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Lo strappo
Scheda Verificata

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Lo strappo

Via Val Veny
11013 Courmayeur AO
Racconti Horror Racconti
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Lo Strappo

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L’urlo selvaggio lacera il velo sottile del silenzio strappandomi un grido lasciandomi attonita.
Ho il cuore che batte così furiosamente nel petto da farmi star male. Rimango ammutolita in silenzio in attesa di qualcosa di orribile che non arriva, mentre nel corpo l’adrenalina mi trafigge le carni con centinaia di spine acuminate. Per attimi interminabili il mio cuore batte così furiosamente da minacciare di esplodermi. Poi pian piano tutto torna tranquillo e anche lui si rasserena. Attorno a me ora tutto tace.
Mi guardo attorno atterrita maledicendo la mia dannata testardaggine. Come diamine mi è venuto in mente di trattenermi qui, nel cuore della foresta in piena notte, in cerca di qualcosa che molto probabilmente neppure esiste se non in vecchie leggende popolari o nella testa sfasata di qualche anziano contadino.
O almeno alla luce del sole, quando sono arrivata qui carica dei miei appunti e di tutte le mie certezze, sembrava non potesse esistere, ma adesso in questo posto tetro, nel folto del bosco, con solo le stelle a farmi compagnia, tutto sembra più reale, e persino il mostro orribile di cui ho sentito tanto parlare, trova una sua perfetta collocazione in uno scenario da incubo come questo.
Un fremito gelido mi accarezza la schiena.
Balzo in piedi come folgorata da una scarica elettrica, guardandomi terrorizzata a destra e a sinistra.
Niente. Tutto tace e l’unico rumore che odono le mie orecchie è il tamburellare martellante del mio cuore al loro interno. Mi risiedo accovacciandomi a terra stringendomi le ginocchia al petto, dondolandomi piano.
Che diamine ci faccio in questo posto da brividi. A quest’ora me ne potevo stare tranquillamente stravaccata sul divano a guardare soap opera trangugiando patatine fritte gocciolanti olio e invece…
Tutto perché voglio dimostrare a mio padre che la mia laurea in cripto zoologia non è una buffonata per poveri mentecatti e visionari, ma una vera laurea riconosciuta e attestata da tutto il mondo, scientifico e non.
Già da tutto il mondo, tranne che da lui.
In questi cinque anni dopo la laurea, non ha fatto altro che sfottermi e deridermi, canzonando ogni mia ricerca, denigrando ogni mio lavoro; lavoro che peraltro fino ad ora, non ha fatto altro che dargli ragione rivelandosi solo frutto dell’immaginario collettivo.
Insomma, tutte bolle di sapone dissolte al soffio di un alito di vento.
Un rumore cupo mi riporta alla realtà attraendo la mia attenzione: un crepitare di foglie e ramoscelli secchi. Mi stringo nelle spalle in preda ai tremiti, i miei occhi viaggiano veloci da destra a sinistra senza scorgere nulla. Oramai da diverse ore si sono abituati al buio della foresta, ma attorno a me riesco a vedere solo ombre scure e fantasmi tremolanti. Ho la gola così secca che diventa difficile persino ingoiare saliva.
Attendo nel silenzio con il fiato sospeso, mentre sagome oscure oscillano debolmente nella brezza leggera della notte. Il terrore mi attanaglia il ventre. Rimango immobile aspettando, con la pelle increspata e i pelli delle braccia così irti da sembrare volersene scappare via, lontano da me.
Quanto tempo è che sono così? Un minuto, dieci, venti? Oppure un’ora? Non saprei dirlo.
So solo che il tempo sembra essersi fermato, come se il bosco con le sue ombre scure e vacillanti fosse intrappolato in una fotografia d’altri tempi, dove il nero la fa da padrone e l’unico chiarore è quello delle stelle incastonate nel velluto buio del cielo. In questa fotografia tetra e silenziosa dove ogni mio respiro sembra fragoroso come un tuono e il vento che accarezza le foglie sembra un tornado impetuoso, io attendo che il mostro di cui proferiscono i contadini del luogo si faccia avanti. Ho raccolto relazioni, cronache di avvistamenti, fotografie di poveri animali sventrati e dilaniati, e tutti i dati descrivono un mostro orrendo e famelico.
