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Le vie di Marettimo

Le vie di Marettimo

Marettimo (Trapani)
Luoghi e Paesaggi Racconti
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Le vie di Marettimo

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PREMESSA
Questo scritto si basa su ricordi miei e sulle memorie di alcuni anziani del paese.Ho cercato di validare questi dati documentandoli con una ricerca bibliografica e consultando alcune mappe catastali e atti notarili in possesso della mia famiglia.

Mettere insieme queste notizie e divulgarle mi è sembrato una valida pensata per non far cadere nel dimenticatoio l’identità di un’isola, Marettimo, e per mantenere viva la memoria di un villaggio, San Simone, che è ormai scomparso.

1- Dov’è che il mare si incontra con le vie del paese.

Quando ero ragazzo, arrivavo nell’isola all’inizio della stagione estiva e mi sembrava di iniziare a percorrere le vie di Marettimo nel momento stesso in cui sbarcavo dalla nave, allora era la Nuova Egadi, che assicurava i collegamenti con la terraferma. Era in quel tratto di mare davanti lo scalo vecchio, ” u vario du vapure”, un tempo segnalato da un’enorme boa, che la nave con grande fragore di catene affondava le ancore.

L’approccio iniziava con il trasbordo sulla piccola imbarcazione del Sig. Duran, la paranza, che veniva incontro alla nave alla fonda affiancandola e strusciandosi ad essa quasi amorevolmente in tempo di bonaccia, con impeto passionale quando c’era maltempo. I passeggeri venivano accolti dagli uomini dell’equipaggio della paranza e traghettati a terra insieme ai bagagli.

Alla radice del molo nella sua secolare cappella San Francesco di Paola, u santu patre, assisteva a quegli arrivi ed alle conseguenti partenze (11).

Il primo pensiero di mia nonna era di andar a fare visita ad una sorella di mio nonno, la zia Nitta, per cui percorrevamo un breve tratto della via Campi che sale verso tramontana e ci fermavamo in quella casa anche per ristorarci dopo la traversata, buona o cattiva che fosse stata, con caffè e biscottini.

Il profumo di pane appena sfornato che veniva dal forno di Peppe Campo situato in uno degli isolati vicini ci faceva dimenticare i malesseri della navigazione e ci ricordava che era quasi l’ora di pranzo. La sosta era breve e ben presto si riprendeva il cammino verso lo Scalo nuovo.

Percorrendo la via G. Pepe, la via Vitt. Emanuele e la via Gaetano Maiorana giungevamo nella via Pietro Tedesco e poi imboccando un sentiero che iniziava dalla via Salvatore Daria, ove attualmente c’è una scalinata, attraversavamo un’area incolta che era una sorta di scorciatoia per arrivare a casa.

Ad accoglierci si era radunato un buon numero di parenti e vicini, quasi che tornassimo dall’America. Non potrò mai dimenticare i visi sorridenti degli zii di mia madre, la zia Rosa, u zu Asparu, e i vicini: la zia Cristina, Anita e Masino Noto, Bertina con i suoi figli ogni anno sempre più numerosi.

Ma io, appena esaurita la fase dei saluti, mi precipitavo fuori per le strade, ancora sterrate, smanioso di controllare che niente e nessuno avesse cambiato la fisionomia del paese da cui ero assente da un anno.

Svoltato l’angolo di via Scaduto mi inoltravo per la via Gavino Campo e superato l’incrocio con via Alberto Poliseri cominciavo a scorgere il mare oltre il muraglione di pietra, l’ “orro”, non esistevano ancora le panchine, e da lì il mio sguardo vagava appagato lungo la spiaggia, la “Praia”, dallo scoglio du Signure fino alla grotta del Capitano.

Ancora una volta u zio Asparu mi aveva fatto trovare, tirata a secco sulla spiaggia, il piccolo gozzo “la Marinella” ,tutta pitturata di fresco e pronta per il varo. Questa lancia bianca e azzurra era stato un regalo di mio nonno che ci aveva lasciato troppo presto ed u zu Asparu in qualche modo cercava di non farmene sentire la mancanza.

