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La mia canzone per questa città

La mia canzone per questa città

Passeggiata Calata Rotonda
16126 Genova
Luoghi e Paesaggi Racconti
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La mia canzone per questa città

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Vorrei raccontarvi della città di Genova, vorrei che il mio racconto suonasse come una canzone, la mia canzone per questa città. Vorrei, di più, che trovaste voi la vostra canzone per lei. Ogni città ne ha una, certo: ogni città ha una sua musica, un suo ritmo e timbro e melodia; segreta perlopiù, nascosta alla goffa invadenza degli estranei. Ma un buon viaggiatore impara presto a non essere estraneo, a saper ascoltare, a dare ai suoi passi il ritmo giusto, al suo sguardo l’appropriata acutezza, all’udito finezza sufficiente per comprendere ed essere compreso, per diventare “abitatore”. E il suo viaggio diventa racconto, e quella città rimarrà per sempre un po’ sua.

Per questo non sarò una guida diligente e oggettiva; non ho nessuna intenzione di sbattere su un banco da vivisezione e mostrarvela smembrata la città che più amo tra le tante che ho visto e vissuto nel mondo: troverete per due lire in edicola tutto quello che vi serve in proposito. Vi dirò, semplicemente, qualcosa che so di lei, qualcosa che ho visto e ascoltato abitandola da viaggiatore.

Arrivateci dal mare. Fatelo, se potete a bordo di una grande nave; un lento e maestoso transatlantico, magari. Arrivateci così come hanno fatto Churchill e Bogart, Josif Stalin e Grace Kelly, Hemingway e Pound; e assieme a loro, sulle stesse navi, migliaia e migliaia di poveracci, emigranti in faticoso ritorno, immigrati in cerca di fortuna. Non importa in quale classe potrete permettervi il biglietto, perché al momento giusto, da qualunque ponte vi affaccerete, potrete vedere quello che c’è da vedere. E se i transatlantici sono rari a reperirsi, e imbarcarvi su una dream ship per un’estenuante crociera nel Caraibi vi sembra un po’ fuori misura, allora fatelo da un più modesto traghetto, di quelli che portano dalle isole di Corsica o Sardegna. Così ho fatto io la prima volta. Alla fin fine basterà anche un vaporetto, un motoscafo o un barchino. L’importante è che possiate –all’alba, magari, o al tramonto, quando la luce dell’universo intero è più nitida e pulita- possiate dunque affacciarvi alla linea dell’orizzonte marino. Sarete al centro della vastità; tutt’intorno mare infinito, e solo la prua della nave e il refolo di aria che muove vi dicono che c’è una direzione in cui guardare. Ecco, osservate in quella direzione; il blu turchino del limite ultimo della curva del mondo, l’azzurro pallido e rosato del cielo e nient’altro. E un attimo dopo l’intera linea d’orizzonte è occupata da un sottile chiarore, e in quel chiarore scorgete riflessi e luci opalescenti: è già Genova.

La cosa che più vi stupirà è che non vi basta un colpo d’occhio per constatare quel panorama, ma dovrete muovere lo sguardo in un amplissimo arco per comprenderlo tutto. Da Voltri a Nervi.

Ecco, questa è la grande verità circa la città di Genova, e ne definisce il carattere e la natura, l’essenza e la singolarità. Non basta un solo sguardo, un unico punto di vista, per descriverla e capirla, per viverla. Genova è sempre più grande di qualunque tentativo di contenerla, è un orizzonte intero. È marinara, si, ma anche collinare; è metropoli, ma anche paese; è scempio e regalità, è aristocratica e miseranda, struggente e proterva, medievale e barocca, ultramoderna e ottocentesca, atlantica e mediterranea. Tutto assieme, tutto questo in una sola materia e un solo luogo, in un unico orizzonte. Qualunque itinerario sarà sempre parziale, ogni conoscenza limitata; tanto vale lasciarsi andare, attraversarla sapendo che è un mondo che non potremo mai esplorare per intero, che in quel mondo ci perderemo. E sarà bellissimo perdersi, perché la complessità è il più grande monumento d’arte che una città possa augurarsi di possedere e un viaggiatore di incontrare.