Qualcuno mi ha parlato di occhi rossi infuocati come braci ardenti, qualcun’altro di una bestia gigantesca capace di stare eretta su due zampe, una bestia mai vista prima, dal pelo lungo e rossastro, con zanne incredibilmente grandi e affilate.
Prendo la piccola torcia ricaricabile che ho portato con me, un faro in questa notte tetra e gelida, e rileggo le mie annotazioni coprendo il luminoso fascio di luce con la mano libera. L’ultima cosa che voglio è che la bestia che sono venuta a cercare, mi trovi per prima. Rileggo gli appunti, illuminandoli parola per parola, ripassando le vicende del luogo, vicende di cui persino la polizia si è occupata.
Dunque: ottobre 2011; un uomo è stato trovato morto al limitar del bosco stroncato da un infarto. Tra le dita stringeva ciuffi di peli rossastri e accanto al suo cadavere, la polizia ha rinvenuto strane orme da cui ne hanno ricavato un calco che persino io, con tutti miei studi, non ho mai visto prima.
Un alito di vento mi carezza il naso gelato, portando un odore sgradevole, intriso di marciume e carne putrescente. Qualcosa si muove nella notte facendomi sobbalzare. Soffoco il mio piccolo faro con le mani, mordendomi il labbro per impedirmi di gridare. Pochi istanti e il silenzio torna a regnare sovrano e l’aria ad essere limpida, priva di ogni qualsivoglia odore, fresca e pulita così come solo l’aria gelida di montagna sa essere. Riapro i pugni, ma il mio piccolo faro si è spento. Le mani mi tremano mentre cerco di estrarre la piccola manovella che serve a ricaricarlo. L’oscurità e il silenzio adesso mi pesano come un macigno, opprimendomi e schiacciandomi con il loro nulla.
Il cuore mi è salito in gola e ho paura che se continua a battermi così forte, finirò col vomitarlo.
Infilo la torcia all’interno del mio piumino imbottito per attutire il rumore del piccolo meccanismo che si ricarica. Mentre lo faccio, continuo atterrita a girarmi a destra e a sinistra scrutando nervosamente tra le tenebre, cercando di mantenere il controllo, mentre all’interno del giubbotto muovo velocemente le mani. A ogni giro la levetta mi colpisce il seno all’altezza del cuore. Non so perché ma questo mi da sicurezza. Altri due giri… carica.
Estraggo il mio piccolo faro da dentro il giubbotto, puntandolo nervosamente nel bosco attorno a me.
Cespugli, alberi, altri cespugli. Occhi luminosi attraggono la mia attenzione. Un grido soffocato mi sfugge dalle labbra dischiuse mentre li illumino con la mia minuscola luce.
Una civetta. È solo una civetta che se ne vola via indispettita dopo avermi brontolato qualcosa. Piano piano il mio cuore si calma. Tiro un po’ più giù il mio cappello di lana calcandomelo ben bene sopra le orecchie, cercando riparo dal freddo che mi punge il viso e dalle tenebre che mi opprimono il cuore. Attorno a me non si muove più nulla. Riprendo i miei appunti sistemandoli meglio alla luce della piccola torcia.
Dove ero arrivata… a ecco qui.
Troppi gli animali morti in modo atroce e troppi gli avvistamenti della strana creatura. Una cosa mi aveva colpito più delle altre: le carcasse degli animali ritrovati.
Oltre ad essere state sventrate e dilaniate, cosa non da poco, i resti non possedevano più una goccia di sangue, come se il mostro del bosco lo avesse estratto succhiandolo. Una bestia simile a un vampiro insomma.
Nel mio girovagare in cerca di un qualcosa che potesse rendermi accettabile agli occhi di mio padre, avevo già sentito parlare di resti di animali ridotti in questo stato ad opera di un essere imprigionato nel limbo dell’immaginario collettivo oscillando tra mito e realtà: il chupacabra.
