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Carsismo

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Contrada Pulo
70056 Molfetta (BA)
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Carsismo

Racconto di Mariantranslature
Copertina: Foto di Saverio Penato

Pulo di Molfetta, Molfetta (BA)

Arrivo a destinazione dopo aver fiancheggiato un fila di muretti a secco lungo il perimetro di una stradina di campagna, non troppo distante dal cuore della città.
Parcheggio l’auto nello spiazzale davanti al cancello dei servizi igienici, serrato dallo stesso robusto lucchetto che ricordo esser sempre stato lì, però ora è ancora più arrugginito. Un po’ più in là le grate sono state forzatamente allargate, un inspiegabile atto di forza, ma non abbastanza da permettere l’accesso neppure ad un bambino.
Spengo il motore e scendo rapidamente dall’auto, come se ci fosse qualcuno ad aspettarmi. Non c’è nessuno.
Finalmente davanti ai miei occhi si ridisegna la dolina, il simbolo quasi dimenticato di questa città, dove da millenni l’acqua corrode senza sosta il suolo calcareo, tanto da averlo fatto sprofondare nel punto in cui ora mi trovo. La dolina è una voragine naturale a cielo aperto. In questo posto la preistoria si incontra con la storia, si intrecciano indistricabilmente le edere, gli ulivi raccontano storie secolari e l’albero scuro del carrubo sussurra leggende antichissime che si perdono nell’aria tiepida.

Mentre mi riabituo alla vista di questo posto tanto familiare che non vedo da un po’, noto con la coda dell’occhio un movimento sulla mia destra e dalla curva della strada di campagna sbuca la figura di una donna che cammina verso la mia direzione. Avverto un leggero senso di disagio poiché oggi avrei preferito essere qui da sola a contemplare la vista di questa natura contaminata. La prima cosa che noto è il soprabito azzurro chiaro che l’indesiderata visitatrice indossa, di un modello e di un colore fuori moda. Mi sembra sia molto giovane, benché la camminata e l’avanzare con le mani incrociate dietro la schiena le diano un’aria più matura del dovuto. Dev’essere una di quelle passeggiatrici solitarie in attesa del tramonto, oppure l’abitante di una delle villette private che si trovano oltre la curva della strada e che da qui non si vedono. È settembre e nella campagna si respira ancora meglio che in città; settembre, che per me odora sempre di partenze, di qualche nuovo inizio o fine, della pioggia che raramente cade giù dal cielo nelle giornate del tenue autunno del sud.
Quando la donna mi è ancora lontana di qualche metro le intravedo un sorriso stampato sul volto e, non essendoci nessun altro nei paraggi, deduco che sia indirizzato a me. Il mio senso di disagio aumenta; ricambio debolmente il sorriso e annuisco, forse muovo persino le labbra per accennare appena un sordo saluto, ma solo per buona educazione nei confronti di una sconosciuta.
Dopo qualche secondo mi rendo conto che la donna si è fermata sul mio lato sinistro e il suo soprabito azzurro mi sfiora il braccio. Ora, avendo io il volto abbassato, vedo le sue scarpe beige allineate alle mie e, per quanto sono infangate, mi danno l’impressione che sia appena risalita dopo una camminata lungo il percorso umido e terroso della dolina.

– Bella la vista da qui, vero? – è la sua prima domanda.
– Potrebbe essere ancora più bella se tutto fosse meno trascurato, non si vede più la struttura in pietra bianca della nitriera laggiù.
– Non sapevo ci fosse una ni-trie-ra…
– Sì, un tempo ci producevano polvere da sparo…
– Allora, per fortuna hanno smesso di produrla, altrimenti la polvere, prima o poi, avrebbe fatto saltare tutto in aria in un batter d’occhio!
– Vero…- è l’unica cosa che riesco a dire, annuendo, non volendo contraddire l’appunto fatto dalla donna in un modo che ho trovato curiosamente bambinesco.
Una folata di vento porta il profumo umido del sottobosco, di foglie d’alloro e corteccia bagnata, lo stesso che un tempo si sentiva camminando sul lato nord della pianura, sul fondo della dolina.
– Stai aspettando anche tu qualcuno?
– No, sono di passaggio, volevo…– mi interrompo, perché a questo punto vorrei raccontarle dei miei dialoghi interiori con questo pezzo di spazio e di tempo, ma so che nulla avrebbe senso.
– Passavo di qui per caso – le ribadisco.