Lungo le scogliere protese verso Basano gli occhi percorrevano la strada che prolungando la via Telegrafo oltre le case popolari conduceva con un percorso sinuoso ed irregolare tra un muretto di pietre ed un margine stradale ricoperto dall’erba ormai secca,sino al Cimitero, quello nuovo, detto dei “Calacciuni”. Ed eccole là come sempre: la Crucidda, l’aia, la Cappella del Rotolo e le spiaggette, i rutte e u sdirrupato.

Per fortuna niente ancora era cambiato! Allora.

Scendevo poi verso lo scalo nuovo, nella piazzetta dove ancora sopravviveva la fontanella; sul piccolo molo, dominato da un fanale verde, dove erano ormeggiate le variopinte barche dei pescatori che sembravano dondolarsi al ritmo delle onde, osservate con invidia da quelle che erano tirate a secco nello scalo adiacente. Sulla banchina le pozzanghere e le alghe portate lì da una recente mareggiata testimoniavano la precarietà sempre attuale di quell’approdo esposto all’ira dello scirocco. Era un tripudio di colori e l’odore salmastro dell’aria penetrava ogni cosa.

E dopo aver dato, in piazza Municipio, uno sguardo al bar di Ciccino e all’attigua rivendita “sali e tabacchi” ritornavo verso casa per la via Gaetano Maiorana: passavo davanti all’emporio di Diego Sercia e al negozietto di Vicenzina maruzza, costeggiavo la Chiusa, dove per molti anni fecero mostra di sé i rottami di una Jeep abbandonata e poi percorrendo la via Carlo Cavasino mi ritrovavo di fronte alla casa avita, che ancora oggi mi ospita durante i miei soggiorni sull’isola, la dove la via Salvatore Noto confluisce con la via Paolo Scaduto per formare la piazzetta dei Caduti.

 

2- Come si popolò Marettimo

E’ in quella piazzetta che direttamente o indirettamente confluiscono le strade da me citate e che sono state intitolate ai marettimari caduti nella Grande Guerra. Questa circostanza non è casuale ma testimonia il fatto che fino alla prima guerra mondiale le vie di questa zona quantunque tracciate non avevano nome. Un’eccezione è la via Maiorana che esisteva prima della guerra e si chiamava via Pozzo. Un’altra via, non menzionata ma intitolata ad un caduto è la via Mauro Tedesco ultima traversa a dx salendo per la via Paolo Scaduto.Un’altra evenienza quantomeno curiosa è che nelle succitate vie abitano non poche famiglie che hanno il nome stesso della strada.

Originariamente e sino agli anni ’20 del novecento le vie erano identificate con toponimi o con nomi collegati a qualche evento significativo o ancora erano indicate come traverse di una strada principale.

In un atto datato 1908 è descritto il passaggio di proprietà (costituzione in dote) dai genitori, Giovanbattista Sardina e Noto Antonina alla figlia Antonia di un edificio “situato in una contrada chiamata San Simone”, confinante da tramontana con strada da definire e da levante con le case di Giuseppe Noto, da ponente con le case di Marseguerra Giovanni e da mezzogiorno con case di Paolo Costanza.

Quando nel 1910 il padre di mia nonna acquistò da un certo Tedesco Francesco il terreno sul quale poi i miei nonni 10 anni dopo avrebbero edificato la loro casa, così questo veniva descritto : “ Lotto di terreno sito in Marettimo e dipendente dalla chiusa di terre denominata Scalo Nuovo, confinante a Nord, a Est ed a Sud con strade ancora da definirsi e a ponente con case di Incaviglia Tommaso e terreno della medesima chiusa.

In un atto del 1924 si descrive la compravendita di un lotto di terreno catastato a nome di Francesco Tedesco, anch’esso dipendente “dalla maggior chiusa di terre denominata scaro nuovo nella contrada omonima, confinante da tramontana con i fratelli Salvatore e Michele Sardina, da levante con Spadaro Francesco, da mezzogiorno con strada da definire e da ponente con Noto Rosario”.

L’impianto urbano di allora non era dissimile da quello descritto nella mappa catastale della fine del 1800: L’ abitato occupava una stretta fascia della pianura costiera compresa tra l’approdo di tramontana, lo Scalo Vecchio e l’approdo di Mezzogiorno, lo Scalo Nuovo. Molte strade erano ancora da tracciare, altre da denominare.

