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Oroscopi nella notte e un mucchietto di sabbia

Oroscopi nella notte e un mucchietto di sabbia

Marina di Vecchiano
56019 Litorale Pisano
Emozioni Racconti
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Oroscopi nella notte e un mucchietto di sabbia

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Il ragazzo corre nell’aria della sera dolce di profumi, sul lungo litorale deserto, nutrito di silenzio.
Corre tra il mare fermo, come esausto dopo tanto andare e venire, e le dune basse che perdono consistenza per il calare della luce.
Il ragazzo ha i polmoni sazi di aria e la gioia nei muscoli, il mondo attorno è giovane, come lui, la sua corsa obbedisce a una spinta che lo rende inarrestabile. Corre come se il tempo non esistesse, sospeso tra la pineta e il mare.
Potrebbe correre all’infinito.
Eppure, ad un tratto, rallenta.
Non perché sia stanco.
Rallenta come per istinto, perché davanti a lui una sagoma accovacciata impone prudenza.
Ancora un po’ e scenderà il buio.
Non che abbia paura, non una paura fisica almeno, ma rallenta la sua corsa. La quiete che lo circonda è assoluta: tacciono gabbiani e rondini e persino le piccole onde del mare sputano schiuma sulla sabbia prive del loro sospiro. Ormai è vicino alla massa informe raggomitolata sulla sabbia e per un attimo avverte quell’immobilità come un ostacolo alla sua corsa, qualcosa di indefinito che contraddice la vita delle sue gambe in cadenza, punta-tallone, punta-tallone.
Si ferma, per guardare meglio, per capire se davanti a sé c’è la morte o solo un inoffensivo inganno ottico e proprio in quel momento la sagoma prende vita: una testa affiora lentamente da un ammasso di vesti, una testa bianca di vecchio. E una voce di vecchio:
“Faccio oroscopi. A prezzo modico.”
Non chiede. Offre.
Il ragazzo sorride tra sé e sé: che sollievo, non si è imbattuto in un cadavere, ma in un “oroscopo” al tramonto, sulla spiaggia del Gombo, lui in calzoncini corti e a torso nudo e quell’altro, il vecchio, nascosto da una palandrana color della notte. Dietro, una piccola duna interrompe a tratti il profumo dei pini.
Il ragazzo chiede divertito: “E quanto sarebbe il prezzo modico di un oroscopo?”
Gli occhi del vecchio hanno un velo opaco.
“Come ti chiami?” gli chiede invece di rispondergli.
“Gabriele.”
“Come l’Arcangelo.”
Ma lo guarda come se non gli credesse. Poi aggiunge:
“E adesso la data di nascita. E anche l’ora della nascita, altrimenti si resta nel regno del pressappoco. Ci vuole precisione nelle cose… L’oroscopo te lo porto domani, qui, alla stessa ora. Ma prima mi devi pagare. Sono 60 lire.”
Dunque il vecchio è rimbambito, è rimasto fermo alle lire. Gabriele è deluso, pensava di essersi imbattuto nella rarità di un chiromante maschio o nell’ossimoro di uno zingaro stanziale, in ogni caso una stranezza, perché le chiromanti in genere sono donne e gli zingari sono sempre in viaggio. Invece l’anomalia vivente che ha davanti a sé non sfugge al principio di realtà: è solo un vecchio pazzerello. Sta per dirgli qualcosa circa gli euro, ma poi ci ripensa e decide di giocargli uno scherzo: “Sono nato il 12 marzo 1863”, risponde, e quasi quasi gli sembra di essere sincero; in fondo si chiama Gabriele anche lui, no? E l’unica data di nascita che ricorda dalla scuola è quella di D’Annunzio perché il 12 marzo coincide con l’anniversario di matrimonio dei suoi genitori e il ’63 è il suo numero di casa. Ma la risposta del vecchio lo spiazza:
“Impossibile,” dice fulminandolo con lo sguardo, “non puoi essere nato nel futuro!”
Il ragazzo è sempre più divertito: “Hai dei problemi con la dimensione del tempo, non è vero?”
“Io problemi con il tempo? Non sai quello che dici. Te lo misuro in un amen.”
Il vecchio è indignato e ritrova un’energia insospettata: si alza, anche se a fatica, e fronteggia il giovane Gabriele che lo supera in altezza ma che non ha la sua imponenza né la sua dignità, mezzo nudo com’è rispetto alle vesti ampie e solenni dell’altro.
“E non misuro solo il tempo, misuro tutto, tutto quanto, ho strumenti invidiabili. Senti cosa ha detto Giovan Battista: … un ammirabile stromento/ per cui ciò ch’è lontan vicino appare/ e, con un occhio chiuso e l’altro intento/ speculando ciascun l’orbe lunare,/ scorciar potrà lunghissimi intervalli/ per un picciol cannone e due cristalli. Sai cos’è? E’ il perspicillum!”