Certo, non posso essere sicura che si tratti proprio di lui, ma tutto mi porta a pensare che se di mostro si tratta, non può che essere questo. Frugo tra i miei appunti tenendo la torcia stretta tra i denti, rimestando i vari fogli in cerca dei dati di questa strana bestia, incurante del crepitare della carta.
Dunque vediamo; il chupacabra ha riscosso il suo primo avvistamento nel 1975 a Puerto Rico cui poi sono seguiti numerosi altri avvistamenti; Messico, Guatemala, Ecuador, Costa Rica e coste della Florida. Nessuna menzione su avvistamenti in Italia, ma questo non significa niente. Sono accadute diverse cose strane e inspiegabili anche da noi e in fin dei conti questa è una di quelle ed io sono qui per questo no?
L’aria si è fatta più fredda, mi stringo meglio nei miei abiti con un brivido.
Allora: ‘il suo nome è dovuto al fatto che le vittime di questo strano essere, principalmente ovini, sono state ritrovate completamente dissanguate, prive degli organi interni e di alcuni stralci di carne; da qui il termine chupacabra, che significa letteralmente ‘succhia capre’. La leggenda vuole che questo ‘mostro’ abbia occhi rossi luminosi e sia in grado di camminare eretto, alcuni asseriscono sia ricoperto di lunghi peli, altri che possieda squame appuntite anche sul dorso. Dotato di lunghi arti che terminano a tre dita, sembra possedere anche appendice in grado di penetrare nelle carni e nelle ossa delle sue vittime, cauterizzandone la ferita all’istante e iniettando una sostanza in grado di impedire il rigor mortis.’
Le parole si sdoppiano sotto i miei occhi. Accidenti a me e al fatto che mi sono dimenticata gli occhiali, faccio una fatica boia a leggere. Tengo il punto con l’indice concentrandomi meglio.
‘Servendosene anche per dissanguare le vittime e asportando infine gli organi interni.’
Fino a qualche tempo fa questo misterioso animale era rilegato solo alle coste del sud America, ma da qualche tempo ho sentito parlare di lui anche da noi. Ma tra tutte le cronache di questa tipologia che ho studiato fino ad ora, questa è sicuramente la più accreditata.
Certo, pensare che alle radici del Monte Bianco, una delle mete invernali più ambite dai turisti di tutta Europa, possa esistere una creatura così orribile, spaventa non poco (oppure lo si può considerare un motivo in più per visitare questi posti?).
E così ho deciso di accertarmi di persona di ciò che stava accadendo in questi boschi per dimostrare a mio padre che i soldi che ha speso per le mie tasse universitarie, non sono finiti nel cesso come lui crede. In fin dei conti non tutti possono diventare avvocati di fama internazionale.
Quando ho annunciato a mio padre la mia impresa illustrandogli ciò che ero intenzionata a fare, mostrandogli fotografie, articoli di giornali e quanto raccolto fino a quel momento, la sua risposta è stata una sonora risata.
Ma non una risata qualunque del tipo; ‘scusa non volevo’ no, ma una di quelle che ti prendono dentro, coinvolgendo tutto il corpo, provocandoti crampi allo stomaco e lacrime agli occhi. Sono rimasta a fissarlo delusa finché non si è calmato sperando che passato l’accesso di risa si sarebbe poi scusato e invece lui, asciugandosi gli occhi lacrimanti mi ha chiamato ‘buffona’.  Buffona.
È questo che mio padre pensa di me. Buffona.
Ho sentito un rumore strano coprire le sue risa, come di carta che veniva strappata. E poi ho capito: era il mio cuore che si lacerava al suono delle sue risate. Avrei dato qualsiasi cosa per lui, per un suo gesto di approvazione e tutto quello che lui aveva saputo dirmi era buffona.
Buffona ovvero, la classica goccia che faceva traboccare il vaso!
