Storie di Città

Racconti e Poesie originali e geolocalizzati

  • Home
  • Pubblica e Geolocalizza le tue Opere
    • Regolamento
    • Invia la tua Opera
  • Accedi
  • Registrati
Menu
  • Home
  • Pubblica e Geolocalizza le tue Opere
    • Regolamento
    • Invia la tua Opera
  • Accedi
  • Registrati
  • Sfoglia Categorie
      • 685Poesie
      • 393Racconti
  • Chi siamo
  • Blog
  • Contattaci
Raffaele e Carmela

Raffaele e Carmela

Via della Ferrovia 19
04022 Fondi
Storie d'Amore Racconti
0 Reviews
Condividi

Condividi:

Condividi:

  • Fai clic per condividere su Facebook (Si apre in una nuova finestra)
  • Fai clic qui per condividere su LinkedIn (Si apre in una nuova finestra)
  • Fai clic qui per condividere su Twitter (Si apre in una nuova finestra)
  • Fai clic per condividere su WhatsApp (Si apre in una nuova finestra)
  • Fai clic per inviare un link a un amico via e-mail (Si apre in una nuova finestra)
Write a Review

Raffaele e Carmela

visita su Google street view  

All’inizio del secolo 1900, quando il Ministero dei Trasporti diede il beneplacito per la costruzione della direttissima Roma-Napoli, data la necessità del tracciato che comprendeva lo sforamento degli speroni montuosi tra Priverno-Fossanova-Monte S.Biagio e Fondi Sperlonga-Itri, furono chiamati, tra gli altri, soprattutto esperti minatori ed operai dalla Sadegna. E arrivarono squadre di giovanotti muscolosi, sprezzanti del pericolo nel far brillare la dinamite, come se fosse un gioco. I cantieri furono predisposti, uno per ogni imboccatura delle gallerie da realizzare, tra Priverno-Fossanova-Monte S. Biagio e Fondi Sperlonga-Itri, con l’impegno che si fossero abbracciati in un entusiastico incontro, una volta abbattuta l’ultima paratia divisoria. Una delle squadre selezionate fu assegnata al cantiere di Fondi, nei pressi di Sant’Andrea, che doveva scavare al disotto del monte Vivola, a lato del Fortino di Fra’ Diavolo, cosiddetto perché nel 1700 fu covo del famoso brigante di Itri Michele Pezza, ai tempi della Contea di Fondi incorporata al Regno di Napoli, dopo essere stata porta d’ingresso al Regno delle Due Sicilie.
In quel cantiere, il lavoro di scavo procedette a pieno ritmo, tra scoppi di dinamite che scuotevano le montagne rimbombando per tutto il territorio, colpi sincopati di martello pneumatico, scalpello e piccone, mentre gli operai sardi intonavano a labbra strette le tristi nenie dialettali dei propri paesi lontani e le tarantelle che mettevano un po d’allegria nei loro cuori. Anche se a molti scappava qualche lacrimuccia. Mentre, nelle pause, al momento della colazione, c’era chi inghiottiva grossi pezzi di pane e cacio, sorseggiando l’acqua dalla tipica borraccia di cocuzza svuotata, appiattita ed essiccata, che portavano sempre a tracolla come un caro cimelio accarezzato con forte nostalgia, mentre scartocciavano svogliatamente l’involto, non riuscendo nemmeno a scambiare parola con qualche amico più chiacchierone che lo stuzzicava.
In quei brevi momenti di rilasso, fra di loro circolavano molte donzelle con i canestri colmi di frutta fresca e fiaschi di vino di Cesulo, derivato dal famoso Cecubo ché nell’epoca amyclana (IV-V sec. a. C. ) se ne produceva molto a Fondi, offrendolo in cambio di pochi spiccioli, assai rari da raggranellare. E solo quegli aitanti giovanotti sardi, ne avevano parecchi nelle tasche, per il lavoro duro e pericoloso ma ben remunerato che svolgevano, questo era noto, e ben disposti a spenderli. Era un avvenimento speciale, di cui si parlava molto fra la popolazione che, per la maggior parte, non riusciva a vedere il colore di una lira, ma solo pochi centesimi; i più fortunati. Era quanto offriva il lavoro di bracciante, stagionale, nel territorio di Fondi. Mentre i poverissimi senz’arte e senza parte improvvisavano mestieri artigiani legati sempre all’agricoltura. Sellai, maniscalchi, falegnami, bottai, fabbri, stagnini, calzolai, sarti, barbieri, muratori e imbianchini, spesso patendo la fame in famiglia, stentando a barattare il proprio lavoro con legumi e ortaggi, frutta saporita, qualche costola di maiale, un fiasco di vino d’uva fragola (detto: “Ceflarèll”). Poi c’erano i caporali che reclutavano paludai e zappatori: un rito che si svolgeva all’alba di ogni giorno sulla scalinata della cattedrale di Santa Maria a Piazza, dove sedevano tremanti i poveri cristi, molti dei quali vi passavano la notte senza rincasare, per paura di perdersi una giornata di lavoro anche il giorno dopo. Spesso rimanendovi appisolati per tutta la giornata, tristi e morsi dalla fame, mentendo finanche alle mogli sui propri fallimenti. Infine, c’erano i prezzatori che camminavano in orti e campi valutandone la possibile quantità dei raccolti, e i sensali che si occupavano delle trattative di vendita con una stretta di mano. Ma non c’erano grandi aziende agricole, mancavano laboratori di trasformazione e conservazione dei prodotti ortofrutticoli; c’erano solo un paio di piccole cave di pietre e brecciolini per fornire sparuti gruppi di muratori e manovali nel sopraelevare stanze e logge sulle case asimmetriche o costruire una stalletta laterale.
Le lire, assai scarse, le possedevano solo i pochi campieri, detti in gergo “Cappelli di suola”, che custodivano gelosamente nella Banca Cooperativa Popolare di Fondi, l’unica costituita nel 1891, con rogito notarile e registrazione al tribunale di Cassino, dal quale dipendeva all’epoca la giurisdizione di Fondi. Per fortuna, c’era la millenaria tradizione agricola che durava da prima della fondazione di Roma. Il territorio di Fondi, sin dai primordi, era un’oasi ricca di vegetazione spontanea, poi coltivato sapientemente per un’abbondante produzione di cereali, legumi e ortofrutticoli.