– Lei vive da queste parti?- Le chiedo dopo un paio di minuti di imbarazzante silenzio, sentendomi quasi costretta a dire qualcosa dal momento che continua a starmi accanto e non accenna a proseguire per la sua solitaria escursione.
– No, anche io sono di passaggio. Ma qui potrei venirci a vivere se lui volesse. Per ora sono solo in attesa. Aspetto che lui esca da lì. Non posso entrarci senza il suo permesso.
Pronunciando l’ultima parola  incurva il collo per spingere il volto verso il mio, cercando quasi di spostare il mio sguardo nella direzione in cui lei desidera. Mi pervade un odore pungente del rosmarino e di aghi di pino, percepisco persino un leggero punzecchiare sulla guancia sinistra. Non posso far altro che girare la testa e guardare quello che lei vuole mostrarmi, ovvero la struttura massiccia del convento eretto dai monaci cappuccini nel lontano Cinquecento e che si trova ancora qui, sul pianoro che sovrasta la dolina carsica.
– Ci vive qualcuno lì ora?- le domando con una punta di sorpresa.
– Certo, ci vive lui, il convento è di sua proprietà… ora.
Nonostante l’indiscusso valore della proprietà in questione, mi risulta difficile comprendere come qualcuno possa chiamare “casa” un ex-convento imponente e abbandonato. Ad oggi non avevo appreso alcuna notizia circa l’acquisto recente della proprietà in questione, ma non mi meraviglio mai dei cambiamenti. Inoltre, non indago sull’identità del “lui” menzionato dalla donna.

Quante grotte ha scavato l’acqua nella roccia?
– Lui lo sa, ma non me lo vuole ancora svelare.
– …come?- credo di essermi persa il filo del discorso o di non aver udito qualche domanda persa nel vento.
– …il numero delle grotte che l’acqua ha scavato in questo luogo. Lui conosce il numero esatto delle grotte che attraversano questo pezzo di terra. Non sono solo quelle che vedi. Ce ne sono tante altre, centinaia, migliaia forse, c’è un passaggio sotterraneo che porta ad una città che dista alcuni chilometri da qui. Non ci sono mai stata ma un giorno potremmo andarci insieme. Forse qualcuno ci è già stato ma non ha lasciato traccia di alcuna storia. C’è sempre almeno una storia che non è stata né detta né scritta, ma lui la conosce e aspetto che me la racconti, in caso contrario dovrò inventarmene io una.
Mi incuriosiscono le ultime frasi un po’ insensate e mi giro per guardare in volto la mia insolita interlocutrice. Ho l’impressione che sull’ultima parola pronunciata abbia fatto una risata senza rumore. Ho un lieve sussulto di meraviglia perché mi rendo conto di  essermi precedentemente sbagliata di grosso: la donna che continua a starmi accanto deve aver passato da un bel po’ la mezza età. Il riso sul volto le disegna delle rughe marcate attorno alla bocca, le labbra sottili sono tinteggiate da un color rosso porpora mal distribuito nelle pieghe lasciate dal tempo. Benché stia ridendo, sembra che gli occhi le si mantengano troppo aperti, seri, grandi e azzurri, dello stesso colore del soprabito, probabilmente sarà una maniaca degli abbinamenti cromatici. Anzi, a guardarla bene noto che i suoi occhi sono esattamente dello stesso colore azzurro del cielo di questo giorno che sta per terminare. Poi, al centro dell’occhio destro, quello più vicino a me, vedo una netta striscia rosso sangue, forse segno di qualche emorragia. In realtà, si tratta semplicemente di uno dei tanti riflessi del cielo che sta cominciando gradualmente a tingersi di tramonto ed i suoi occhi sono semplicemente lo specchio di ciò che lei guarda. Presto le linee del volto le si distendono in un’espressione serena ma nostalgica. Non gira la testa di un centimetro e non ricambia minimamente la mia occhiata. Per lei io non ci sono già più.

