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Il grande Faggio

Il grande Faggio

Pian di Balestra SP79
40048 San Benedetto Val di Sambro (BO)
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Il grande Faggio

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Devo andarmene dalla città, devo andarmene…
Lascio che l’auto mi porti dove vuole, seguo strade che non conosco, direzione Firenze. Salgo, voglio andare in alto, voglio sentire l’aria pulita di montagna, ho bisogno di verde. Seguo una strada piena di curve, una provinciale credo, ma sale e per me è sufficiente questo. Non incontro nessuno, la strada è tutta mia. Un cartello mi dice che sono a Pian di Balestra…mi fermo. Lascio la macchina e scendo, mi inoltro un po’ nel bosco, a piedi e leggo in un bacheca che sono quasi al confine con la Toscana, ma ancora in Emilia….
Respiro. Sento finalmente l’aria che entra ed esce dal mio corpo.
I miei occhi ora si devono abituare al colore nitido, il verde che mi circonda è quasi accecante. Nel bosco non c’è silenzio, ma un insieme di cinguettii, non so nemmeno di quali uccelli si tratta, sono tanti e diversi. Ogni tanto riconosco il verso di un rapace che cerco di individuare portando lo sguardo oltre le fronde dei faggi. Intravedo solo frammenti di cielo azzurro mentre la testa gira osservando l’altezza di questi alberi cresciuti forti e indisturbati.
Chiudo gli occhi. Pace.
Mi appoggio al tronco dell’altro che si trova a fianco a me e percepisco qualcosa, qualcosa di fisico, come un abbraccio, caldo e avvolgente ma è certo che non c’è nessuno con me, sono sola.
Inizio a piangere.
Un pianto convulso e carico di ogni disperazione, di ogni illusione, di ogni angoscia, raccolti e contenuti per troppo tempo dentro di me. I singhiozzi sono forti e le forze mi abbandonano e non posso fare altro che lasciarmi scivolare lungo il tronco e sedermi alle radici del maestoso sostegno. Istintivamente sento il bisogno di abbracciare l’albero. Le mie braccia riescono a cingerlo solo per metà, la guancia appoggiata alla corteccia, liscia, grigia e bianca e lentamente mi acquieto, ritorno alla sensazione ancora più forte dell’abbraccio, e nonostante le apparenze avverto che questo antico testimone è morbido e accogliente.
I singhiozzi finiscono, ancora qualche lacrima scende rigandomi il viso, ma apro gli occhi e li volgo in alto e mi ritrovo ad osservare la simmetria delle foglie sui rami che tentano di toccare il cielo cercando spinta nella brezza pomeridiana. Sento la mia coscienza salire e fluire attraverso vene invisibili fino a percepirmi dentro ogni singola foglia, sento il verde che si riflette attraverso di me, sento la vita che scorre attraverso il mio corpo, e vedo il cielo e sento gli insetti che dolcemente passeggiano in tutta la mia altezza e quegli uccellini che prima sentivo attraverso orecchie umane, ora cantano con me e alcuni sono appoggiati alle mie tante braccia. Il calore che arriva dal terreno mi appaga e sento che posso nutrirmi e succhiare ogni sostanza a me utile per sostenere il mondo e respirare con esso.
Torno a me, al mio corpo, al mio respiro e i miei occhi riprendono coscienza del mio esistere sentendomi ancora abbracciata al mio albero, scelto per caso senza pregiudizi. Testimone di uno sfogo e di un miracolo, lo osservo e lo bacio colma di vita e gratitudine.
Questo bosco è un luogo di guarigione da tutti i mali che altro non sono che mancanza d’amore.

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