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Anche la paura puzza

Anche la paura puzza

70032 Bitonto (BA)
Storico Racconti
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Anche la paura puzza

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Da qualche notte avevo smesso di dormire. Non mi sentivo tranquillo e leggevo negli occhi dei miei genitori una profonda inquietudine.
I bambini sono molto ricettivi e io a sei anni mi sentivo già un ometto. Un ometto pieno di pensieri.
Amavo tanto Bitonto, la sentivo mia: adoravo le sue vie  brevi, strette e non lastricate dove di solito giocavo col mio gruppetto di amici. Un po’ sporche, a dir la verità, ma erano il nostro spazio.
Abitavo nei pressi della Cattedrale, meravigliosa, e prima ero felice.
Ora meno. Niente giochi. Niente amici. Solo una sfilza di pensieri e rughe più profonde sul volto dei grandi, stanchi di essere vessati, preoccupati della nostra sorte e di quella della città.
“Che succede, mamma?”, le chiesi un giorno stanco dei continui sotterfugi, delle occhiatacce rapide fra lei e papà.
“Nulla, non succede nulla. C’è solo un po’ di subbuglio in città”
“Subbuglio, mamma? Io credo sia qualcosa di più grande, qualcosa che ci sta portando via la vita, il tempo, le notti, i giorni, la serenità.”
“Ho sentito altri grandi parlare dei soldati, qualcuno li chiama “forestieri” con disprezzo. Chi sono? Che vogliono da noi?”
Per la prima volta mamma mi guardò e mi parlò come se fossi grande.
“Mi hanno raccontato che gli Austriaci si sono accampati fuori dalle mura e gli Spagnoli sono molto arrabbiati e stanno arrivando con il loro esercito… Di più non so, non ci dicono tutto”
Il suo viso era stanco, mi parve invecchiata di anni.
“Allora.. siamo in guerra?”
“Sì. Temo di sì”
“E che succederà’”
“Non so…”
Ci abbracciammo e per un istante fra le sue braccia provai nuovamente un lampo di felicità. Mai come adesso mi sembravano un porto sicuro in cui rifugiarmi.
Un colpo alla porta e vidi mio padre rientrare.
Da giorni rientrava ed usciva nelle ore più impensate. Lavorava in campagna. Eravamo gente semplice ma onesta.
I popolani, fieri di esserlo nel cuore. I popolani, pronti ad uscirlo il cuore.
Guardò me e mamma abbracciati, perplesso. Era piuttosto chiuso e restio alle smancerie ma sapevo che mi voleva bene.
“Novità?”, chiedemmo entrambi con un filo di voce.
La mamma gli fece cenno che poteva parlare tranquillamente, che sapevo…
“Alcuni, ben informati, hanno raccontato che l’attesa cavalleria spagnola è giunta e ha circondato l’ala destra austriaca. La fanteria si è arresa ma molti Austriaci si sono rifugiati in città e hanno chiuso Porta Baresana per non far entrare gli Spagnoli”
“Oddio, è terribile!”, esclamai.
“Ho paura, mamma! Ho paura!”
Non piansi mordendomi le labbra perché dovevo dimostrare di essere grande tra i grandi, ma il mio cuore bambino stava cedendo.
“Michelino, abbi fiducia. Dobbiamo pregare!”
Snocciolammo le avemarie come ciliegie, con più fede del solito. Semplicemente!
Non eravamo bravi con le parole, ma dentro ci esplodeva la vita.
Trascorse un’altra notte in dormiveglia.
All’alba sentimmo bussare alla porta. Nessuno aveva dormito e ci alzammo di soprassalto.
“Chi è?”, domandò papà esitante.
“Aprite, aprite, è urgente!”
Un volto pallido come un cencio ci annunciò che gli Spagnoli avevano trasportato un cannone a una certa distanza dalla Porta Baresana e stavano per cominciare a far fuoco. Volevano aprirsi una breccia ed entrare in città.
“Venite. Stiamo andando tutti nei sotterranei.”
Non indugiammo e, dopo esserci vestiti alla meglio, lo seguimmo stravolti.
L’aria frizzantina ricacciò indietro le lacrime che volevano fuoriuscire.
Ero solo un bambino. Un bambino grande terrorizzato.
Quando arrivammo e ci ritrovammo tutti ammassati, mi resi conto che la guerra non era solo fuori, ma soprattutto dentro di noi.
Bastava guardarci! Poche parole, stringati silenzi e battiti accelerati.
All’improvviso le fucilate ci riempirono di paura.
Chi pregava. Chi piangeva. Chi sudava. Chi chiudeva gli occhi.
Io guardavo. Passavo da un volto all’altro per non pensare e nella mia mente immaginavo i soldati.
“Spara!”, dicevo.
“No, spara tu!”
Il gioco allontanò per un secondo quella serietà che mi ero imposto.
Poi, d’un tratto, di nuovo silenzio.
“La guerra è finita!”, pensai tra me e me.
I grandi parlottavano fitto fitto e noi bambini ci eravamo sistemati tutti da una parte.
“Ciao, come ti chiami?”.
Due occhioni erano puntati nei miei. Una bambina che poteva avere sì e no quattro anni.
“Michelino. Tu?”
“Anna. Giochiamo?”
I tamburi continuavano a rullare.
Ogni tanto qualcuno usciva a raccogliere notizie in giro.
“Brutte notizie! Brutte notizie!”, ci avvisò un tale urlando.
“Michelino?” Anna continuava a chiamarmi ma io ero già lontano.
Tutti si erano fermati e zittiti.
“Gli Austriaci si arrendono.”
Ho ascoltato alcuni signorotti parlottare fra loro nascosto dietro un muro.
“Gli Spagnoli sono arrabbiatissimi con noi. Alcuni, insieme al Sindaco, si sono presentati da Montemar per consegnare le chiavi della città e dichiarare obbedienza al Re…”
Tacque agitato.
“Si sono accordati?”, chiedemmo in coro.
“No, li ha cacciati in malo modo. Vuole attaccarci e distruggerci.”
“Oh, Gesummaria!”
“E’ la fine!”
Corsi vicino a mamma. Gelida.
“Mamma, adesso posso piangere?”
Mi convinsi che era così.
Aspettammo. Quella notte ci parve lunghissima..
Anna era venuta vicino a me e si era addormentata. La vegliai.
I grandi devono proteggere i più piccoli.
Gli spari erano cessati. Anche il rullo dei tamburi. Quel silenzio mordeva l’aria irrespirabile che c’era nei sotterranei.
Un puzzo di umidità, di piscio. Un puzzo di paure.
“Anche la paura puzza”, mi ripetei.
Cosa sarebbe accaduto?

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  1. Fiorella
    Originalità

    Coinvolgimento

    Stile

    Racconto diretto

    6 anni fa
  2. nino
    Originalità

    Coinvolgimento

    Stile

    Sono raccontati i sentimenti

    6 anni fa
  3. Antonio G.
    Originalità

    Coinvolgimento

    Stile

    Bellissimo, la storia attraverso gli occhi di un bambino. Brava!

    6 anni fa
  4. Saverio
    Originalità

    Coinvolgimento

    Stile

    Sembra vissuto in prima persona, con uno stile semplice ma ricco di patos. Sentimenti contrastanti fra paura, speranza attesa, desiderio, voglia di non accettare un fato incontrollabile. Un racconto che apre le porta a fatti che, pur pensati, rappresentano attimi di vita di chi ha vissuto le esperienze di tragici avvenimenti.

    6 anni fa

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