzita del tutto. Non pagava più il mutuo, per questo le hanno tolto la casa e da anni vive per strada, anche se sembra non se ne renda neanche conto. Vaga per le strade e mangia quel poco che le basta per reggersi in piedi e trascinare un corpo privo di anima. Ha smesso di vivere tanti anni fa. Il dolore di una madre che perde un figlio è infinito e cresce fino a far perdere la testa e a lacerare il cuore. Me lo dice sempre anche mia nonna». Sembrava che il ragazzo non volesse andarsene, gli occhi indugiavano sui capezzoli e il pizzo nero degli slip, velatamente celati dal delicato tessuto della camicia da notte.
«La ragazza che abitava in questa casa era bella come te, cara, ma in paese evitano di parlarne. Dicono che tra queste mura…si aggirino strane presenze. Come farai tutta sola qua dentro? Un uomo che ti faccia compagnia e non solo. Ecco quello che ci vuole per una donna durante la notte».
«Grazie, ti chiamerò nel caso mi sentissi in pericolo di vita!», lo congedò Linda scocciata ma divertita allo stesso tempo.
Quel ragazzo le era subito sembrato simpatico e, a dirla tutta, non era niente male.
Avrebbe fatto passare del tempo e, poi, avrebbe approfondito l’amicizia.
Era nuova del posto e aveva bisogno di ambientarsi.
Ancora con il sorriso sulle labbra, posò sul tavolo di radica di betulla il pacco appena arrivato e mentre lo scartava, osservava con curiosità i numerosi libri rilegati in pelle e disposti per colore negli scaffali della grande libreria.
Dopo essersi sincerata che la sua amata macchina per scrivere, contenuta nel pacco, fosse arrivata intatta, Linda iniziò a sfogliarne alcuni, giurando a se stessa che, uno dopo l’altro, li avrebbe letti tutti.
Tra le pagine di uno di questi trovò un foglio ingiallito.
Incuriosita, lo aprì.
Era una lettera scritta con inchiostro nero.
Il tratto era elegante, sembrava la grafia di una giovane donna.
Una buona parte del testo era quasi del tutto illeggibile, era chiaro soltanto il finale.
«Ti amo, amore mio, Tua Giulia».
Una lettera d’amore.
Parole segrete di due innamorati fermate sulla carta invecchiata, rimaste a testimoniare che i sentimenti profondi non si cancellano con il passare del tempo.
Linda sorrise al pensiero di quell’amore che si nascondeva tra le pagine del libro e provò a immaginarne le carezze segrete, i baci e le parole sussurrate. Poi, come per non invadere l’intimità di una trascorsa storia d’amore, piegò con cura la lettera e la ripose dove era stata custodita in segreto per anni.
Aprì i cassetti dello scrittoio e scoprì che anch’essi non erano vuoti: sembrava che i proprietari avessero deciso di lasciare intatto l’arredo di quella stanza e che nulla, per preciso volere, fosse stato più toccato.
Iniziò a sfilarli uno a uno per togliere la polvere depositata dal tempo e rendere tutto più pulito. Non aveva nessuna intenzione di aspettare che arrivasse la squadra di pulizie chiamata per quella mattina.
Appena finito con lo scrittoio, avrebbe spolverato anche la libreria e il suo prezioso contenuto.
Voleva occuparsi personalmente di quella stanza che, un tempo, doveva essere appartenuta alla sfortunata figlia dei proprietari della villa.
Smise, però, di pulire prima di quanto pensasse perché fu attratta da un piccolo quaderno nascosto tra il cassetto e la base di legno che lo sosteneva, quasi come se qualcuno ve lo avesse messo di proposito.
Con interesse si apprestò a leggerne il contenuto ma, solo dopo poche pagine, la curiosità cedette il posto allo sgomento.
Era il diario di una prigioniera, rinchiusa in casa perché i genitori avevano scoperto il suo “amore segreto” per Giulia, la ragazza della lettera.
“Mi stanno uccidendo lentamente. Non riesco più a sopportare le torture.
Papà mi violenta tutte le sere mentre mi urla addosso che una “femmina” normale deve amare gli uomini e non le donne. Mamma osserva, immobile e muta, le torture che mio padre ha il coraggio di infliggermi e la cosa mi crea ancora più dolore del male fisico. Mio padre mi ha rotto tutti i denti a forza di botte e sono sicura che mi taglierebbe le dita se scoprisse quello che sto scrivendo. Lo ha già fatto con i capelli che ha rasato e poi gettato tra le fiamme del camino. Sono scomparsi in un attimo, divorati dal fuoco. Mi sento come i miei capelli, il fuoco mi sta consumando e, con dolorosa lentezza, brucia le carni. Sto morendo amica mia, unico grande amore della mia vita. Tu sei stata colei che, per la prima volta, mi ha parlato d’amore, che mi ha detto che l’amicizia è grande e pari al sentimento che fa ardere il cuore degli esseri umani. Per questo dicevi di amarmi, perché eri convinta che l’amore potesse avere più angolazioni, muoversi verso varie prospettive e che il sentimento profondo tra due amiche fosse una delle facce della stessa medaglia. Mio padre non ha capito il profondo legame che ci univa, non mi ha lasciato spiegare, non me ne ha dato il tempo. La vergogna e il disonore hanno avuto la meglio sulla ragione. Le possibili chiacchiere della gente del paese, la paura di essere giudicato, lo hanno fatto impazzire. Sono sola e sto morendo.
