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Marinai di collina

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Marinai di collina

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Quanto tempo è passato. A volte mi sembra un secolo eppure……
Se lo raccontassi chi mai potrebbe credere che ho fatto anche il marinaio?
No, un momento, non equivocate, non cominciamo a parlare di tangone, di randa e di bompresso, di scarroccio oppure di deriva, non è questo quello che volevo intendere.
Basta. Facciamo così, ricomincio dall’inizio.
 
Il sole era proprio giallo quella mattina e il cielo azzurro aveva tonalità cobalto, limpidissimo e cristallino, appena segnato da un paio di altissimi cirri ghiacciati nel profondo della troposfera.
Il mare era un merletto di sfumature di blu e di azzurro segnato all’orizzonte da una linea appena più scura che ne marcava il confine con il cielo.
Nell’aria fresca aleggiava un profumo salmastro corroborante e il bianco della cattedrale sfolgorava in quell’aria limpida del mattino.
Scesi le scale della casa che mi aveva ospitato inspirando quella freschezza e quell’odore voracemente, fin quasi a farmi girare la testa, poi io e Luigi ci avviammo verso il bar.
I miei compagni erano già tutti pronti, abbigliamento comodo, tenute tecniche, borse, sorrisi. Luigi mi presentò all’equipaggio con poche parole
-Signori, questo è Giampiero: la zavorra.
Mi accolsero risate, sguardi divertiti, qualche pacca sulle spalle e qualche incoraggiamento.
Il caffè del mattino in quello scenario è quasi una liturgia, lo guardi fumare aromatico di note armoniose di legno e di caffè, avvicini le labbra alla tazzina, bollentissima. Lo bevi piano, a piccoli sorsi, lasciando che il calore ti riscaldi lo stomaco e che le note amarostiche ti scatenino la salivazione, infine espiri dal naso e catturi le ultime note legnose.
Ci incamminammo verso il molo e verso quel vento leggero che spirava da mare, un sentore salmastro e fresco mi avvolgeva accogliente e il sole mi scaldava il viso mentre, seguendo i miei compagni, mi avviavo alla barca.
Mi fecero accomodare in un piccolo alloggiamento posto a poppa della barca, seduto in modo da non dar fastidio o farmi male, poi pochi passaggi di mano, qualche fune che si scioglie, Luigi si mise al timone e cominciammo ad andare.
All’inizio sono preso dai 5 uomini in coperta che si muovono, si chiamano, un rumore di carrucole, e poi il vento, un po’ più teso fuori dal porto, e quella sensazione di sale sul viso. Marco mi passa una crema e mi fa segno di metterla -Altrimenti poi brucia- e fa segno verso il sole.
Andiamo lisci come la lama di un rasoio incandescente sul burro, il rumore dell’acqua è rassicurante. La vela tesa ogni tanto da un leggero colpo quando, credo, il timoniere da un cambio di direzione.
Se esiste il Paradiso credo che il rumore di fondo è quello che sento intorno alle 11,00, un leggero sciabordio monotono sui fianchi della barca, il borbottare lento della vela e un cigolio di corde e albero, armonico, quasi ipnotico.
Ci apprestiamo ad una piccola isola, quasi uno scoglio, i miei compagni armeggiano veloci e la loro attività mi scuote dal torpore ipnotico di sole, vento, sciabordio, rumore di cordame e mi riporta alla realtà, la barca vira lentamente in una larghissima parabola che la mette, alla fine, con la prua verso casa e, improvvisamente, in pochi minuti, cambia lo scenario.
Ne colgo i prodromi dalla vela che inizia a scuotersi sempre con maggior forza e da qualche bava di spuma che comincia a comparire sulla superficie del mare che prima era appena in movimento.
La prua della barca comincia ad oscillare in basso e in alto sollevando qualche spruzzo che si nebulizza nel vento che adesso è più teso e ci cosparge di acqua e di sale, i movimenti dei miei compagni sono diventati più rapidi, Luigi al timone mi dà un’occhiata calma, quasi volesse tranquillizzarmi e questa cosa, non so perché, mi mette seriamente in allarme.
Il vento rinforza e il cielo improvvisamente comincia ad incupirsi, le raffiche diventano più tese e la barca fila veloce tagliando le onde e oscillando vistosamente avanti e indietro, sento il mio stomaco che comincia ad attorcigliarsi, mi sforzo di tenere lo sguardo fisso verso l’orizzonte ma tra vento, sale, acqua, continui passaggi dei miei compagni che lavorano al governo della barca, mi distraggo di continuo. Loro, i marinai, sembrano divertirsi, corrono qui e la come scimmie giocose, tirano corde, stringono carrucole, si danno voci e, sopratutto, danno voci a Luigi perché prenda più vento.
Ad un tratto, non capisco bene, Luigi da un comando e una piccola vela si aggiunge a quella triangolare che è già piena di vento e la barca ha una frustata e si slancia in avanti.
Li vedo ridere e guardarsi con gusto, due sono appesi su un fianco della barca e gridano -Via così! Via cosi!
Io ho gli occhi da fuori, ho già vomitato senza ritegno fuori dalla murata di destra, e cerco di tenermi nello stomaco quel poco di dignità che mi è rimasta.
Dopo alcuni interminabili minuti Luigi mi guarda con uno sguardo di pietà e fa un segno agli altri che scattano dalla posizione in cui erano e ritirano su la vela.
La barca ha un sussulto contrario a quello di prima, rallenta, si placa, e anche se il vento è forte e le onde sono più crespe di quelle del mattino, prende a navigare placida, di nuovo il rasoio su un pezzo di burro.
Finalmente, da lontano, compaiono due luci e l’imbocco del porto.
Filiamo lenti verso l’ingresso del porto, la nausea si è placata, mi resta un sensazione di pesantezza e stanchezza e l’ansia di riavere di nuovo sotto i miei piedi la terra di cui è intessuta tanta parte della mia vita.
Ma le insidie non sono finite.
Attracchiamo al molo e faccio il gesto di alzarmi e avviarmi per riguadagnare la sicurezza tanto agognata della terra ferma. Giacomo mi ferma.
-Giampiero aspetta. Dopo quattro ore in giro con quella bella sgroppata che ti abbiamo fatto fare prenditi un attimo prima di scendere. Gli altri ti guardano e se cadi quando scendi a terra ti prenderanno in giro per tutta la serata. Aspetta. Respira. Non avere fretta di scendere a terra, goditi la sensazione di sicurezza. E poi scendi tranquillo. Ah, a proposito, non ti preoccupare sei andato bene, qualche altro amico di Luigi che abbiamo portato come zavorra è svenuto. E dire che era gente nata sul mare!
Scendo piano e arrivato sul molo chiudo gli occhi e mi prendo un attimo di respiro, dietro la mia nuca percepisco 5 coppie di occhi che mi spiano in attesa, speranzosi di risate.
Mi giro piano, apro gli occhi e li guardo.
Mi fissano con occhi divertiti, in attesa, aspettando il mio capogiro e la mia caduta.
Respiro, allargo le braccia e li saluto con un inequivocabile gesto dell’ombrello.
Mi salutano alzando le mani e poi andiamo a casa.
Luigi mi sorride e mi dice
Adesso potrai dire che sei un marinaio, un vero marinaio……di collina.
E ride.

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