Uno di quegli operai di lunga esperienza nelle miniere della Carbonia. Si chiamava Raffaele, un sardo dagli occhi di ghiaccio, come scolpiti nella madreperla e aggrottati nelle sue orbite cigliose, che emanavano una luce fredda, intensa e penetrante, come un fluido magnetico proveniente da un pianeta misterioso. La sua testa ricoperta di fitti capelli neri gli arrotondava la fronte alta e quadrata, sul pallido volto angoloso. Era un giovane brusco, dai muscoli duri come la roccia, con le mani grosse e callose, nei cui segni c’era la sua storia di patimenti e di sconfitte, ma mai di resa. Forse, quella scorza dura che gli aveva costruito addosso il destino, nascondeva e proteggeva la sua anima nobile esposta alle brutture della sua epoca di usurpazione. Il suo spirito ribollente, riusciva a dominarlo, nella sua crisalide di ghiaccio indissolubile, dotato d’intelligenza acuta, compressa dalla sua condizione di povertà. Una povertà accettata cristianamente, mai rassegnato, nella convinzione che nessun lavoro era disonorevole, quando si ha la necessità di procurare alimento per la famiglia. E da buon sardo, aveva una rara cultura classica attinta, nelle pause, dalle letture di buoni libri, specie di storia romana che, poi, gli doveva servire per dare ai figli i nomi dei personaggi che gli erano rimasti impressi nella mente. Egli, da ragazzo aveva sempre sognato di partire per il “Continente”, come definiva ogni altro isolano immerso nella tristezza e solitudine di allora, unicamente circondato dal mare, e smaniava di attraversarlo per scoprire com’era fatta l’Italia di Re Umberto I. Ma lui, grazie alla sua forza fisica, alla sua capacità lavorativa, era riuscito a farlo con altri indomiti, lasciando la miniera della Carbonia, prescelto per quell’opera ferroviaria che fu un ambito cantiere di lavoro. Un notevole evento storico che diede lavoro e molto guadagno realizzando vie di collegamento e mezzi di trasporto in pianura lungo la costa del Mar Tirreno centrale, dopo 2000 anni dalla costruzione della Via Appia Regina Viarum sulle scoscese falde del massiccio degli Appennini centro meridionali.
Quel giorno, Raffaele, come sempre solo e taciturno, masticava rumorosamente inghiottendo grossi bocconi, levando a tratti gli occhi al cielo come se inseguisse un’immagine fantastica. Non si avvide nemmeno che vicino a lui c’era una donzella venditrice che lo fissava in silenzio, tendendogli la mano mutamente con una treccia di scalogne fresche. Ed ebbe un sussulto nell’avvertire quella presenza volgendosi di scatto, meravigliato, come se fosse la prima volta che la vedeva.
“Oh bella ragazza, e che vuoi da me, io soldi non ne ho; capito mi hai?…” Disse, con il suo classico sillabare sardo cadenzato.
“Eh, gevenò; che me vu sfótt? (Mi vuoi sfottere?) La ragazza era analfabeta e parlava solo vernacolo – Come, non hai soldi?…Io lo so che voi minatori avete sempre monete suonanti nelle saccocce piene…E poi, un bel fusto come te ha paura di spendere qualche soldo? Guarda come sono fresche queste scalogne, ti ci puoi profumare la bocca, adesso, insieme al pane e cacio…Sempre con sto pane e cacio…e mangia queste scalogne no! E fatti pure un sorso del mio vino; vedrai, vedrai…” Carmela, bella e sfrontata ragazza, imperterrita, gli tendeva la treccia di scalogne. Il viso di Raffaele s’illuminò, sbuffando in un sorriso a bocca piena. “E tu la verità mi dici? E quanto me le fai pagare? Se io prendo insieme alle scalogne pure l’impagliatella di vino e quei due melograni che tieni nella cofanella…” Carmela lo fissò interdetta, non capendo cosa fossero quei “melograni” che voleva, ma si chinò sulla cofana che aveva stretta tra le gambe, continuando a fissarlo interrogativa.
“Che t’aggia dàah?… Io non li tengo, non so che cosa sono. Uéh, che mi vuoi sfottere? Attento a te!…” Gli disse, irrigidita.
Lui sbottò in una sonora risata, mentre lei aggrottava i suoi occhietti pungenti, sempre diffidente e in guardia.
“Ma come non ce li hai? Sono quei grossi pomi bianchi e rossi come il viso tuo, oh bella ragazza! Non so come li chiamate voi a Fondi…eccoli lí…” Raffaele continuava a sorridere divertito come non mai. Carmela, posò le dita sui melograni e lui fece cenno di si con la testa.
“Chist só marianàt!” E tu. come li hai chiamati? Ho capito, ecco, prendili, sono molto sfiziosi e saporiti…E siccome mi sei simpatico, questi te li regalo, se mi compri pure noci e fichisecchi, e pure questa impagliatella di vino che facciamo noi a casa. Questo e un vino che ti darà tanta forza e, per il lavoro duro che fai, questa è l’unica medicina…”
Raffaele fu colpito da quell’offerta. Si sentì attratto dalla bella ragazza, loquace e simpatica, anche se non sapeva parlare in italiano, ma solo il suo piccante vernacolo ciociaro. Rimase a fissarla con occhi penetranti, mentre una strana agitazione gli tremolava in petto, provocandogli un’emozione indecifrabile, mai provata prima. Carmela, lo stesso, rimase stranamente muta, alquanto intimorita da quello sguardo di ghiaccio, circondato da due cerchietti che si illuminavano.
“Oh bella ragazza; paura di me hai? Mi pare che hai perduto la parola…E dammi quelle scalogne, va, e una treccia di fichisecchi e quel fiasco di vino…domani portami un pezzo di ventresca e un capo di salsiccia; capito mi hai? Ecco i soldi, e non li perdere; capito mi hai? Mi dici come ti chiami?…” Concluse. Carmela allungò il braccio, mentre lui le contava i soldi con le dita callose solleticandole il palmo della mano. Lei, rabbrividì, con il petto in subbuglio, annodando in fretta le monete in un fazzoletto e ficcandoselo nel reggipetto; si allontanò correndo a passetti svelti con la cofana in testa rivolta a lui. “A maddumàne te lo dico come mi chiamo…Nen tèngh nesciúna paura de té, statt bbóne…” Lo ammiccò in senso di sfida, e lui rimase a fissarla fin quando non scomparve dietro i macchioni di mortelle, con aria divertita.
Il giorno dopo Raffaele l’aspettò ansioso, Carmela lo stesso corse trafelata con il canestro in testa e un paniere sottobraccio, e così per molti giorni il loro desiderio si fece più pressante, spasmodico, e per cui, senza tanti convenevoli decisero di sposarsi, i loro corpi s’impattarono, le loro anime si fusero. Nello stesso giorno, la Galleria di Monte Vivola fu inaugurata, mentre la prima locomotiva sbuffava sui binari ferroviari della Direttissima Roma-Napoli. Era l’anno 1912 e la Città di Fondi era in festa.

