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Viale Pavia

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26900 Lodi
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Viale Pavia

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Mi chiamo Ashling e abito in una traversa di viale Pavia, vicino al mare.
Seguendo scrupolosamente i dettami della geografia classica, da queste parti non ci dovrebbe essere il mare. Ciò nonostante, in alcuni luoghi di questa città, talvolta giurerei di udirne il rumore, talaltra persino di vederlo…
Una terrazza rialzata con i tavolini di un bar… Forse per via dell’ombrellone che ci hanno piantato nel mezzo, forse perché quel giorno ero con Nicola e mi sentivo felice, non so, quella terrazza assolata guardava un enorme parcheggio di cemento e a me sembrava di vedere il mare…
Un ristorante sulla strada, la siepe di bambù che nasconde la vista… E il rumore delle auto, a un tratto, diventa il rumore del mare.
Anche in viale Pavia sembra di essere al mare. Questa sensazione forse è dovuta all’aspetto decadente degli edifici, come se la salsedine avesse accelerato l’invecchiamento dei calcestruzzi e portato alla luce i ferri di armatura; o a quell’hotel con i balconcini sporgenti protesi verso qualcosa (che non c’è, in questo caso). Ma no, non basta: deve essere l’urbanistica scompigliata… Li immagino mentre pianificano… Stanno facendo le cose per benino ma poi si distraggono un minuto con lo sguardo perso tra i flutti… Passa una donna, non so… Forse una bambina fa il girotondo sulla spiaggia… Un uccellino cinguetta beccando le briciole lasciate da due innamorati…
Insomma, qualunque cosa sia accaduta, chi ha progettato questo quartiere doveva avere la testa tra le nuvole: là dove ci andava un parcheggio è finito un palazzo, laggiù dovevano mettere una villetta e ci è scappato il grattacielo… E quegli alberi? Chi li ha piantati in mezzo al marciapiede? Ma non è possibile! Mi distraggo un minuto e voi cosa mi combinate? Ma bambini, non si fa così!
Dai che ci siamo capiti: quell’urbanistica spensierata, come in Romagna, dove c’è il mare e tutti sono un po’ più distratti e un po’ più felici, e quando si accorgono che è stato piantato un cartello stradale proprio nel mezzo della pista ciclabile, magari ci provano ad andare dal Sindaco a reclamare… Ma poi passano vicino alla spiaggia, soffia una brezza leggera come una melodia, lo sguardo s’ingarbuglia nell’orizzonte… Una donna sorride… Ehi, sei bellissima! Qualcuno sta facendo volare un aquilone tra le nuvole che annunciano il temporale… Insomma, non ci arrivano mai dal Sindaco; e quel cartello rimane lì dimenticato ma con il petto in fuori e la pancia in dentro, la fierezza di chi ha vinto una battaglia importante.
Anche vicino alla mia casa c’è un cartello così, proprio al centro della pista ciclabile, e tutte le volte che passo di lì in bicicletta rischio di centrarlo. Non sono mai riuscito a segnalarlo al Comune però, e ormai si sarà capito il perché…
Quindi, quel giorno, mentre camminavo in viale Pavia ed ero a duecento metri dalla mia casa, stavo guardando il mare. Non ricordo dove fossi andato, forse a prendere mia figlia all’asilo; ma ricordo che non era da molto tempo che avevo ricominciato a cercare l’Amore.
Già… l’Amore. Adesso dovrò spiegare perché uno che ha una figlia cerca l’Amore.
È una lunga storia. Avevo persino scritto un libro per raccontarla, ma il vento mi ha strappato di mano i fogli e li ha fatti volteggiare nel cielo come gabbiani vivaci, per poi lanciarli nel mare a pescare sardine immaginarie e a dissolversi nella poesia di quell’acqua blu come l’anima… Che bella fine per un libro che racconta una storia d’amore!
Va bene dai, sarò sincero: il mare era il bidone della carta di viale Pavia, e il vento era una disperazione di quelle che ti fanno apparire la vita come una scena dipinta dal Caravaggio, dove tutto è buio e la luce di una candela illumina qualcuno che viene sgozzato.
Ma tu fai finta di credere alla storia del mare, per piacere.