Le chiuse di terre erano di proprietà di quelle famiglie che si erano insediate per prime nell’isola e che originariamente le avevano avute ” a censo ” dai Pallavicino.

Scriveva il viaggiatore inglese William Henry Smith nel 1820 (1): ” La più occidentale delle Egadi è Maritimo, anticamente Hiera. E’ alta, ed ha una circonferenza di circa 7 miglia. Il suo versante occidentale è ripido ed inaccessibile, ma sulla costa orientale ha un aspetto migliore e vi si trova un villaggio o piuttosto diverse case sparse, chiamate San Simone, abitato da 50, 60 persone….”.

La fondazione dell’abitato in quella sede fu pressoché obbligatoria per le prime famiglie che scelsero di insediarsi stabilmente a Marettimo, era l’unico pianoro agevolmente raggiungibile dal mare, con una esposizione favorevole a sud-est, vicino alle sorgenti d’acqua dolce (Testa d’acqua, Pelusa, Ceuso); sino ad allora i pochi che popolavano l’isola erano stati costretti ad adattare a dimora le anfrattuosità che numerose esistevano sulla montagna per meglio nascondersi e sfuggire alle scorrerie dei corsari turchi e barbareschi; “non può securamente passar vascello d’amici che ‘l corsale no’lo scuopra” (2).

La guarnigione del castello di Punta Troia aveva scarse possibilità di intervenire per difenderli non avendo né la forza né i mezzi per farlo, d’altra parte la sua funzione era limitata all’avvistamento delle navi in transito ed all’invio di segnalazioni al castello di Favignana . A questo servizio si aggiungeva la difesa dei due approdi adiacenti al promontorio, quello di cala Manione e quello dello scalo Maestro che rappresentavano l’unico legame con la terraferma; lì infatti sostavano, mettendosi alla fonda, le imbarcazioni che trasportavano i rifornimenti di viveri e di munizioni destinate alla popolazione del castello, lì potevano sbarcare i soldati che davano il cambio alla guardia. Rifugio occasionale ma provvidenziale per le barche dei corallari Trapanesi, infatti se minacciate di razzie, potevano ancorarsi nello scalo sotto la protezione dei soldati del Castello.

I Pallavicino avevano acquistato dalla corte spagnola con atti del 16 dicembre 1637 e del febbraio 1640 le isole Egadi e poco dopo il procuratore Giacomo Brignone ottenne dal Sovrano la ” licenza populandi ” : – “che le Egadi venissero popolate e messe a coltura”- e di poter dare a censo terreni delle Egadi e che per tal censo si avesse a pagare a ragione di tarì uno per canna o meno, con intento et licenza del Tribunale del Real Patrimonio per far case et per fare vigna e giardini a ragione di unza una la salmata da cordiarsi con corda che solino cordiarsi le terri che si donano a seminare”( 3).

Mentre a Marettimo soltanto il Castello risultava abitato ed ospitava nel 1640 una piccola guarnigione(4), si iniziava ad attuare il ripopolamento dell’isola di Favignana.

Il trasferimento dei nuclei familiari fu abbastanza lento perché erano particolarmente dure le condizioni di vita nell’isola e numerosi gli ostacoli che si frapponevano all’insediamento stabile. Dopo più di 150 anni dall’inizio della colonizzazione, la raccolta di “riveli” favignanesi dell’anno 1815 permette di delineare abbastanza bene il quadro di riferimento sociale: si tratta di 151 dichiaranti’• che, a seguito di rettifica effettuata l’anno successivo, diventarono 153, incluso tra questi don Girolamo Biaggini (rivelo n. 1 ), sottoscrivente quale amministratore dei Pallavicini. Dalla dichiarazione del principale contribuente delle Egadi si rileva che i debitori dei Pallavicini per “cenzi urbani” (cioè per case, case con giardino. botteghe, grotte per case, casa e perriera) erano 172 e quelli per “cenzi di terre” erano 142. La stragrande maggioranza dei “rivelanti” disponeva, quindi, di più cespiti, casa con terra o casa con giardino ed alcuni di loro anche di più “rustici” (fabbricati rurali) (5).