Perdersi, dunque: perdersi appena arrivati. Nel porto, naturalmente, cercando di attraversarlo perla sua lunghezza dalle mura di Malapaga al faro della Lanterna. Lo farete a piedi, ovvio; d’ora in poi saranno i vostri piedi che vi porteranno ovunque nella città che è un continente pedonale. Vedrete che non è una fabbrica, ma un organismo polimorfo e vivente; è uomini, macchine, paesaggio e architetture in perpetuo movimento e mutazione. Il più grande porto del Mediterraneo, vecchio di mille anni. Sterminato monumento alla Merce e alle sue epoche. Corpo di navi, navette, barconi, barchini, moli, teste, calate, radici, negozi, bacini, silos, uffici, officine, gru, draghe, trattori, mancine, caddrai, ebanisti, elettricisti, camalli, camalletti, carenanti, carbuné, baristi, fresatori, rettificatori, sabbiatori, ormeggiatori, tornitori, pittori, piloti, computeristi, sarti, pompisti, frigoristi, cuochi. Odore di salmastro e di nafta, di ruggine, morchia e putredine; profumo di caffè, cacao, stoccafisso, lavanda, vernice, ananassi e whisky, raccolti in cisterne, balle, casse, containers. E sopra a tutto questo, le alte navate, le guglie e i campanili dei magazzini del sale, dei coloniali e del cotone, dei silos granari e vinicoli, dei fari, basiliche e cattedrali della modernità.

E cercate di uscirne dalla Stazione Marittima del Ponte dei Mille, la grande porta liberty che introduce chi arriva dall’altro capo del mondo –e dunque anche voi, perché ogni altro luogo è all’altro capo del mondo- alla città. Uscitevene dalla Stazione avendo notato i suoi mosaici, stucchi e marmi e cristalli, ma anche gli intarsi di profilato d’alluminio, perlinato e cartone. Non siate frettolosi, non pensate al semplice obbrobrio. Genova non ha mai amato conservare, ha sempre preferito invece manipolare e contaminare, creando singolari bruttezze e stupefacenti, inaspettate, bellezze. So che vi sconcerterà entrare in un palazzo patrizio di Posta Vecchia o di Luccoli –dove vivono piano su piano il principe e l’immigrato, l’intarsiatore e il contrabbandiere- per scoprire strato su strato, sconnessi e impastati, medioevo, rinascimento e barocco. Ma è questo lo spirito di Genova, la grande nonscialans di una città di mercanti che hanno conosciuto tutto e avuto tutto, e pensano ancora che tutto passa e il meglio deve ancora venire, se mai verrà su questa terra.

E considerate allora senza più pregiudizio l’impossibile equilibrio su cui si sostengono a vicenda Porta Soprana, gotica e fiammeggiante nel sole del mattino, e il grattacielo Martini, modernista e funzionale. E noterete, lo spero, che a compiere questa strana bellezza, c’è, a lato dei due, un minuscolo giardino di ulivi, e nel giardino un chiostro rinascimentale di sottilissime colonnine marmoree. È lo splendore della complessità, che a dieci passi da qui mette insieme il settecentesco Palazzo Ducale con il postmoderno del Carlo Felice e gli umbertini palazzi degli affari in De Ferrari, una delle più belle piazze d’Italia.