Ho raccolto su tutte le mie cose, ho baciato mia madre, ho voltato le spalle a mio padre e sono venuta qua in cerca di qualcosa che possa finalmente riabilitarmi ai suoi occhi.
Sono giunta in questo posto per dimostrare all’uomo più importante della mia vita, che sono qualcosa di più di quello che lui crede.
Per dimostrargli che non basta avermi pagato l’università per considerarsi mio padre. Che non può calpestare i miei sogni solo perché non corrispondono ai suoi.
Ho freddo alle guance, me le sfrego per riscaldarmele e con tristezza mi accorgo che sono bagnate. Credevo di aver superato l’umiliazione, invece il mio cuore strappato sanguina ancora. Me le sfrego più forte e con rabbia. Non posso sprecare lacrime per chi non se le merita, e poi che diavolo è questa puzza e dov’è la mia torcia?  Come ho potuto distrarmi fino a questo punto?
Mi guardo attorno improvvisamente preda dell’angoscia e vedo il piccolo faro brillare tra i miei piedi infagottati. Ma quando mi è caduto? Il fascio di luce risplende nel buio della notte, illuminando fili d’erba, foglie secche e… Il cuore mi balza in gola.  Zampe, zampe ricoperte di peli che terminano con tre lunghe dita artigliate.
L’ammasso informe cui si collegano le zampe, è sormontato da una grossa testa triangolare in cui spiccano due occhi incandescenti come fornaci.
O Mio Dio!
Avevo ragione! È un chupacabra! Un CHUPACABRA!
Ho il cuore che mi saltella nel petto per la gioia. Raccolgo veloce la torcia e illumino il mio tesoro, che lancia un grido orribile e sparisce con un guizzo tra i cespugli. Frugo veloce tra le mie cose e afferro al  volo la fotocamera che ho portato con me gettandomi al suo inseguimento. I rami mi sferzano il viso lacerandomi la pelle, ma io continuo ostinata. Non mi arrenderò ora, ora che so di avere ragione. La luce si affievolisce, la torcia si sta scaricando ma non importa, mi basterà seguire questa puzza orribile per trovarlo.
Adesso la torcia si è spenta del tutto. Mi fermo ansimando e getto via il berretto slacciandomi il piumino, guardandomi attorno disorientata. Dove cavolo sono, non riesco più a vedere nulla, e anche l’odore non mi offre più nessun punto d’orientamento, è talmente forte da farmi credere di far parte della foresta stessa.
Adesso è tutto scuro attorno a me. Le mie spalle si alzano e si abbassano al ritmo del mio respiro affannato. Dalla bocca mi escono fumetti d’aria tiepida che s’addensano in quella gelida della notte. Dove diavolo è andato.
L’oscurità è talmente densa da sembrare palpabile e qui nel cuore del bosco, persino le stelle sembrano spegnersi oscurate dai folti rami degli alberi, lasciandomi sempre più sola.
Devo ricaricare la torcia senza meno.
Qualcosa mi colpisce violentemente alla gola. Il colpo è così forte da farmi cadere a terra, facendomi battere l’osso sacro, lanciandomi una scarica dolorosa per tutta la lunghezza della colonna vertebrale, esplodendomi infine come un fulmine nel cervello. Rimango qualche attimo senza respiro e poi tento di rialzarmi. Tento.
Perché non ci riesco?
Allungo una mano e scopro con orrore che la cosa che mi ha colpito alla gola è ancora lì, piantata nella mia carne.
L’afferro cercando di strapparla via, ma non ci riesco. Con disgusto sento la consistenza flaccida della cosa vibrare di vita tra le mie dita. Il mio respiro comincia a rallentare, così come i battiti del mio cuore. Cosa mi sta succedendo?
Occhi scarlatti mi scrutano nel buio. In preda al panico mi accorgo che la cosa che è incollata al mio collo si unisce alla sagoma scura da cui lampeggia quello sguardo infuocato.
Grido terrorizzata, afferro decisa quell’improbabile proboscide e la strappo via dalla mia gola, correndo via veloce, lontano da lì e da quell’incubo orribile.