Sei mesi fa ho cambiato lavoro: l’ho fatto perché cer­cavo l’Amore. No, non facevo l’urbanista, ma ci sei andata vicino.
Molti pensano che io abbia cambiato lavoro per motivi di lavoro, invece l’ho fatto per Amore. Per amore dell’Amore, volendo essere precisi. Tutto è iniziato quando ho incontrato lei, erano tredici anni che non la vedevo né sentivo, mi ha scritto all’improvviso e la mia vita è cam­biata come una foresta dopo un incendio. La mia vita: ma­trimonio, figlia, casa, lavoro; è svanita senza lasciare trac­cia, come accade a un sogno quando suona la sveglia. In un istante compresi che abbandonando lei avevo abbandonato l’Amore, e che il mio animo era diventato inospitale come un deserto salato. La vita che avevo costruito era una pianta coltivata in quel deserto: una pianta artificiale, l’unica che sopravvive senza acqua, terra, amore; perché non è mai nata.
Non avevo intenzione di parlare di Erika, che è tor­nata ed è andata via come una stella che si accende, genera intorno a sé pianeti, cieli, vite; poi si spegne lasciando tutto avvolto nel buio glaciale e insensato dell’universo vuoto. Questo è quanto mi è accaduto: sono stato pianeta che ha perso la sua stella ed è rimasto lì muto a congelare. Poi è avvenuto il miracolo: ho scoperto che io ero la stella, che io potevo creare i pianeti e i cieli e l’amore. Allora ho deciso che la sola occupazione, per il resto della mia vita, sarebbe stato amare. Amare tutto, amare ogni singolo granello di universo.
Ma, soprattutto, amare una donna.

Dunque, quel giorno, camminavo in riva al mare. E cercavo l’Amore…
C’erano molte persone che camminavano sulla spiaggia, non so se stessero tornando dal lavoro o se fossero occu­pate a cercar conchiglie, fatto sta che le guardavo con una sensazione strana. Era come se dovessi incontrare una sconosciuta in mezzo a un visibilio di persone… Ci siamo dati appuntamento là ma non ci siamo mai visti prima. Nessun segno di riconoscimento: lei potrebbe essere chiun­que, io potrei essere chiunque, ma so che è una di quelle e lei sa che io sono uno di quelli; perché è l’ora esatta e il luogo giusto, allora guardiamo ogni essere che passa come se fosse il solo al mondo, la persona che cerchiamo, l’Amore. E ogni essere umano, all’improvviso, diventa bellissimo. Perché la bellezza non è nell’oggetto guardato, ma nel modo in cui lo guardi. E tra queste persone improv­visamente bellissime compare lei, l’orizzonte si distrae a guardarla e il cielo scivola giù… Caravaggio spegne la can­dela e apre una finestra dalla quale entra la luce del sole… E inizia a dipingere il mare! Sento i gabbiani che abbaiano, gli aquiloni sferragliare… Oddio che male: ho centrato in pieno qualcosa, era l’albero maestro di questa barca a vela con la quale sono volato via… No, era quel maledetto car­tello in mezzo alla ciclabile!
Ma chi era quella donna? È esistita veramente?
Entrava in quel portone ad arco di viale Pavia, ci siamo guardati per un istante solo, un istante che non vale nulla… Che cosa può accadere in così poco tempo?
In così poco tempo può accadere il Big Bang, per esempio! È durato un istante e ha creato l’universo intero.
Il primo periodo di vita dell’universo si chiama era di Planck. Quest’era è durata un secondo per dieci alla meno quarantatré, cioè zero, virgola, poi quarantatré zeri dopo la virgola, uno. Tanto per capirci, se mettessimo solo tre zeri dopo la virgola, avremmo un millesimo di secondo, lad­dove qui ne abbiamo quarantatré, di zeri.
Alla fine di quel periodo così breve, l’universo era già talmente vecchio da non assomigliare per niente, ma pro­prio per niente, a quando era giovane. Quella frazione infi­nitesima di vita dell’universo è la sola che interessa vera­mente gli scienziati, la sola che racchiude il significato di Tutto, perché nei successivi quattordici miliardi di anni non è più accaduto nulla di davvero significativo.
Quindi non dirmi che una storia d’amore durata un decimo di secondo vale meno di un matrimonio durato quarant’anni, per piacere!

