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Il violinista
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Il violinista

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Il violinista
(di Patrizia Tocci)

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Un suonatore di strada
E’ magro, potrà avere tra i quaranta e i cinquanta anni. Capelli lunghi ricci, quasi bianchi. Giubbetto nero di pelle, da rocker, ma lo sguardo è timido, impacciato. Si sente a disagio a stare sotto gli occhi di tutti anche se i passanti- che sono tali per definizione- passano con una certa velocità nel corso affollato senza prestare molto orecchio alla sua musica. Sciamano compatti gruppi di ragazzi, di anziani, di ragazze. Solo due pensionati, quelli col baschetto e l’ impermeabile color crema, seduti sulla panchina adiacente, aspettano la sua esibizione. Intanto commentano l’ ora legale, appena entrata in vigore: sono le sette di sera, ma c’ è ancora luce. Lui è concentrato sul suo archetto. Comincia la musica: la segue col corpo, incurvandosi, protendendosi, alzandosi sulla punta dei piedi in alcuni passaggi; acquista una scioltezza sicura come un ballerino che ripete una danza a memoria. Potrebbe suonare ad occhi chiusi ma tiene il leggìo con lo spartito avanti a sé , come un diaframma verso quella folla che continua a sciamare, nel sabato sera. Noi siamo tutti dentro uno stesso bicchiere. Cubetti di ghiaccio o scorzette d’ arancia tintinnano, gocce di gin o fettine di limone; uno stesso bicchiere, leggermente appannato dai nostri respiri. Ondeggia di qua, di là la folla:tutta vestita di colori scuri, nordici. Una marea scura e nera, che borbotta e si muove sul pavimento della grande piazza, di porfido nero. Qualcuno si stacca da quella marea scura per lasciare nel cestino una moneta d’ oro. Solo i ragazzi che si amano hanno un volto che splende; i loro piedi non sfiorano il pavimento ma camminano leggeri, a qualche centimetro da terra. Ed hanno occhi soltanto per i loro occhi.
“ Eppure là in fondo c’ è il mare “ sembra pensare la badante paffuta, con i capelli di un biondo improbabile, che ha parcheggiato la carrozzella del suo vecchietto in ottima posizione per assistere al concerto. Il suonatore e’ leggermente imbarazzato per questa prima fila così vicina, ma continua a suonare mentre il vecchietto agita le mani, vergognandosi, eppure trascinato dalla musica. La badante si commuove, forse: pensa al suo paese lontano, alla sua casa, ai suoi figli e ai suoi vecchi; pensa che in fondo al viale, tra le due palme, c’ è il mare. Il violinista ha da poco attaccato l’ aria di Love Story, e il violino si impenna, canta, gorgheggia da solo. Qualcuno si ferma ad ascoltare. Si crea una piccola folla circolare. Forse anche lui ha avuto una dolcissima, tragica storia d’ amore. E suona con più amore per quei passanti sbadati; , ci mette tutta l’ anima e i passanti se ne accorgono e guardano, anche se hanno dimenticato quasi tutti com’ era l’ amore, e camminano accanto alle donne o agli uomini che hanno scelto senza sincronia, senza felicità.
O forse no. Forse qualche coppia pensa che là in fondo c’è ancora il mare, forse cerca la mano del suo compagno o della sua compagna e la stringe. Forse ricordano e sognano. Si sentono appena ad un centimetro dal suolo, ma già le facce si aprono, appaiono i sorrisi. I bambini i con i palloncini colorati, stretti nei loro piccoli pugni si alzano dal suolo, per colpa dei palloncini. La signora grassa per colpa della panna, abbondante, sul suo gelato alla fragola. Sicuramente è colpa anche delle bolle di sapone, grandi e giganti che s’ alzano tra i palazzi e obbligano gli sguardi ad alzarsi da terra. Persino i telefonini, su cui qualcuno imperterrito continua a digitare, si illuminano e diventano piccole zattere oscillanti. Una ragazza sale più in alto degli altri: forse perché è troppo, esile o forse per colpa dei pantaloni strappati da cui entra e esce l’ aria frizzante. Sembra una mongolfiera. Mi pare di essere finita in un quadro di Chagall. L’aria s’ è fatta musicale, le vibrazioni dei rumori e delle note spingono tutti da una parte o dall’ altra, mi risucchiano e mi sollevano. E cerco la tua mano, per una carezza leggera e furtiva. Anche il violinista sta salendo: l’ archetto lo tiene in equilibrio: è così magro, che regge con un po’ di sforzo questo gioco di pesi e contrappesi. Qualcuno adesso finalmente si fermerà per applaudire il suo meraviglioso spettacolo. E invece no. Siamo passati ad un altro brano, quasi senza pausa, senza colpo ferire. Diamine, ha ragione. Deve mantenere sospesa tutta quella marea.
E noi ci incamminiamo verso il mare.

Patrizia Tocci

 
>Il libro dell’autriceÈ un libro che insegue le tracce della memoria, attraverso la figura di un padre che non c’è più, ma di cui restano i gesti, le parole, le abitudini. È la fine di un mondo contadino che s’intreccia ai profumi, agli odori, rumori, colori scomparsi dalla realtà ma non dalla memoria. Attraverso questo dialogo dell’autrice con l’ombra del padre, riemerge una civiltà che sta scomparendo ma che ha formato le nostre categorie mentali. L’infanzia del padre e quella della figlia si confondono, si chiamano e si assomigliano, nel ritrovare radici universali e profonde. Pagine da cui fuoriesce la neve, matura il grano, profuma e si sente crescere l’erba: con sentimenti duri come il mallo di una noce e limpidi come l’acqua delle sorgenti montane, in un continuo passaggio tra presente e passato, in un legame tenuto in piedi dagli alberi, dalle primule che rinascono testarde, dai papaveri che continuano a splendere per una notte sola. Sostanzialmente un viaggio nelle dimensioni interiori del tempo, in cui il presente ritrova nel passato il filo conduttore dell’esistenza e lo utilizza per fare spazio al futuro.

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