“Il cannocchiale!”
“Mmmm, l’ho inventato io!”
“A me risulta che l’abbiano inventato gli olandesi.”
“La vedi quella?”
Il vecchio si volta, solleva un braccio verso l’alto e indica una luna piena quasi trasparente che galleggia in alto sul mare.
“Si può dire che l’ho scoperta io stesso, con il mio perspicillum, altro che olandesi! A te sembra levigata, vero? Invece è scabra. Tutto un cratere.”
“Be’, lo so, ci abbiamo messo i piedi in quei crateri, non ha più segreti la tua luna!”
“Oh oh, ma allora ti chiami Astolfo, ragazzo mio, non Gabriele! E non sei un uomo in carne e ossa, sei una creatura poetica del mio amato Ariosto… Di’ un po’, non è che ti manca qualche rotella per caso? O sei un cugino di Simplicio?”
“Mi pare che tu non ci veda bene…”
“E’ vero, purtroppo… Ma me lo paghi questo oroscopo o no?”
Prima che il ragazzo possa rispondere, il rumore sempre più vicino di un galoppo precede di poco l’apparizione di un uomo e di una donna a cavallo che si fermano a pochi passi di distanza.L’uomo scende da cavallo, guarda il ragazzo e il vecchio e commenta compiaciuto:
“Oh, un kuros, un kuros e un filosofo sotto le stelle!” Poi, alzando gli occhi al cielo, chiede estasiato:
“Non pensate anche voi che questa sia una notte insolitamente fragrante e… sacra?”
“Nescio”, risponde il vecchio infastidito.
Ma l’uomo non sembra averlo sentito occupato com’è ora a far scendere da cavallo la sua compagna vestita con una sorta di peplo bianco che le lascia scoperte le braccia e le cosce. Scesa da cavallo, la donna rimane impettita a guardare il mare, con la testa alta e il mento sollevato. Poi alza le braccia e si scioglie i capelli che le scendono teatralmente lungo la schiena, una massa pesante che le arriva ai fianchi. C’è qualche segreto nell’aria, il ragazzo lo avverte: luccicano le stelle, splende la luna e brillano le tre figure che sembrano lucciole nella notte.
Ma il vecchio interrompe la magia:
“Faccio carte natali. A prezzo modico”, dice rivolto all’uomo e alla donna. La coppia è male assortita: lei è più alta del compagno e ha un che di sovreccitato nello sguardo, lui è completamente calvo e più esile della donna.
“Se mi dite la data e l’ora della vostra nascita, domani, in questo stesso posto, vi porto gli oroscopi. 120 lire”, continua il vecchio e non si capisce a chi si rivolga. Il suo sguardo offuscato sembra perso nella penombra.
L’uomo calvo sorride:
“Amico mio, non ne ho bisogno. Cosa pensi che abbia al mio capezzale? L’Iliade? L’Odissea? O la Bibbia o Dante o l’Alcyone di Gabriele D’Annunzio? No, caro amico, io ho il fiore dei Tempi e la saggezza delle Nazioni! Il Barbanera!”
Il ragazzo guarda il vecchio. Il vecchio guarda il ragazzo. La donna contempla il suo compagno che recita divertito:
“Gli astri il sole e ogni sfera / or misura Barbanera, / per poter altrui predire, / tutto quel che ha da venire!”
“Ciarlatano!”, mormora il vecchio e lo sente solo il ragazzo perché gli altri due, intanto, si sono avvicinati al mare, abbracciati, persi nella contemplazione della lontananza. I due cavalli, lasciati liberi, se ne stanno quieti, vicini e immobili.
“Come è tutto immobile!”, dice il ragazzo, “Cosa sta succedendo? Che significa?” e pensa che prima o poi dovrà risvegliarsi dal sogno, perché è un sogno quello che sta facendo, non può esserci altra spiegazione.
“Dici bene, giovane, tutto è fermo, e sai perché?” L’uomo calvo si è voltato verso di lui, e continua:
“Questa è una notte arcana!”
Il vecchio non riesce a trattenersi:
“Certa gente guarda alla natura solo per parlare di sé!”
“Osserva!” continua l’uomo calvo che o non ha sentito le sue parole o ha deciso di ignorarle. “Il litorale è pieno di gigli marini, tutto è pronto. Lo sai cosa avverrà tra poco?”
La donna, che si è tolta i sandali e ha fatto qualche passo nell’acqua, lo chiama, e la sua voce è rauca:
“Guarda, guardate, c’è un riverbero lontano, laggiù, in fondo!”
“Ah, ecco, cosa vi dicevo? E’ il momento! Il fuoco, la fiamma, la pira dell’inestimabile poeta! Lo sapete che giorno è oggi? E’ l’anniversario del rogo di Shelley! Questa spiaggia brulica di presenze, e sono le presenze della poesia: Shelley, Byron, io stesso! Andiamo mia Ermione, è la poesia che ci chiama!”