Dentro la mia mente i pensieri si sono scansati tutti, lasciando al centro un grande buco buio e vuoto. Nel mezzo di quel buco buio e vuoto, non so come, si è illuminata una sola, semplice idea: io ti amo.
Sei già sparita dietro quel portone ad arco, non ti rive­drò mai più, eri così imbacuccata che se t’incontrassi di nuovo forse neppure ti riconoscerei, i nostri sguardi si sono abbracciati per il tempo che ci ha messo l’universo a nascere, ma io so che ti amo, lo so come so che sto respi­rando in questo momento, lo so come so che qui in viale Pavia c’è il mare. Non sono certo di esistere, nonostante Cartesio asserisca che se penso allora esisto. Forse penso dunque penso di esistere… O no?
Ma io ti amo, di questo sono certo. Perché quando ami non pensi: ami e basta.
Non ti rivedrò mai più, se ti ritrovassi forse neanche ti riconoscerei, ma io so che ti amo.
Non rividi mai più quella donna.
Un giorno, qualche mese dopo, incontrai Sarah. È incredibile, ma accadde esattamente la stessa cosa che ca­pitò con quella donna davanti al portone ad arco, però que­sta volta il nostro tempo sarebbe stato più lungo dell’era di Planck: Sarah veniva da me in ufficio, e dove­vamo parlare. Non riesco ad immaginare il botto che fece l’universo nell’attimo della sua nascita, ma se ripenso al momento in cui aprii la porta e vidi Sarah, ho un’immagine vivida in mente: da fuori, il mio corpo appa­riva immobile, silenzioso e impassibile come l’Artico di London.
Dentro, l’universo nasceva.
Ci rivedemmo ancora due giorni dopo il primo incon­tro, con una scusa di lavoro. Ci vedemmo ancora la setti­mana successiva, senza scuse di lavoro.
Nell’arco di un paio di settimane l’avevo incontrata tre volte e già non potevo più fare a meno di lei. Iniziavo a guardarla come si guarda l’ultima boccata d’aria rimasta al mondo. Quando cercai di spiegarglielo, mi accorsi che i pensieri che mi uscivano dalla bocca in sua presenza sem­bravano passati nel frullatore e assomigliavano più a una vaga mousse fonetica, che a un discorso con un capo e una coda. L’unica frase che spontaneamente si affacciava alla finestra della mia consapevolezza, che sentivo autentica e che desideravo davvero pronunciare mentre stavo con lei era questa: sì! Non c’era nessuna domanda, e quel ″sì″ non era davvero una risposta: assomigliava più a una preghiera, a un fondersi con l’energia universale, a un riconoscersi uno con tutta l’esistenza. Ogni paura scompariva come se non fosse mai esistita, ogni speranza, ogni desiderio, ogni proie­zione mentale, cessavano semplicemente di essere. Quel ″sì″ era insieme un abbandonare tutto e un accettare tutto. Non ricordo mi sia mai capitato di provare una sensa­zione del genere. Forse con quella Sara di quindici anni fa, ma ero giovane e non ancora pronto per vivere consapevolmente un’esperienza simile.
Purtroppo, la sensazione appena descritta ci dipinge sulla faccia l’espressione più imbecille mai comparsa su volto umano. Sedurre qualcuno mentre si ha un’aria così idiota sarebbe improbabile anche aiutati da un miracolo. A dirla tutta, se c’è un miracolo che l’Amore tende a praticare di rado, è proprio quello di far innamorare di noi la per­sona che amiamo. Non che volessi sedurla: il concetto stesso di seduzione non aveva alcun significato tra noi due, perché noi siamo stati una cosa sola dal primo momento in cui ci siamo guardati negli occhi.
La seduzione è fraudolenta, e comporta una certa quantità di violenza. Sedurre significa utilizzare dei trucchi per indurre una persona a fare quello che non vuole fare. Se lo volesse, non sarebbe necessario sedurla. Come puoi desiderare che la persona che ami faccia ciò che non vuole?
Io non facevo nulla, stavo semplicemente davanti a lei nella speranza che capisse e accettasse di abbandonarsi.
Non volevo conquistarla: io volevo soltanto che lei vedesse.