Marettimo restò a lungo esclusa da questa ondata di rinnovamento per la sua posizione defilata che ancora la esponeva alle scorrerie dei pirati barbareschi. Era frequentata soltanto dai legnaioli che periodicamente vi andavano per rifornirsi di legna da vendere nelle città di levante. L’importanza di quell’attività è testimoniata dall’esistenza di numerose località dislocate lungo la costa dette “carricaturi” ( u carricaturi da ficara, u carricaturi du libanu,u carricaturi di funtaneddi, u carricaturi du spalmaturi, u carricaturi di cala niura, u caricaturi autu, u carricaturi di basanu) (12). Qui la legna veniva imbarcata dopo essere stata tagliata ed ammassata dai fittavoli che utilizzavano i terreni a questo scopo.

Fino alla fine del XVIII sec. i pochi abitanti che si erano stabiliti nell’ l’isola, o per libera scelta o perchè fuggiaschi dal loro paese, continuavano a trovare rifugio nelle grotte, adattandosi a coltivare pochi appezzamenti di terreno difficilmente raggiungibili dal mare. Ne rimane il ricordo in una grande grotta detta “di Crispino” in un’altra detta di “Vanni Carriglio”, nei cosidetti “Giardini di Bonagia” situati nella parte settentrionale dell’isola e nei “Jardinedda” posti nella parte sud-occidentale. Dal folto della boscaglia potevano con successo sorprendere le bande armate dei pirati che tentavano di razziare l’isola per rifornirsi di schiavi o semplicemente per rifornirsi di acqua potabile.

Abitare vicino al mare era ritenuto altamente rischioso; ancora nel 1820 le barche che portavano i rifornimenti al Castello venivano attaccate dai corsari.( 6).

Il graduale affievolirsi di questa minaccia effetto sia dei trattati di pace firmati dal Bey di Tunisi e dal Regno delle Due Sicilie nel1833 sia dell’occupazione dell’Algeria da parte della Francia, convinse i Pallavicino ad incentivare il ripopolamento: “a popolare e mettere a coltura” anche le terre dell’isola di Marettimo che fino ad allora erano state sfruttate soprattutto per procurarsi la legna e l’acqua potabile.

In questa colonizzazione vennero coinvolti prevalentemente i militari del presidio di Punta Troia e le giovani coppie di Favignana a cui venivano concessi a condizioni molto favorevoli “cenzi urbani e cenzi di terre”.

Il centro urbano, inizialmente composto da poche case sparse circondate dai poderi, cominciò così a prendere forma ai piedi della montagna, tra i due scali che rappresentavano un sicuro punto d’accesso al mondo esterno essendo uno a ridosso dei venti del II e III quadrante e l’altro a ridosso dei venti del IV e I quadrante.

Quasi a confermare il ruolo dominante degli approdi sulla vita degli abitanti vediamo l’impianto viario svilupparsi parallelamente alla linea costiera dall’uno all’altro degli scali riunendoli in un’unica struttura funzionale imperniata sullo slargo destinato a diventare la piazza del paese ed ad ospitare dal 1874 la Chiesa parrocchiale.

Gli avvenimenti politici dei primi decenni del XIX sec. e le epidemie di colera che colpirono anche la Sicilia in quegli anni costrinsero numerose famiglie dei paesi rivieraschi del Palermitano (Capaci, Isola delle femmine, Santa Flavia, Porticello) a fuggire ed alcune giunsero anche a Marettimo contribuendo in modo significativo ad aumentare la popolazione dell’isola. Sembra probabile anche un flusso migratorio da Ustica nel contesto di una migrazione interisole che avrebbe interessato anche le Pelagie; infatti alcune caratteristiche fonetiche del dialetto marettimaro richiamano la parlata delle isole Eolie avvalorando l’ipotesi di una migrazione di famiglie usticensi la cui origine è da ricondursi alla colonizzazione ed al ripopolamento di Ustica da parte degli abitanti delle Eolie voluta da re Ferdinando nella seconda metà del XVIII sec. (7)

