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Volti di pescatori

Volti di pescatori

Spianata Padre Cristino da Oneglia
18100 Imperia
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Volti di pescatori

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Imperia è una città di mare, un mare bello nella sua tavolozza di gradazioni d’azzurro.
Un mare variopinto quando il sole ci si tuffa, nei suoi meravigliosi tramonti.
Un mare ricco di gente l’estate nella ricerca di un refrigerio alla calura, che si protrae a lungo.
Un mare che da sempre è fonte di vita e di lavoro per la città.
La sua banchina, finalmente aperta agli abitanti ed ai turisti, è una passeggiata ampia sul piccolo porto mercantile di Oneglia, pochi yacth dall’aspetto lussuoso e maestoso e poi loro i piccoli, grandi, pescherecci.
Barche consumate dall’uso, dall’aspetto segnato dal gran partire e tornare, cariche di reti, di nasse, di pescato. A bordo loro, gente arsa dal sole, odorante di salsedine, con le mani stanche di tirar su reti, sfilare ami, far cassette per tornare a dormire.
Loro che l’anima del mare ce l’hanno dentro, che l’annusano la notte, quando è nero come la pece, quando è imbizzarrito e scorre le barche per dimostrare di esserne padrone. Loro che ogni notte, mentre noi andiamo a posare la testa sul cuscino, escono per cercare l’oro vivo che sulle tavole ci fa sentire re e regine.
I pescatori.
Uomini sfiancati da ore di traversate, da cale vuote, regole integerrime, uomini che hanno fatto della loro passione una vita intera, dedicata a lui che ne rapisce il cuore. Lasciano la famiglia al calar della notte, scambiando il sole per la luna, ritrovano i figli ogni giorno più grandi mentre la loro vita si dondola sul rullio del mare.
Ad Oneglia, di pescatori ne vedi scendere tanti dai pescherecci all’ora dell’attracco, nel primo pomeriggio, mentre un’ape si avvicina e nell’avvicendarsi del passamano delle cassette, svuota la stiva, si accalcano i curiosi e si espande l’odore del mare.
Li conosco tutti di vista, ormai, li sento chiamare per nome.
Da una barca all’altra, da un passante all’amico. Alcuni sono pescatori da generazioni, lo erano i loro genitori, lo saranno i figli, altri lo sono per necessità di vita, perché tra i tanti lavori hanno scelto questo.
Leggo nei loro occhi le giornate storte, la stanchezza tirata e in quel saluto veloce scorgo la voglia di tornare presto a casa, per riposare e toccare la terra che da certezza, riabbracciando la famiglia in attesa.
Li vedo salire e scendere con destrezza da quelle barche, che immagino estensione stessa della fiducia che si trascinano dietro. Li penso instancabili pirati a solcare mari tutte le notti, qualunque tempo porti, a rischiare per far giornata.
Alcuni li conosco meglio, per nome davvero, conosco le loro storie, le loro stanchezze, i motivi che li spingono a continuare questa vita dura, di cui non possono fare a meno.
“So fare solo questo”, dicono, forse è vero, ma lo sanno fare bene.
Capita infatti di passeggiare la domenica sul molo, e trovarli a cucire la rete, con altri uomini dell’equipaggio perché intanto “non sapevo che fare” e restare incantata mentre, alla velocità del lampo, quel buco sparisce con il passaggio veloce del grosso ago in plastica. Intanto sorride e racconta che “la vita è così”.
C’è chi va per mare per passione, negli anni ha fatto bagaglio di mille esperienze e sa raccontarti preciso come una carta nautica dove si trova la cala migliore, dove il vento quel giorno lo ha portato lontano, quante cassette ha riempito festeggiando la sorte, quanto sa essere estremo il mare se ti vuole lasciare a riva. Ti racconta come la paura non lo lasci mai, perché gli attrezzi sono pericolosi, ogni manovra lo è, ogni svista può far cadere a bagno ed ogni viaggio racchiude minacciosi imprevisti.
Perché questi uomini, con il mare negli occhi, sulla pelle, nelle mani, che trascinano a volte stanchi le gambe per strada hanno imparato a rapportarsi con il loro capo con il rispetto dovuto ad un maestro. Lo osservano e temono, lo ammirano e sfidano, lo solcano e depredano.
Le loro vacanze sono le giornate di brutto tempo, quelle che a noi a terra rovinano il pomeriggio di libero e spesso ci viene da chiedere perché esistano.
Senza di loro la banchina di Oneglia non sarebbe quel bizzarro appuntamento che gabbiani e curiosi si danno nel primo pomeriggio per vedere i frutti della giornata.
Non esisterebbe quel rito bellissimo dell’attesa del loro arrivo, la lenta traversata nel porto per attraccare al proprio posto, mentre senti indovinare dai più esperti il nome della barca ancora lontana. E si rinfresca l’aria durante quell’attesa, i gabbiani che sorvolano impazienti, decisi a rubare il pesce in bella vista, i pescatori ancora intenti a sistemare la barca, l’uomo sulla poppa pronto ad aiutare a far manovra con la corda in mano. Sulla banchina si agitano i curiosi, già impazienti di vedere e conteggiare il pescato, armeggiano gli amici per legare alla bitta la cima e nel giro di un attimo si colora di voci, richiami, saluti. E’ il rito del rientro chiassoso, lussureggiante, festoso, che rende onore a quelle ore di vagabondare per mare in cerca della giornata di lavoro.
Il rito opposto è quello invece più silenzioso e passa quasi inosservato.
C’è chi parte prima della mezzanotte, chi a notte inoltrata, chi aspetta di avere il tempo a favore …
Solo se li aspetti fino a quell’ora puoi considerarli uomini coraggiosi.
A te gli occhi si chiudono, la stanchezza ti richiama al letto, mentre li vedi salire sicuri sui loro pescherecci caricati di ghiaccio per tenere fresco il pesce, ingraziarsi la traversata con l’attrezzatura pronta, gli ultimi controlli di prassi e prendere lentamente il largo.
E’ uno spettacolo d’altri tempi l’estate, mentre ancora passeggi gustandoti il fresco della serata, ma diventa un’impervia avventura l’inverno quando il vento ti sposta violento, scorgi le nuvole furiose nel cielo ed immagini il forte rullio a cui dedicheranno le prossime dodici, quindici ore.
Eppure notte dopo notte loro affrontano il mare per “fare giornata”, impavidi, abituati, sereni, pensierosi, qualunque sia la stagione segnata sul calendario.
Ed ogni giorno ritornano con un po’ di mare nel cuore, di sale nei capelli, di sole sul viso.

 


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