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L’anima di legno

L’anima di legno

89047 Roccella Ionica (RC)
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L’anima di legno

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I luoghi lontani dalle città, i piccoli centri, dove la natura ha un ruolo predominante sono quelli che invitano a soffermarsi su particolari che nel caos delle città si mimetizzano sotto la coltre dell’anonimato. E’ come se tutto diventasse visibile a un occhio che, tristemente abituato a guardare con leggerezza e superficialità avesse perduto, insieme alla capacità tridimensionale quella di lasciarsi incantare dalla dimensione della profondità e rimanerne catturato e affascinato. Quella profondità seduce, invita ad essere esplorata, perché dentro nasconde storie, rumori, narrazioni il cui intreccio attende di essere svelato. Stimola l’immaginazione, ma soprattutto la curiosità di fermarsi ed entrare in relazione stretta con la realtà. Anche il tempo non si sottrae alla magia della profondità e le sue lancette non fanno rumore, diventano silenziose di fronte al fruscio del vento, al fragore delle onde, alle parole che si trasformano in preghiere, litanie, canti; nei discorsi rumorosi degli uomini che fanno capannello agli angoli delle strade, nei commenti delle donne che si affacciano al balcone per assistere al passaggio di una processione, di un funerale o di un corteo nuziale. L’occhio cittadino, distratto e superficiale, orientato, nell’esplorazione, a salvaguardare il suo egoismo, cede il passo all’occhio delle emozioni e ad esse si affida per uscire dall’isolamento e catturare il mondo. Il mondo sta nella bocca sdentata di Maria, che non rinuncia a manifestare la sua ingenua gioa di vivere in un sorriso sempre uguale in qualsiasi circostanza. Passa il tempo a pulire la casa, a dare la cera ai pavimenti, a spolverare e lucidare oggetti, pareti, mobili come se non lo facesse da mesi. E, invece, l’ha fatto appena il giorno prima, anzi qualche ora prima visto che si sveglia prestissimo, per accudire il marito, prima che vada in campagna, dove hanno un piccolo orto che d’estate aiuta anche lei a coltivare. Da quando le ho chiesto un po’ di verdura buona per i miei nipoti, mi inonda di zucchine, di talli, di fagiolini e melanzane. Mi lascia le buste fuori alla porta oppure spia al balcone il mio ritorno dal mare e dopo qualche minuto bussa, per farmi l’elenco dei prodotti che il marito ha raccolto nella giornata. A parlare è sempre lei, mentre il marito, impassibile, assiste alla trattativa. A differenza della moglie non gli mancano i denti, ma non ride mai, a stento saluta, a denti stretti sussurra alla moglie quanto devo pagare. Uno così in città neanche lo guarderei e, invece, in questo luogo ristretto dove il mare d’ inverno arriva alle case, un tempo dei pescatori, quest’ uomo diventa visibile all’occhio che si abbandona alle emozioni e va oltre le apparenze per immergersi nella dimensione della profondità’. Lì c’ è Maria che sorride felice al suo uomo, felice anche lui, perché Maria gli riempie la vita con l ‘ingenua allegria di chi si accontenta di quello che ha. Riesce anche ad essere vanitosa, nonostante quel varco nella bocca le deturpi il volto e a darsi un’aria civettuola con il jeans a vita bassa che le dà un che di ragazzina. In questo luogo di mare, in questo paese del sud che d’estate si riempie di emigrati desiderosi di fare il pieno di affetti, di turisti alla ricerca di una vacanza non dispendiosa, il tempo viene scandito dalle funzioni religiose, dalla raccolta degli agrumi e dei pomodori, dalla pesca e dalle mareggiate che si abbattono su tutto il litorale; alzano cumuli di sabbia e sassi, rinnovando antiche paure e drammi di barche travolte dalla furia del mare che arriva alle case trascinato dal vento che lo asseconda nell’affermare il suo diritto ad essere protagonista indiscusso della scena. Storie e paesaggio rimandano a quelli descritti da Verga; personaggi, come Maria, potrebbero appartenere alla famiglia dei Malavoglia, perché per alcuni aspetti sembra che il procedere del tempo sia ostacolato da una forza pari a quella del vento di ponente che in estate trasforma il mare in una piscina, mentre la corrente trascina al largo palloni e lettini, bottiglie di plastica e bicchieri di carta. Saltellano sul mare increspato e in un attimo scompaiono dietro un ‘ onda che si perde all’orizzonte. Così ondeggiano i miei pensieri, che pescano ricordi, si nutrono di immagini, si ancorano ai paletti della coscienza per non lasciarsi trasportare dalla corrente e perdersi tra le onde dell’oblio, tra i flutti dell ‘indifferenza. Si ostacolano, si intrecciano, entrano in conflitto, avanzano disordinatamente per poi decidere di mettersi in fila come in una processione e seguirne la scia, così come ho realmente fatto, quando ne ho incrociata una , voltando l’angolo della strada con l’intento di andare verso il mare, per smaltire chissà quale ansia accumulata durante la giornata. I miei pensieri si sono allineati, il mio corpo si è sintonizzato con il passo dei devoti del santo, la cui statua, portata a spalla da uomini e donne, ha iniziato ad avanzare nelle strade, sotto l’applauso e le grida di gioia dei fedele affacciati ai balconi, addobbati con coperte dai colori vivaci. Di tanto in tanto il flusso veniva interrotto dall’esplosione di fuochi d’artificio e dagli atti di devozione di gente inferma, scesa per le strade per invocare una grazia. Dietro S. Francesco di Paola, affettuosamente chiamato Franceshiello dai suoi devoti, ho cercato il senso di quella coincidenza e l ‘ho trovato nell’immergermi lentamente nella profondità di quel flusso di uomini, donne, bambini che, mossi dalla fede, procedevano compatti, uniti come un unico corpo, verso la chiesa. Maria, affacciata al balcone, ha continuato a sorridere, ma stamattina mi ha detto, nel suo dialetto arcaico, che i fuochi d ‘artificio fatti esplodere sotto il suo balcone le avevano sporcato i vetri e il pavimento ed era stata costretta a pulire tutto. Ho osservato, a quel punto, il mio balcone più esposto del suo ai botti della sera prima, ma non ne ho trovato nessuna traccia. Allora ho capito che nel suo sistema di vita san Francesco non può oltrepassare certi limiti, soprattutto quelli dettati dall’essere regina in uno spazio che non può essere inquinato dalle scorie di una processione che, quando diventa troppo rumorosa ed esplosiva, rompe l’ordine della sua casa di bambola con la bocca sconquassata, nonostante la giovane età ‘. Per ricordarmi che è sempre disposta a procurarmi la verdura anche l’estate prossima, mi ha furtivamente lasciato alla porta una busta di fave, grosse come prugne a mo’ di promessa, di patto sottoscritto con un dono della terra.
 

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  1. david torrance
    Originalità

    Coinvolgimento

    Stile

    Bel racconto, hai descritto perfettamente il cambiamento che i luoghi provocano nelle persone.
    Peccato che tu non abbia messo una bella immagine di copertina di un luogo fantastico.
    Saluti.

    7 anni fa

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