 

Ora invia una Recensione

Annulla risposta

Altre Storie in Zona

    Raffaele e Carmela

    Luigi Muccitell

    Profilo dell'Autore

    Collegati con l’autore

    • Twitter URL
    • Facebook URL

    Visualizzazioni

    581

    Sei un Autore?

    Autore

    Unisciti al nostro Progetto!

    Registrati su Storie di Città. Potrai pubblicare e geolocalizzare le tue opere, lasciarle impresse in un luogo, farle leggere a migliaia di lettori e potrai promuovere gratuitamente i tuoi libri!

    Registrati Ora

    STORIEDICITTA.IT

    "Dedicato a tutti coloro che conoscono l'arte dello scrivere, a chi ama viaggiare, ma soprattutto a tutti quelli che hanno sete di leggere!"

    Il Team di Storiedicitta.it

    www.storiedicitta.it

    Storie di Città

    • Condizioni d’uso
    • F.A.Q.
    • Privacy Policy
    • Pubblicità
    • Contattaci

    Link interessanti

    • Bookabook
    • Eppela
    • Amazon Libri
    • Scuola Holden
    • Salute Privata
    Copyright Storie di Città - storiedicitta.it © 2019 Tutti i Diritti Riservati
    • facebook
    • twitter
    • google
    Copy Protected by Chetan's WP-Copyprotect.

    Login

    Register |  Lost your password?