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La vetrina orribile del Corso

La vetrina orribile del Corso

Corso delle Province
Catania
Fantasia e Fantascienza Racconti
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La vetrina orribile del Corso

Racconto di Genio Chiara
Foto di Trevor Saylor, Windows Shopping (presa dal web)

Corso delle Provincie, Catania


Attenzione: i personaggi di questa storia sono reali, i fatti no, sono frutto di fantasia, tutti tranne il dialogo sul lutto, quello purtroppo è vero.

 


Quella volta che tenemmo chiuso il negozio per lutto. Un foglio di carta appiccicato di fretta e furia sulla vetrina senza alcun dettaglio. Quando tornai un tizio si avvicinò e mi disse: Allora sta bene! E io: Si, certo. E lui: Ahm, beh… sembrava imbarazzato. Ah beh cosa? domandai. Ma nulla, nulla, pensavo fosse, si, sa, lei.
Il quartiere non mi andava a genio, non era un segreto. E la cosa era reciproca.
No, è morta mia nonna, risposi.
Oh, la vecchina sempre disponibile, così carina con tutti?
Eggià. Io cosa sono? Un fottuto mostro mangiaclienti?
Questo comunque non spiega le strane apparizioni di cui mi sono venuti a raccontare alcuni personaggi.
Pare che di notte la vetrina centrale si sia illuminata di rosso.
Stavo fumando una sigaretta, disse un assiduo frequentatore della sala giochi dall’altra parte della strada. Erano le due e mezza circa.
Di notte? Che cazzo le passa per la testa scendere in strada a fumare una sigaretta a quell’ora?
Eh, stavo tornando da una serata.
E quindi?
Una bella serata.
No dicevo, e quindi? Fumava e poi?
Poi quella luce rossa che spuntava dalla vetrina. Glielo dico perché conosco i suoi genitori. Orribile. Dava la nausea per tutto quel rosso. E poi…
Poi cosa?
Sembrava pulsare. Che trucco ha usato?
Sicuro che fumasse soltanto una sigaretta? Le hanno dato da bere a questa serata?
No, io sono astemio. Ho bevuto soltanto una bottiglietta d’acqua.
Era sigillata quando l’ha comprata? Perché ci mettono dentro LSD.
Cosa?
Droga, cristalli, insapore e incolore. Fa avere le visioni.
Oddio, no?!
Si.
La prego non dica nulla a mia moglie.
Per carità.
E anche se fosse comunque non spiegherebbe nulla sulle altre apparizioni, ben più complicate da giustificare.
Che scherzo di cattivo gusto, disse la vecchia del quarto piano.
Guardi si sbaglia, musica alle tre di notte! E mica potrebbe sentirla da lassù!
Non era musica qualsiasi, sembravano le urla del demonio.
Signora avrà lasciato la televisione accesa su qualche canale strano.
Ho fatto scendere mio marito, quando ha visto voleva chiamare la polizia.
Ah suo marito, com’è andata l’operazione alla, cos’era?! Cataratta?
Ci vede benissimo, e c’era una faccia.
Mhm.
La faccia di Adolf Hitler.
Ah.
Mio marito ha combattuto la guerra, mica come i giovani di oggi. Sa come vi chiama? Mammolette.
No. Ecco non avevo fatto nemmeno in tempo a risponderle.
Signora se non abbiamo più un futuro è per colpa di persone come suo marito.
Non avete futuro perché siete mammolette culipieni. Così vi chiama mio marito. E sghignazzava con gli occhi strabuzzati. Una vecchina impazzita col marito più matto di lei. Stavo per chiedergli cosa avessero mangiato quella sera che una volta mi ero preso un’intossicazione per un’anatra all’arancia putrefatta che mi aveva fatto venire certi incubi e piombare in uno stato comatoso febbricitante e allucinatorio. Preferì tagliarla corta.
E ha visto sulla vetrina la faccia di Adolf Hitler, dissi.
Che fluttuava come fosse fumo, rispose.
E non è stata la peggiore: c’era una signora che ogni giorno passeggiava un volpino bianco, una signora distinta, sempre ordinata, i capelli acconciati, vestita perbene. Non si vide per un po’ e quando comparì era sola. Pensai avesse voluto superare la perdita del suo cane ma quando mi vide s’avvicinò e mi fece una domanda che mi spiazzò. Può ridarmi il mio cane? disse con un’espressione in volto tra il disgustato e l’imbarazzato.
L’ha perso signora? domandai.
Non faccia lo stupido, disse distogliendo lo sguardo.
Io non ho idea di dove sia il suo cane, risposi.
Vorrei…almeno dargli degna sepoltura, disse lei con tono affranto, evitando d’incrociare i suoi occhi con i miei.
Non ho idea, stavo per ripetergli. Ma lei allungò il braccio. Mi voltai. Indicava la vetrina maledetta. Cosa? mi uscì dalla gola come strozzato.
L’ha trascinato dietro quella tenda, continuò la signora distinta. È stato…si portò le mani alla bocca e cominciò a piangere.
Orribile? finii al posto suo.
Lei è un mostro, la mia povera Betty, perché? piangeva. Perché l’ha fatto?
Mi creda signora io non ho fatto nulla. Mi creda. Rientrai chiudendomi la porta alle spalle e nonostante mancassero dieci minuti alla chiusura spensi le luci, i computer, i ventilatori. Un quartiere di pazzi. Prima di questa storia pensavo fosse colpa di un fungo velenoso che crescesse nei tunnel della metropolitana, risvegliato con gli scavi, emanava le sue spore facendo rincretinire tutti. Ma come spiegare quella puzza di carcassa? Erano giorni che la sentivamo e cercavamo di debellarla. Avevamo provato il deodorante spray, il diffusore aromatico, il DDT, le candele profumate. Un topo morto, pensavamo. Era già capitato. Colpa di tutte quelle rosticcerie e tavole calde. Il quartiere era pieno di topi e blatte.
Aprii la tenda del deposito con una torcia in mano. Non erano i resti di un topo putrefatto che stavo cercando. E la cosa che mi terrorizzava completamente era che anche se avessi trovato le ossa di Betty, tutto ciò non avrebbe comunque spiegato cosa stava accadendo in quella maledetta via, nel posto dove ero costretto a rimanere per otto ore al giorno.
Una vetrina orribile, come se queste cose potessero capitare nella realtà.
Accesi la torcia e mi inoltrai nel buio.

Circolo16
 

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