Ma allora perché continuo a intravedere le stelle? Perché continuano ad ammiccarmi attraverso le chiome scure degli alberi?
Perché quello è ciò che avrei voluto fare, ma in realtà non sono riuscita che ad emettere un piccolo guaito strozzato. Sento un rumore strano, qualcosa che si strappa, ma non riesco a capire. Vedo piccole piume volteggiare leggere nell’aria, come delicati fiocchi di neve. Ho un leggero bruciore allo stomaco e la pelle del ventre è increspata per l’aria gelida che la sta solleticando.
“Lasciami, lasciami andare!!!!!!!”
Credevo di averlo gridato, ma in realtà dalla mia bocca non sono uscite altro che parole vuote senza senso biascicate a fatica. Con un grande sforzo allungo una mano a toccarmi il ventre intorpidito. Le dita sprofondano in una poltiglia calda e umidiccia e con le punta arrivo a toccare qualcosa di viscido, lungo e bagnato.
Il mio intestino. Sto toccando il mio intestino.
La sagoma scura dallo sguardo di fuoco si avvicina un po’ di più a me e scorgo tra le sue zampe anteriori qualcosa dalla forma di un grosso fagiolo.
Con raccapriccio e dolore mi accorgo che si tratta del mio rene.
Intanto sento la mia vita fluire via attraverso la sua proboscide. Mi sta succhiando il sangue, proprio come un vampiro, proprio come io avevo ipotizzato. Tra stralci di pensieri incoerenti, mi tornano in mente i miei appunti:
‘il suo nome è dovuto al fatto che le vittime di questo strano essere, sono state ritrovate completamente dissanguate, prive degli organi interni e di alcune stralci di carne, da qui il termine succhia capre. Sembra che questo strana creatura, abbia occhi rossi luminosi e possa camminare eretto, alcuni dicono sia ricoperto di lunghi peli..’
Una zampa ricoperta di peli affonda nuovamente dentro di me afferrando qualcos’altro.
Sento un sapore metallico in bocca. Un rivolo si sangue mi cola lungo il mento, solcandomi la gola.
Avevo ragione io. Il chupacabra esiste. Mentre lui fruga al mio interno cercando qualcos’altro, io gli carezzo la schiena pelosa, assaporando la mia vittoria, mentre le stelle si spengono pian piano e il mondo si fa sempre più buio.
“Guarda pa…pà a…ve…vo ragione io… non son…o una buff…ona. Esi..ste… il chupa…cabra esi…”

Il giornale

Notizia arrivata poche ore fa. Questa mattina, alle 6,30 circa, due anziani turisti tedeschi Helmet e Vera Duschist, usciti per fare una tonificante passeggiata nel meraviglioso bosco alle pendici del Monte Bianco, sono incappati in un cadavere di donna orribilmente mutilato, si pensa ad opera di un branco di lupi selvaggi.
Tuttavia, le persone del luogo, credono si tratti di tutt’altra cosa, qualcosa che abbia più le sembianze di una creatura orribile che quelle di un lupo.
Sembra infatti, che diverso bestiame dei contadini della zona abbiano già subito l’attacco del cosiddetto ‘branco di lupi’, branco che ha lasciato dietro a sé, una lunga scia fatta di bestie orribilmente squartate e dissanguate, proprio come il cadavere di donna ritrovato dai Duschist.
Ma aldilà del tetro ritrovamento, una cosa ha lasciato esterrefatti i Duschist prima e la polizia poi, il sorriso sul volto della donna.
Un sorriso quieto, sereno, il sorriso di chi finalmente ha trovato ciò che stava da sempre cercando.

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  1. Nicola A. Faella
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    Molto coinvolgente e rende molto l’atmosfera. Forse avrei preferito che avessi descritto di più le caratteristiche fisiche o magari comportamentali della creatura e un po’ meno l’ambientazione e sulla situazione in cui si trovava la protagonista. Il finale è un tocco di classe, non mi aspettavo si chiudesse così, tragico quanto affascinante!

    6 anni fa

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