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Bepi del Giasso, campanaro di San Lazzaro

Bepi del Giasso, campanaro di San Lazzaro

30100 San Lazzaro degli Armeni (Ve)
Storico Racconti
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Bepi del Giasso, campanaro di San Lazzaro

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Josif Vissarionovic Djugatchsvili era un 28enne georgiano dalla barba un po’ incolta, nel 1907. Nella Russia zarista non aveva vita facile, essendo un esponente di primo piano di quella frangia estremista del partito socialdemocratico russo i cui appartenenti erano comunemente conosciuti come bolscevichi. Fu infatti per scappare dalle grinfie della polizia politica zarista che quell’anno, di soppiatto, partì nascosto in una nave da carico che trasportava grano dal porto di Odessa ad Ancona, in Italia, dove sbarcò verso la fine di febbraio.

Ottenuta ospitalità dal folto gruppo di anarchici locali, riuscì a proporsi come portiere notturno all’hotel “Roma e Pace”, in cambio di vitto e alloggio. Chiuso e timido, per quanto gentile e sorridente, non riuscì però a trovarsi a suo agio con la clientela. Così, è nascosto nella sala macchine di un piroscafo di linea. che dopo pochi giorni sbarca a Venezia.

Anche in laguna Josif fu bene accolto dal mondo anarchico veneziano, che lo ribattezzò “compagno Bepi”, e poi “Bepi del Giasso”. Del ghiaccio, come a ricordarne il luogo di provenienza, non esattamente tropicale. Convintosi a rimanere, il “compagno Bepi” decise di sfruttare le frequentazioni avute nella natia Georgia con la comunità armena. Ne parlava la lingua e si presentò dunque ai padri mechitaristi di San Lazzaro chiedendo un’occupazione all’abate generale Ignazio Ghiurekian. Avendo studiato alla scuola ecclesiastica di Gori e nel seminario cristiano ortodosso di Teflis (da cui era stato espulso a causa delle sue simpatie politiche nel 1899), Josif sapeva servire messa con i riti latino e ortodosso, nonché suonare le campane con i rintocchi richiesti da entrambe le confessioni.

Padre Ghiurekian ne fu ben impressionato, e malgrado la notazione che Djugatchsvili aveva denti che “brillavano come quelli dei lupi”, decise di ospitarlo chiedendogli di suonare le campane del convento secondo il rito latino. Ma il compagno Bepi, chissà perché, s’intestardì a dare forti rintocchi buoni per un orecchio ortodosso, sollevando un certo scompiglio nella piccola isola. Alla fine, dopo aver sopportato per alcuni giorni – ed essendosi fino a quel momento limitato a qualche rabbuffo – il padre generale lo mise di fronte a una scelta: se desiderava rimanere, doveva accettare le norme della congregazione che gli stava dando ospitalità, e chiedere di l’ammissione alla comunità come novizio.

Non era cosa per lui. Ripartì, raggiunse la Svizzera e, poco più tardi, tornò in Russia. Fece in tempo a vivere la rivoluzione. Per divenire, qualche anno dopo… Segretario generale del partito comunista e guida dell’Unione Sovietica, con il soprannome di “Piccolo Padre” e l’universale pseudonimo di “Stalin”. Josif Stalin.

Per gentile concessione dell’autore
il racconto è presente su “Forse non tutti sanno che a Venezia…”, pubblicato da Newton Compton nel 2016.

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  1. Mivia
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    Interessante, mi è piaciuto, avrei desiderato qualche approfondimento in più nei diversi passaggi ma probabilmente è difficile ripercorrere la vita di un personaggio di tale portata!

    6 anni fa

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