Il villaggio si arricchì di altri fabbricati per lo più ad un piano: quelli più prossimi al mare erano destinati al ricovero delle attrezzature della pesca o alla salagione del pesce. Erano i “malaseni” o le “baracche” disposti lungo la riva del mare per rendere più agevole il loro uso ma anche perché proteggevano in qualche modo le case che venivano edificate nelle loro adiacenze sul lato più a monte seguendo un tracciato parallelo. Non essendoci muraglioni di protezione la furia del vento e la forza del mare si accanivano su quelle mura costruite in un primo tempo utilizzando le pietre ottenute dal dissodamento dei terreni e poi con il tufo prelevato dalle cave di Favignana; le case addossate ai malaseni erano meno esposte alle intemperie, all’umidità e alla salsedine e si rivelavano più confortevoli e meno deteriorabili. In tutte le abitazioni dell’isola caratteristica comune era la copertura a terrazzo, il ” làstrico “.

Dal terrazzo, impermeabilizzato con latte di calce misto a sabbia, attraverso una leggera pendenza, l’acqua piovana defluiva verso i canali le “cannalate” che alimentano la cisterna, posta sotto il piano di calpestio del cortile.

Case, di pianta rettangolare, dai muri bianchi perché intonacati con la calce secondo uno stile mediterraneo abbastanza diffuso, talvolta sul fondo bianco risaltava il contorno delle finestre e delle porte evidenziato da una fascia di colore rosso mattone. Ad abitarle era solitamente un unico nucleo familiare anche se talvolta c’era la necessità di ospitare i figli sposati.

La vita si svolgeva in un vano unico, anche se di grandi dimensioni, che comunicava con un ampio cortile o con un giardino; in seguito con il migliorare della situazione ambientale e con l’ottimizzazione delle risorse si potè pensare di costruire unità abitative anche di tre vani comunicanti: la sala che fungeva da ingresso principale ed aveva funzioni di “rappresentanza”, ” la cammera”, camera da letto di tutta la famiglia, con funzioni anche di magazzino, e una grande cucina, comunicante con il cortile, in cui dominavano il forno a legna ed il pozzo che forniva acqua per lo più salmastra, mentre l’acqua potabile era attinta alle sorgenti.

Il cortile,”u curtigghiu”, soprattutto per le case monovano, rappresentava uno spazio essenziale dove si svolgeva, nella buona stagione, la vita di tutta la famiglia.

Così è descritta Marettimo da Domenico Mario Morina nel suo romanzo autobiografico “Argonauti di via Telegrafo”(8) con le parole del protagonista “Micu” dopo l’arrivo nell’isola nel 1890:

-…Ma Hiera, l’isola nella quale era sbarcato si presentava ai suoi occhi come un vero Eden. Tutto sapeva di paradisiaco, l’abbondanza della pesca, il lungo filare dei profumatissimi frutteti, i campi di biondo grano maturo ondeggianti nella brezza, e il dolcissimo fico e il canto polifonico degli uccelli….-.

 

3- I Cortili del villaggio di San Simone

Dall’esame della mappa catastale di fine ‘800 si può notare come ancora numerosi gruppi di unità abitative siano disposti attorno ad ampi cortili che sboccano sull’asse viario principale come se fossero dei vicoli ciechi.

E’ possibile identificarne almeno 5: Il cortile Noto che si apriva sulla via Progresso, attuale via Maria SS. delle Grazie; il cortile Sercia che comunicava con la via Telegrafo; il cortile Guerra ed il cortile Pironi ( ? ) in via Umberto. Il quinto, senza nome, si apre sulla piazza Municipio. Anche altre vie hanno il nome di famiglie marettimare, la via Cocco e la via Arancio e la via Campi che potrebbero essere residui di preesistenti cortili. Sembra quasi che le case addossate le une alle altre, separate da anguste e poche vie, formino attorno agli abitanti un sistema difensivo contro le insidie provenienti dal mare. In questo contesto gli spazi esterni prevalgono su quelli interni.

E’ il cortile l’elemento principale della casa, concepito come spazio polifunzionale. Questa disposizione della casa era importante per la vita sociale dei componenti della famiglia. Potevano convivere le varie generazioni. Il padre ed i nonni erano in continuo contatto con i figli ed i nipoti, trascorrendo insieme il tempo libero, raccontando le esperienze vissute ( i cunti ) per tramandare le tradizioni, gli usi ed i costumi dell’epoca.