“Buon viaggio!” brontola il vecchio che intanto si è seduto di nuovo sulla sabbia e di nuovo è tornato ad essere un fagotto informe.
“Ah, vecchio, tu non comprendi, non senti, non vedi. Tu sei cieco!” grida il calvo risalendo a cavallo.
“Non lo disprezzi,” dice il ragazzo e poi, con un’intuizione che sorprende lui stesso, aggiunge: “Tra un po’ anche lei sarà condannato all’oscurità.”
“Importa poco,” commenta il vecchio, “i sensi ingannano.”
La donna non è ancora salita a cavallo, esita, come se temesse qualcosa:
“I sensi ingannano! Come hai ragione, vecchio!” poi si rivolge al compagno e lo implora: “Non andiamo laggiù. Ho paura. Se non fosse la poesia a chiamarci? E se a chiamarci fosse la morte?… Torniamo alla nostra casa delle rondini. Ho come un presentimento.”
La sua voce è rauca, i suoi occhi spiritati.
“Bene, ne ho avuto abbastanza,” dice il vecchio sollevandosi da terra, “torno alle mie lenti e al mio pendolo, da questi qui non ricaverò una lira, e neanche da te, ragazzo, mi hai deluso, non ti accorgi che quei due ti stanno rimbambendo? Non si capisce neanche di cosa parlino! Gigli, roghi, barbe nere… Niente che si possa misurare! Parole a vanvera, ecco cosa sono, capriole verbali, ma tu invece devi stare all’erta, osservare, misurare… Quell’ometto curioso!”
“Sospetto che sia un poeta” dice il ragazzo sottovoce.
“Poeta! Ne conosco di poeti come lui!  Scommetto che a casa sua colleziona granchi pietrificati, camaleonti secchi, mosche e ragni in gelatina in un pezzo d’ambra… Conosco il tipo! Cosa ne sa lui della grammatica del mondo? A quella bisogna mirare! E quella donna!”
“Sospetto che sia un’attrice di teatro” dice ancora il ragazzo, e ancora sottovoce.
“Teatro? Quella non è mai uscita dal suo labirinto, te lo dico io, e pare che le piaccia stare nel suo labirinto, proprio così, è una donna da labirinto quella, complicata, e il labirinto è fatto apposta per farci perdere la gente! So io, so io, che a perdersi tra la luna e le stelle ci vuole poco.”
“Ma dove sono andati?”
Lo stupore del ragazzo è giustificato.
“Non ci sono più! E neanche i cavalli!”
Lontano una serie di detonazioni e di scoppi crepitanti annuncia fuochi artificiali che invece non rischiarano il cielo; a illuminarlo al loro posto appaiono tre comete che veloci attraversano il buio e scompaiono una dopo l’altra e la loro coda lascia nel cielo solo il sospetto di un ricordo luminoso. Il ragazzo si guarda intorno e si ritrova solo: sparito l’uomo calvo ed eloquente, sparita la donna rauca ed esaltata, spariti i cavalli silenziosi. E ora sparito anche il vecchio. La spiaggia non reca tracce, nessuna orma, solo le piccolissime dune triangolari della sabbia, tutte uguali e intatte come se nessuno le avesse calpestate. Dopo essersi guardato intorno, il ragazzo si china, raccoglie con la mano un pugno di sabbia e lo lascia fluire in un rivolo sottile. Ripete il gesto per tre volte, soprappensiero, distruggendo quella geometrica perfezione. Adesso un mucchietto di sabbia più alto degli altri testimonia la sua presenza lì. E’ vivo, lui, dunque.
Si rialza e dopo qualche passo riprende a correre. Corre nell’albore di un cielo che si fa perlaceo e lattiginoso. Corre tra qualche grido di gabbiani e di rondini. Corre e misura il litorale con le sue falcate precise. Accelera e le sue orme ricamano calligrammi sulla sabbia. Ha i polmoni sazi di aria e il cuore che pulsa obbediente.
Corre come se il tempo non esistesse, sospeso tra la pineta e il mare che ha ripreso il suo canto.

Il libro dell’autriceFiammetta ha perduto i ricordi dell’infanzia ed è afflitta da un incubo ricorrente dal quale né il dottor Baum né il marito Nicola sanno liberarla. Scrittore di favole, arguto e comprensivo, Nicola la convince a tornare nella sua città natale con il pretesto di un Premio Letterario alla carriera. Nell’arco di tre giornate, l’ultima delle quali una caldissima e onirica Estate di San Martino, Fiammetta ha un drammatico incontro con Riccardo, un amore dei tempi dell’Università, e recupera parzialmente la memoria: affiorano dal passato le bambine Elisa, Giovanna e Mariotta, il linguaggio cifrato del “PA” , la Torre del Castello sempre chiusa a chiave, il bambino nano e la donna nera. In un gioco pericoloso in cui realtà e fantasia si scambiano le parti, Fiammetta ritroverà se stessa. Forse.

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