Fu allora che capii perché Erika non mi spiegò mai il proprio amore. Quell’amore non si poteva spiegare, si po­teva soltanto vedere con i propri occhi.
Un mese dopo il nostro primo incontro, Sarah mi disse di passare a prenderla sotto casa sua: andavamo a bere qual­cosa insieme. Mi diede l’indirizzo. Arrivai all’indirizzo, che come già sapevo era un civico in viale Pavia.
Trovato il civico, citofonai e mi fermai incantato a guardare il portone ad arco che si apriva… Ancora quel profumo salmastro e i gabbiani che abbaiavano… Fui folgo­rato da un’evidenza: Sarah era la donna di viale Pa­via! Ho avuto due colpi di fulmine con la stessa persona: non ho parole!
Quando me ne resi conto, ebbi parecchie difficoltà a resistere alla tentazione di leggervi un Disegno, o almeno un legame, un’affinità d’anima, qualcosa che lega le per­sone al di là di ciò che è comprensibile. Non poteva trat­tarsi di carattere o di simpatia, perché non la conoscevo ancora; non poteva trattarsi di aspetto fisico, perché al tempo uscivo con donne più attraenti. Qui, al mistero dell’universo doveva essere sfuggito qualcosa, un sospiro, una mezza parola. Qualcosa che non doveva essere rive­lato, qualcosa che Dio voleva tenerci segreto.
Per essere sicuro di amarla, ho continuato a frequen­tare altre donne, anzi, sono diventato ancora più spregiudi­cato, perché l’Amore è una faccenda seria e non avevo nessuna intenzione di accontentarmi di quello che sentivo. Troppo spesso ci attacchiamo alla prima persona che ci dimostra interesse, o che soddisfa un bisogno che abbiamo, che sia bisogno di sicurezza, di sesso, di compa­gnia, di affetto, di soldi, di dominio, di sottomissione; e così facendo, rapporti basati su un banale scambio, mate­riale o psicologico che sia, vengono confusi con l’amore.
No: io dovevo mettere alla prova i miei sentimenti e farlo era agevole: bastava frequentare tutte le donne che incarnavano ciò che mi piaceva o di cui avevo bisogno. Se, dopo aver provato persone diverse che mi davano tutto quello che mi mancava, avessi continuato a volere solo lei, allora potevo essere certo di amarla veramente.
L’amavo veramente.
Tra Sarah e le altre donne percepivo la stessa diffe­renza che puoi sentire a teatro tra l’attore sul palcoscenico e lo spettatore che siede vicino a te: è come se si trovino in due realtà distinte e incompatibili. In breve tempo si formò nella mia mente una certezza: come non vado a teatro per guardare lo spettatore che mi siede accanto, non sono ve­nuto al mondo per amare una donna che non sia Sarah.
Non avevo mai avuto le idee così chiare in tutta la mia vita.

Estratto dal libro

Anam Cara è una raccolta di racconti che, in realtà, narrano un’unica storia che lentamente si dispiega. E’ un viaggio alla ricerca dell’Amore e del significato della vita, iniziato dopo l’improvvisa ricomparsa di un amore adolescenziale mai dimenticato. Proprio quando la vita sembrava ormai decisa e immutabile, priva di vera gioia e di ogni senso, è accaduto l’inimmaginabile. Fin qui, tutto normale. Il fatto anomalo è che, in seguito, è accaduto ancora l’inimmaginabile, e non ha più smesso di accadere…

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