” Questa tendenza ad uno sviluppo culturale locale, basato su stretti legami sociali tra i componenti della comunità, ha evitato per lungo tempo che intervenissero fattori di disgregazione sociale e, di conseguenza, che avvenisse una rapida trasformazione dei valori culturali. Ciò ha favorito la sopravvivenza di comportamenti sperimentati nel tempo e trasmessi oralmente di generazione in generazione, di un sistema di norme e consuetudini che riguarda anche la cultura urbanistica la quale, restia ad adeguarsi a tentativi di modifica provenienti dall’esterno, si è viceversa sempre adeguata alle esigenze della comunità.…” (9).

Anche Braudel sottolinea come le città mediterranee, da quelle più grandi al borgo più modesto, siano una proiezione spaziale dei rapporti sociali, in cui la vita è organizzata in funzione del gruppo.

Nell’ambito del tessuto connettivo di molte realtà urbane, infatti, fondamentale importanza rivestono il cortile e gli spazi collettivi, verso cui spesso si affacciano le abitazioni e in cui si svolge la vita di relazione e la condivisione di molte delle mansioni domestiche. Ciò è giustificato dal fatto che nelle zone caratterizzate da clima caldo/secco, per buona parte dell’anno, la maggior parte dell’esistenza si conduce all’aperto. Questo contribuisce a consolidare i rapporti e la solidarietà nel vicinato ( 10).

E’ verosimile supporre che la casa con il cortile sia l’evoluzione di un edificio unifamiliare che viene ampliato e diventa “plurifamiliare”; nascono accanto alla dimora primaria una o più dimore secondarie per la divisione del nucleo familiare originario. Il figlio maschio sposandosi trovava sistemazione in una nuova casa che poteva essere costruita nelle adiacenze di quella paterna, all’interno del cortile o utilizzando una parte del giardino o del podere.

Si realizzava uno spazio delimitato dalle abitazioni di famiglie aventi la stessa origine, quasi a formare un clan, un casato, da cui prendeva nome il cortile.

Tutta la piana denominata contrada San Simone, dal nome di quell’angusto triangolo di costa proteso verso il mare era, a quell’epoca di fine ‘800, occupata dall’abitato percorso dagli assi viari paralleli alla costa: Via Umberto – via Municipio, via Progresso, via Scalo nuovo, via Campi e da alcune vie secondarie ortogonali: via Custonaci, via Chiesa,via Arancio, via Cocco, via Scalo di mezzo, via Zagarella, e su un piano più a monte via Pozzo e via Canalello. La via che iniziando da Piazza Municipio, slargo interposto tra la via omonima e lo scalo nuovo, costeggiava il mare verso sud dopo il 1897 sarebbe stata chiamata via Telegrafo perché in una delle case lì ubicate Domenico Morina aveva installato il primo Ufficio Telegrafico. Così ce la descrive lui stesso: “Era l’ultima costruzione posta alla fine della strada che allungava il muro a picco sulla spiaggetta della cala dello scoglio santo dirimpettaio allo scalo nuovo” (8).

L’abitato aveva come limite occidentale una vasta area estesa ai piedi del rilievo detto del Calvario su cui sorgeva il Cimitero omonimo. Ad esso si accedeva percorrendo un’ erta strada, la via Calvario che congiungeva la via Telegrafo con la via G. Pepe attraversando la contrada Pelosa in cui sgorgava una fresca sorgente d’acqua potabile. Alle pendici dell’altura c’era il tracciato della via Chiesella. In quell’area si sarebbero sviluppati gli assi viari di via Mazzini e successivamente di Via Chiusa e via Vitt. Emanuele. Queste erano le direttrici di espansione dell’abitato: scostandosi dalla linea costiera interrotta dallo scalo vecchio, dallo scalo nuovo, dallo scalo di mezzo e dal dimenticato scalo Aliotti o scalo Nanno, si sarebbe ampliato gradualmente, superando l’asse viario centrale comprendente il Municipio e la Chiesa, inglobando i terreni delle serre situate alle pendici del monte.