Ecco, mi sono già perso anch’io. Da dove ripartiamo? Dall’alto. Siete appena usciti dal porto; davanti a voi c’è Villa Reale, rinascimento solare, abitata dai principi Doria, perché Genova repubblicana ha ancora i suoi principi, e dietro la collina, la ripida fascia che avvolge la città. Salite, viaggiate lungo i viali e i corsi ottocenteschi, arrancate su e scivolate giù dalle crose di pietra serena lucida e odorosa della camomilla selvatica che alligna tra un gradino e l’altro. Sbirciate oltre i muri dei monasteri, date un’occhiata alle cappelle votate ai santi del mare e a quelli degli orti, godetevi i giardini. Ogni palazzo a Genova ha un parco, ogni casa un giardino, perlopiù segreto, chiuso da spropositate muraglie; alcuni sono stupefacenti per la vastità degli alberi, per la ricchezza delle essenze. Entrate nei parchi di villa Gruber o del villino Di Negro per capire come la spilorcia nobiltà genovese abbia speso a dismisura per il puro piacere degli occhi. E guardate la città; guardatela dall’alto perché sarà l’unico modo per capirla, e sentirla.

La luce intanto. Genova è luce chiara, meridiana, modulata dall’impasto dello specchio del cielo con quello del mare e dell’ardesia. L’ardesia dei tetti di Genova che nei secoli si è fatta tanto chiara da trattenere in sé cielo e mare. Un lenzuolo di luce steso su ogni casa, torre, via e cantone, così plastica che riesce a filtrare in ogni anfratto e piega dell’inestricabile corpo di carruggi. Non c’è nero budello tra Sarzano e la Maddalena che non abbia la sua parte di luce in una certa ora del giorno; è tanto distesa quella luce che anche i muri intonacati a terra bruciata riescono a rifletterla. Portatevi sul balcone di Castelletto: siete sopra la città dentro il suo cuore. Potete vedere ogni cosa come se l’aveste appena finita di costruire voi; guardate con attenzione e passione, perché quando scenderete nel mezzo perderete completamente il senso delle proporzioni e dell’orientamento, perderete qualunque vista di insieme. Scendendo non potrete avere tutto. Scegliete a caso, alla fine è meglio. Santa Maria di Castello, San Donato, gli Embriaci, piazza delle Erbe, Sarzano e Campo Pisano, Canneto e San Bernardo: il cuore del cuore della città medievale, corsara, meticcia. Ombrosa e ribalda, vociante e contrita a seconda dell’ora e del giorno, se spira scirocco o è tramontana. A questo punto sarete del tutto persi; andate a naso, seguite la traccia infallibile di pesci e fritture, pepe e avocado. Arriverete senza fallo al più antico di tutti i monumenti di Genova: Sottoripa. La galleria di pietra e travi ossificate sotto la palazzata medievale dirimpetto al Porto Antico. È esattamente così come l’hanno lasciata i primordiali mercanti che qui hanno accatastato tutto quello che sono riusciti ad arraffare nel trafficare il Mediterraneo, dalle reliquie gerusalemitane alle schiave berbere, dal cardamomo siriano alla lana sarda. Magari comprate qualcosa che possa servire al lungo viaggio di ritorno all’altro capo del mondo.

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  1. vxelia
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    Splendido, coinvolgente racconto da un grande scrittore. Non poteva essere altrimenti!

    6 anni fa
  2. Luisa
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    Bello! Davvero molto coinvolgente….e mi ci ritrovo in tanti aspetti..per quel poco che ho potuto vivere,sentire e camminare in questa città!

    6 anni fa
  3. Emanuele Corocher
    Originalità

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    Complimenti! A quanto pare adori la tua città. Io a 10 anni sono stato una settimana a Genova. Ho impresso nella mente la Lanterna; gli aerei che partivano e atterravano dal grande “molo”; le continue imbarcazioni che danno vita al grande porto;
    Mi hai rifatto ritornare adolescente… Grazie

    6 anni fa
  4. Elisabetta
    Originalità

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    Non c’era dubbio che non potesse essere una descrizione eccellente!

    6 anni fa
  5. Piera R
    Originalità

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    Una descrizione di Genova che incanta!

    10 mesi fa

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