– Quante persone furono sepolte nella grotta numero uno?
La domanda mi spiazza, sembra venire fuori dal nulla, ma so bene a cosa la donna si stia riferendo e ripeto le parole che ben conosco e che ora mi ritornano in mente: – Sei: quattro uomini, una donna e un’altro individuo dal sesso non accertato.
– Sei: quattro uomini e due donne. Almeno due di loro si guardavano dritto negli occhi, infatti i loro crani sono stati ritrovati nella posizione in cui erano sempre stati: occhi contro occhi. Si guardarono in vita e oltre la morte, finché le loro orbite si sono svuotate completamente. Poi hanno continuato a guardarsi nell’altra dimensione quando non era più necessario avere degli occhi per farlo.
Il profumo di rosmarino che prima percepivo è ora svanito completamente per lasciare spazio al profumo del mare al tramonto e della salsedine trasportata dal vento. Da qui si vede abbastanza bene il mare all’orizzonte, sulla linea oltre la città, poiché i monaci non scelsero questo posto per puro caso.
– Devi rassegnarti, tutto cambia, neppure il mare può essere sempre lo stesso – non capisco perché ora stia parlando del mare e non trovo alcuna connessione con quello che stava dicendo prima, poi mi rendo conto che forse non la sto più seguendo. Mi accorgo che sono assorta completamente nei miei pensieri. Avverto un brivido, segno che la temperatura si è rapidamente abbassata e che il giorno sta volgendo al termine troppo velocemente.

Quante cose finiscono in un giorno?
– Lei conosce la storia di questa dolina?- le chiedo, cercando di riprendere il discorso iniziato poc’anzi a proposito delle antiche sepolture. Ho l’impressione che la donna conosca molto bene la storia di questo luogo. È possibile che sia un’archeologa e che abbia lavorato in passato da queste parti, il che forse spiegherebbe il senso di questa conversazione. Avrà forse voluto impressionarmi con una delle storie ben note agli esperti.
– Non conosco nessuna storia. Conosco delle storie, alcune fra le tante, ma credo che nessuna sia vera. Lui conosce la storia e gli chiederò di raccontarmela appena si degnerà di uscire da quel vecchio convento. Ecco perché lo aspetto, anche se so che potrebbe non arrivare mai da me.

Quante storie ci sono in una storia?
Sto fissando un oggetto capovolto sul terreno vicino al cancello chiuso dell’entrata della dolina e mi rendo conto che si tratta di una delle scarpe che indossava la donna che non è più al mio fianco. Ho sentito dei passi di qualcuno che si allontanava velocemente da me. Dovevano essere due, ne sono sicura, poiché non erano i passi di una sola persona e non erano nemmeno quelli di una moltitudine. Chissà che non la sia venuta a prendere il misterioso uomo senza volto né nome che possiede le chiavi del convento. Ma ora non ha più importanza.

Quanti tramonti ci sono in un cielo?
Nel frattempo le nuvole sopra di me hanno cominciato a muoversi velocemente. Il cielo ha sfumature rossastre e le nuvole sono contornate da un lilla pastello tanto intenso da sembrare di stare a guardare la tela di un quadro ad acquerello. Fra poco la luce del giorno svanirà e il convento si perderà nel buio come le storie di questa città, ma quest’ultima accenderà le sue mille luci e mi sembrerà di guardarla dall’oblò di un aereo in atterraggio. Oppure in decollo.
Ritorno all’auto parcheggiata e mi preparo a lasciare ancora una volta questo posto prima che tramonti il sole, perché non vorrei ritrovarmi al buio sul bordo di questa voragine profonda oltre trenta metri. In lontananza si sentono dei cani randagi che sembrano lanciare ululati al cielo come lupi selvaggi e so che non possono essere due, deve trattarsi di un branco, forse di una moltitudine.
Rivolgo un saluto alla pietra e ai profumi della natura impura, ma so che prima o poi ritornerò qui e che tutto sarà uguale ad ora. Oppure sarà tutto diverso. Il tempo è un luogo in cui a volte ci si può ritornare.

Ma quante volte ci si può ritornare nello stesso posto?

Circolo16
 

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