A ricordo della configurazione di quei terreni è rimasto, compreso tra la via Chiesella e la via Vitt. Emanuele, un appezzamento conosciuto come “La Chiusa” assediato dal lato di via Maiorana dall’edificio dell’ex Asilo e dal lato di via G. Pepe da quello della scuola. Quest’area utilizzata dalle famiglie dei pescatori che ne erano proprietari (Marseguerra, Aliotti, Manuguerra, Spadaro, Torrente, Sercia, Maiorana, Tedesco) per la manutenzione delle reti è stata parzialmente espropriata sin dal 1950 per la costruzione degli edifici succitati.

 

4- Lo Scalo Nanno

A proposito di questo scalo, travolto intorno al 1970 dalle opere di rifacimento dello Scalo Nuovo, non posso fare a meno di citare quanto mi raccontavano gli anziani, parlo di uomini che negli anni 60 avevano già superato i 90 anni di età.

Mi dicevano che era lo scalo più antico, utilizzato ancora prima della formazione del paese dai salatori di sarde a servizio dei Pallavicino che si recavano lì per salare il pesce in alcune baracche edificate per quello scopo nel piano della punta San Simone. Si racconta che poi venne dato “a censo” ad un certo Aliotti di Porticello insieme ad un appezzamento di terreno antistante dove Aliotti edificò la sua casa. Era una piccola insenatura quasi nascosta perchè incuneata tra due scogliere naturali; racchiudeva una piccola spiaggia dove potevano essere tirate a secco non più di una decina di barche e corrispondeva pressappoco all’attuale piazzale Monterey.

 

5- Epilogo

Ma i nonni nei loro cunti, al di là delle vicende di mare, parlavano ancora soltanto di chiuse, di contrade e di serre, di sorgenti, di grotte e di pagghiari : della vita trascorsa in quella terra e della vita dedicata a quel mare. Godevano un tempo della disponibilità dei cortili e dei malaseni, spazi chiusi, dove si consentiva alle menti dei più giovani di aprirsi alle storie ed alle esperienze irripetibili di chi le aveva vissuto in prima persona.
Oggi li vediamo runirsi all’aperto sugli scaloni, agli angoli delle vie dove la frescura marina mitiga la canicola della stagione estiva.
Ma quando questa volge al termine ed i venti invernali cominciano ad affacciarsi sullo scenario le vie si svuotano, l’isola si svuota.
Non c’è più tempo per i cunti; altri sono i richiami che irrompono prepotentemente negli spazi della mente e nei recessi del cuore.

 

BIBLIOGRAFIA
1-W.H. Smith, “La Sicilia e le sue isole” , Palermo1989 in rist.
2-Dal manoscritto di C. Camiliani, Descrizione della Sicilia, in M. Scarlata, L’opera di Camillo Comi/ioni, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma, 1993.
3-R. Giuffrida, I Pallavicino e le isole Egadi in La Fardelliana, 1982.
4-F. Maurici, Le Egadi dalla tarda antichità, agli inizi dell’età moderna:storia ed archeologia. La Fardelliana, 1999.
5-Riveli di beni e di anime di Favignana, Arch.St. Palermo.
6-G. Lipari, Frammenti per la Storia dell’isola di Marettimo,Il giornale delle Egadi. Febbraio 2002.
7-Giovanni Ruffino, Studi linguistici e filologici offerti a Girolamo Caracausi. Collana: Supplementi al “Bollettino” Anno: 1992.)
8-Domenico Maria Morina, Argonauti di Via Telegrafo, a cura dell’ Associazione C.S.R.T. Marettimo, 2002 .
9-Lorena Musotto, “Insediamenti sostenibili della tradizione mediterranea”, Il recupero dei saperi e delle conoscenze locali nei processi di pianificazione e progettazione contemporanea. UNINA, Dott.Ric. coord. Prof. R.Scarano, 2010.
10-F.Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Einaudi Torino 1994.
11-Giuseppe Vetri, racc. “Il viaggio” in Marettimo, racconti di ogni tempo, 2012
12-Da “Il giornale delle Egadi”, Associazione C.S.R.T. Marettimo, Dicembre 2004

 

Immagine:

By jim from Lausanne, Switzerland (Marettimo) [CC BY-SA 2.0 (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0)], via Wikimedia Commons


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