Mi consolo solamente quando guardo le rose che abbiamo piantato insieme in giardino. Soltanto quei fiori mi tengono compagnia e la loro vista allevia il mio dolore.”
Linda era sconvolta. Chiuse il quaderno con cura, come a proteggere le parole che vi erano scritte e che non riusciva più a continuare a leggere, poi corse fuori e iniziò a smuovere la terra intorno all’ulivo e alle rose.
La fatica allentò la tensione, ma non la volontà di sapere.
Le tornò alla mente la nenia, quasi incomprensibile, sussurrata da una donna anziana e coperta di stracci, che aveva notato appena arrivata in paese.
Qualcosa, tra le parole senza un senso apparente, era riferito a delle rose e al loro segreto.
Prese a scavare più a fondo, tra i cespugli intricati e l’ulivo, spinta da una forza misteriosa, come se un’energia invisibile la obbligasse a continuare a farlo, nonostante avesse paura di poter trovare ciò che temeva vi fosse sepolto da anni.
Le mani erano doloranti e le braccia sanguinanti per via delle spine che, penetrando come unghie uncinate, le graffiavano la pelle.
Si rese conto solo troppo tardi, quando cominciarono a bruciarle, che con le sole mani nude non avrebbe scavato molto in profondità.
Era convinta, però, che il terreno duro e sassoso nascondesse un segreto crudele.
Così corse verso la casetta degli attrezzi, dove erano stati depositati i materiali per il restauro della villa e prese una pala.
Scavò in profondità con un ritmo sempre uguale, spinta da una forza sconosciuta che le imperlava di sudore la fronte.
Il cuore le sobbalzò nel petto quando, con orrore, Linda scoprì qualcosa avvolto in un panno lacero.
Per un istante fu tentata di ricoprire tutto con la terra appena smossa, poi, però, si fece coraggio e inspirò profondamente aria.
Con il manico della pala, scostò con lentezza la stoffa che, sbriciolandosi, mise in luce uno scheletro del tutto privo di denti.
Le radici delle rose lo avvolgevano come una tenera carezza, quasi fossero braccia delicate a sua protezione.
Orrore e confusione si sommarono a una pena infinita per quel giovane corpo violato.
Proprio in quel momento una leggera brezza scosse con delicatezza le rose e dalle corolle rosse si staccarono due petali che si posarono l’uno sull’altro proprio all’altezza dello sterno, assumendo la forma di un cuore.
Improvvisamente il vento delicato si tramutò in bufera che, con ferocia, iniziò a infierire sul mucchio di terra appena spalato, fino a farlo cadere quasi del tutto sul corpo, come se ne volesse coprire nuovamente le povere spoglie.
Sembrava fosse un segno, una volontà superiore all’umano.
La terra, sospinta da quel vento complice, nascose di nuovo tutto, coprendo un segreto mai svelato ma che Linda ebbe l’impressione che tutti conoscessero.
Le rose avrebbero continuato a vegliare il corpo sepolto ormai da troppo tempo.
Anche Linda, così come avevano fatto gli abitanti del paese, avrebbe mantenuto il segreto, sentiva che quelle povere ossa le stavano chiedendo di farlo.
Avrebbe raccontato una storia di amicizia e di amore, parlando di mancanza di sensibilità e di pregiudizi, ma ambientando il racconto in altra epoca e in altro luogo.
Seduta sul divano di vimini, con la fedele macchina sulle gambe ancora tremanti, Linda iniziò a scrivere il suo nuovo romanzo mentre il profumo delle rose diventava sempre più intenso e sempre più familiare.

Dal libro dell’autrice
La vita di ogni essere vivente è legata a equilibri instabili.
Basta poco per far cadere il funambolo, c’è sempre il rischio che la corda vacilli, che il terrore prenda il sopravvento e di cadere in un baratro senza fine.
Nove storie, perché nove è il numero completo che racchiude in sé la forza di tutti quelli che lo precedono. Nove racconti di vite sospese, di esistenze in bilico, di forza e rinascita. Di passi lenti nell’esistere.

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