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Un gioiello nel Liceo Galvani

Un gioiello nel Liceo Galvani

Via Castiglione 38
40124 Bologna
Luoghi e Paesaggi Racconti
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Un gioiello nel Liceo Galvani

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Sono praticamente le due: le lezioni sono finite. La gente normale di solito va via, scappa quasi, rincorrendo il primo autobus da Garganelli o da piazza Minghetti, per tornare a casa il prima possibile.

È vero che, per certi versi, il Galvani fa paura. È enorme, imponente; ci ho messo due anni a capire dove si trovassero la R12 e la C3, per non parlare di quale fosse la differenza tra la Zangrandi e la Zambeccari. Ma, a me, in fondo, non fa paura. Anzi, mi affascina. Il Galvani non è un liceo qualunque: racchiude secoli di storia, di cultura, scienziati, poeti, registi, studiosi, filosofi, musicisti… ed è proprio la musica che mi ha intrappolato qui.

Entrando dal portone principale, si salgono due rampe di scale, c’è un breve corridoio, si svolta a sinistra e c’è una porta di legno, bianca, a volte chiusa, a volte aperta. Dietro questa, a destra una ripida e piccola scala a chiocciola, che conduce al ballatoio; a sinistra un’altra porticina bianca con un vetro, che trema sempre troppo quando vuoi entrare o uscire. Alle spalle di questa, vive la Biblioteca Zambeccari, capolavoro settecentesco, rigorosamente gelida in inverno e bollente in estate.

Ma, come ho già detto, non è stata la Biblioteca in sé ad attirarmi, ma la musica: appena entrati, anzi, si vede già dal vetrino, c’è un pianoforte. Non chissà quale pianoforte in realtà, magari fosse uno Steinway, o un Petroff; è un mezza coda coreano non eccellente, ma fa il suo lavoro. A me, che ho sempre avuto una tastiera, è sempre e comunque sembrato fantastico.

Avevo bisogno di esercitarmi su un pianoforte vero e quindi, chiesti i permessi del caso, ho iniziato a suonare nella meravigliosa Biblioteca Zambeccari. E quando inizi a passarci ore ogni giorno, saltando regolarmente i pasti, immerso tra i libri e i tasti, avviene qualcosa di strano: entri in sintonia con la Biblioteca stessa, ti ingloba. Ti senti, in un certo senso, parte di essa.

Ho iniziato, tra un pezzo e l’altro, quando non riuscivo più a suonare, a vagare, tra le sedie di metallo nere, incantato. Dal pavimento di pietra si alzano i numerosi scaffali bianchi di legno contro il muro, pieni, e forse un tempo anche più di ora, di libri, tutti bene o male con un’età media di settant’anni, rigorosamente ordinati alfabeticamente sotto le letterine dorate in cima alle vetrine sottili, attraversate da fili metallici incastrati in globuli dorati alle intersezioni. Non si vede uno spazio di muro libero. Sotto le vetrine, degli armadietti ad ante, anch’essi bianchi, probabilmente stracolmi di volumi, e che penso nessuno abbia il coraggio di aprire, pena l’essere letteralmente inghiottiti dalla Biblioteca; potrebbero anche essere vuoti, per quel che ne so io, ma a me piace pensarli così.

La distesa di libri viene interrotta solo nei lati corti del rettangolo che è l’aula, da due portoni immensi di legno scuri, opposti l’uno all’altro. Ricordano quelli di una cattedrale. Quello più lontano dalla porta d’ingresso, anche quella su uno dei lati corti, vicino al pianoforte, porta ad una specie di stanza sgabuzzino, non si sa come riempita di una vecchia lavagna girevole, leggii da orchestra, una batteria, i cui pezzi sono sparsi per la stanza, una tastiera, vecchi “Quaderni del Galvani” e, in fondo ad uno stanzino, tra scatoloni, un grosso crocifisso di legno. Si vede che la musica ha qualcosa a che fare con questo luogo.

L’altro portone conduce invece ad un’ampia stanza completamente affrescata, con un bel ritratto ovale di Monsignor Zambeccari tra due finestre che si affacciano su via Castiglione. A destra, quelle che dovevano essere altre porte sono sostituite da grandi pannelli di compensato; a sinistra c’è una scala a chiocciola verso il basso, vuota nel mezzo, tremendamente buia e già inquietante di suo, cosa che ha tralasciato colui che, probabilmente per qualche mostra fotografica o non so cosa, ha deciso di appenderci delle rose, legate a sottili fili biancastri; idea, volendo, anche carina, se si omette che le rose si sono seccate e sono ormai giallastre.

Ma non è finita qui: sopra il primo ordine di scaffali, una balaustra, della quale non voglio indagare la stabilità, bianca e ornata d’oro, permette di accedere al secondo ordine di mensole, come il primo ma senza vetrine; ci si arriva dall’angusta scaletta a chiocciola a destra della prima porta bianca. Qui, così come quando si va su in montagna e l’aria è rarefatta, ci sono meno volumi; ma l’età di questi aumenta sensibilmente: il più antico che sono riuscito a sfiorare è il numero, credo, di maggio di una rivista di letteratura e filosofia del 1868, o qualcosa del genere.

Ma se i libri qui sono meno, gli occhi hanno molto di più: si è ad un passo dall’enorme affresco che sovrasta le sedie nere, il pavimento di pietra, gli scaffali bianchi, le vetrine sottili, la balaustra stretta, e si ha il piacere di guardarlo senza farsi venire un torcicollo. La volta, come se non bastasse, è incorniciata da un altro ciclo di affreschi che raffigurano le varie discipline insegnate nell’ex collegio gesuita, tra le quali si infiltrano ampie finestre sempre coperte da scuri di tessuto rossi.

Mi risiedo al pianoforte: a prescindere da cosa si suoni e chi suoni, le note scorrono in modo diverso: ognuna di esse si innalza verso l’alto soffitto e si spande in tutte le direzioni, s’impregna dell’aria religiosa delle pareti e ritorna carica e vibrante, ornata degli stucchi sulla volta e tra gli scaffali.

Mentre la musica si muove, la luce è ferma: i raggi di sole filtrano dagli scuri e dalle vetrate e cadono, pesanti ed eterei, immobili, lasciando intravedere il pulviscolo misto alla polvere naturale della Biblioteca.

La Zambeccari è una pietra preziosa: ma non di quelle già tagliate e sfaccettate, che risplendono anche alla più fioca luce di una candela; è più come un geode, il cui cristallo è immagazzinato e nascosto in quella che sembra una pietra qualunque, che non immagineresti mai capace di celare tali bellezze. È una perla in un’ostrica.

E io, ormai quasi a tarda sera, sono il granello di sabbia della perla stessa, incantato, racchiuso ed intrappolato in questa bellezza, e voglio rimanerci in omni animo mio.

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  1. Cinzia
    Originalità

    Coinvolgimento

    Stile

    Bello, coinvolgente. Mi ha fatto voglia di vedere la Zambeccari.?

    6 anni fa
  2. Nadia Bertolani
    Originalità

    Coinvolgimento

    Stile

    Lettura coinvolgente, tutta atmosfere e segreti, fatta di percorsi su scale e ballatoi, e libri, libri, libri. E musica.

    6 anni fa

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