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L’ombra del geco

L’ombra del geco

Via Cristoforo Colombo
92014 Porto Empedocle (AG)
Diari e Memorie Racconti
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L’ombra del geco

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Dalle mie parti il geco è un portafortuna. In effetti è innocuo e si nutre di insetti, però sembra una macchina da guerra, un panzer; i colori mimetici sono proprio quelli. Dicono che se ti cammina sulla nuda pelle, ti lasci la macchia. Quando sono piccoli, lo sembrano, inoffensivi, ma si fanno belli grandi se ben nutriti. L’affittuaria di Porto Empedocle ne aveva uno che girava per casa, enorme, che non riusciva comunque a smaltire tutto il lavoro. Quando mio fratello glielo ammazzò, gridò: hai ucciso La Fortuna della mia casa! Certo è che l’anno dopo per farci i quindici giorni di mare come di consueto, cercammo un’altra sistemazione. Ma questa è un’altra storia. Invece quella estate, ci ospitava una vedova che aveva perso anche i figli in mare, in una casa popolare di cui non riesco a ricordare mobili o comodità di altra specie. Però aveva una serie di foto incorniciate da conchiglie, e altri ninnoli siffatti. E portava appesa ad una collana l’immagine del marito morto. Raccontava dei tedeschi che esponendosi al sole si erano ustionati a tale punto da morirne. Io ebbi una tale insolazione che si dovette ricorrere a tutta La Sapienza antica della vecchia in questione. Invocando il mio santo con una monotona litania, mi sfregò ben bene il corpo con alcool. Quindi pose un piatto con dell’olio e dell’acqua sulla mia testa e ci ruppe un uovo. L’operazione durò del tempo e scoprii poi, decenni dopo che in tale modo si poteva levare il malocchio. Non ne sono certa, ma è probabile che i miei genitori non si curassero che avessi sul capo un cappellino per ripararmi dai vituperati raggi solari. La signora ebbe la gentilezza di raccontarmi una favola, quando rimasi sola con lei, mentre i miei erano a mare. Una storia senza né capo, né coda, in cui si capiva solo che tra un periodo e l’altro avrebbe dovuto esserci un nesso logico. Tuttavia la sua voce riusciva a creare in me un’attesa, fin quando invece, essa fini’. Questo è ciò che successe. Da lei sapemmo per certo che nella sua gioventù, degli uomini avevano sparso il colera, per le strade del paese. Il che non ci sorprese più di tanto. Era solo un dato in più nel novero delle sue passate disgrazie. Il paese era afflitto dalla cronica mancanza d’acqua, cosi il massimo che potessimo permetterci era un pediluvio per liberarci dalla sabbia. Non esisteva doccia e la vasca da bagno conteneva l’acqua necessaria allo scarico del gabinetto. Il quartiere. quasi a ridosso della zona industriale, come questa era di colore rosa sporco. Un anno ci fu una sinistra moria di pesci e l’anno dopo il polipropilene sulla riva, a poca distanza dall’abitato. Dovevamo prendere la macchina e spostarci, per potere fare il bagno a mare. A pochi chilometri era già un altro mondo. Non più i bambini di strada esacerbati dall’odore salso del mare misto alle esalazioni oleose della ciminiera, dalla calura, dagli insetti, ma dei bambini, che rinvigoriti da lunghi mesi di vacanza, ostentavano salute e benessere, e che parlavano italiano come me, forse unico tratto in comune tra la loro realtà e quella della mia famiglia. Noi caricavamo all’inverosimile l’850 di figli e perfino materassi, per rubare per 15 giorni l’illusione di una casa sul mare, di un pranzo fuori, fregandocene dello squallore e della povertà che venivamo a trovare. Certo già il fatto di essere a mare era di là da venire per molti. E potevamo gustare lungo la nostra passeggiata quotidiana, fasolari e conchiglie pettine, o una fetta d’anguria o un gelato, una volta un figlio, una volta l’altro. Per il resto la signora cucinava per noi zuppe di cicale di mare e pesce fritto. L’ultimo nato, Giorgio, molto piccolo, tornava a casa con i rifiuti di plastica, soprattutto involucri di gelati trovati sulla spiaggia, ne riempiva sacchi e si sbizzarriva a giocare, con essi, più che con paletta e secchiello. Non c’era modo di convincerlo che era immondizia, e che doveva essere lasciata là, dove si trovava, non essendoci cestini Le mie sorelle invece prossime all’età in cui alcune donne si trasformano in fate si dedicavano all’abbronzatura, spalmandosi un’emulsione di olio misto a limone oppure birra, che la fissava. Sotto lo sguardo di mio padre , mai conciliante con noi figli , magnificavano, sdraiate al sole le loro virtù ai giovani villeggianti che si sistemavano poco distante, e nello stesso tempo facevano ben attenzione a preservare la virtù suprema: la Verginità. Così andava alla Marina, emblema di una Sicilia remota e allo stesso tempo estremamente moderna, superstiziosa e disincantata. E in quella casa fitta di fantasmi e ombre di cui era nume un geco.

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  1. Salvatore
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    la triste realtà dell’agrigentino con tutte le problematiche del territorio, viste dagli occhi di una bambina.
    Bellissima storia!

    6 anni fa
    1. Pier Francesco

      Stefania è bella. Sembra scritta di getto senza nessuna revisione a posteriori. Forse dovresti pensare a rivedere, modificare e correggere i tuoi scritti. – Mi risulta un poco fragmentata. Le frasi corte vanno bene ma credo (a prima impressione) la potresti addolcire, -anche se l’essere brusco non è sempre un difetto, forse è soltanto una questione di gusto anche perchè l’apparirie scarna/essenziale ha un suo certo facino. Anch’io ho passato del tempo a Porto Empledoce da bambino con tuo fratello e le tue sorelle. Giorgio e anche tu non eravati nati e io mi bruciavo sempre ma di brutto, e non potevo sopportare Lia che non si bruciava mai

      6 anni fa
  2. Chiara
    Originalità

    Coinvolgimento

    Stile

    Bella storia Stefania, mi hai riportato ad alcuni dei luoghi della mia infanzia, quando anche noi trascorrevamo parte delle nostre vacanze a Portoempedocle.

    6 anni fa
  3. Piera
    Originalità

    Coinvolgimento

    Stile

    Brava Stefy! Riesci a far rivivere i paesaggi, a far sentire gli odori di un tempo! Riporti il lettore indietro nel tempo! Scrivi scrivi scrivi! E dacci ancora la possibilità di leggerti!

    6 anni fa
  4. Francesco Zito
    Originalità

    Coinvolgimento

    Stile

    Ricordi del mio passato a Gela, quando trascorrevo giornate di mare con la famiglia, ricordi bellissimi di un periodo che Stefania evoca con tanta bravura e capacità. Dico a Stefania di continuare a scrivere per farci rivivere esperienze comuni. Ancora complimenti!

    5 anni fa
  5. Rosalba
    Originalità

    Coinvolgimento

    Stile

    Bellissimo racconto, ricordi d’infanzia, brava Stefania!!!!!!!

    4 anni fa
  6. Maria
    Originalità

    Coinvolgimento

    Stile

    Racconto molto bello, si ha la sensazione di essere immersi per tutto il tempo della lettura in quella realta’. Bravissima Stefania, ironia che permette al lettore( almeno a me) di cogliere tutte le sfaccettature di uno spaccato di vita.

    3 anni fa
  7. claudia.lamarca
    Originalità

    Coinvolgimento

    Stile

    Sembra un bellissimo inizio, lascia una sorta di languore. Sicuramente c’è dell’altro….

    3 anni fa
  8. claudia.lamarca
    Originalità

    Coinvolgimento

    Stile

    Brava!

    3 anni fa

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