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La memoria del cuore

La memoria del cuore

96012 Avola (Sr)
Diari e Memorie Racconti
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La memoria del cuore

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– SSSH!! Silenzio! Sta arrivando, eccolo!
– Mamma, papà dove siete, perché è tutto buio?
Tanti auguri a te… tanti auguri a te… tanti auguri a Gabry tanti auguri a te…
AUGURIIIIIII…
Gabry compie 9 anni e la mamma e il papà insieme a nonni, zie, zii e cuginetti  hanno  organizzato una festa a sorpresa mentre lui inconsapevole se ne stava a scuola.
“Tanti auguri a te… tanti auguri a te… tanti auguri a Gabry…tanti auguri a te!”
Baci,regali,foto,grazie tante che sorpresa, grazie… risate… torta… baci… foto…
AUGURIIIII…
– Tieni Gabry. – La zia Mizia avvicinandosi gli consegna una busta e un pacco.
– Questi sono per te da parte di Savvo, il campione che tu hai conosciuto ma eri troppo piccolo per poter ricordare.
L’aria nel salone si fa seria. Il silenzio diventa frastuono. Tromba di scale. Tutte le persone in quella stanza hanno un ricordo legato a Savvo. In quella famiglia era come un figlio, un fratello, è tale era per loro. Un fratello per Mizia, Lena e Neve, la mamma di Gabry.
– Questa busta e questo pacco me li diede un paio di giorni prima che morisse, mi disse di consegnarli a te il giorno che avresti compiuto 9 anni, il 2 dicembre 2018. – Con voce rotta e occhi lucidi Mizia, rivolgendosi a Gabry.
– Prima che tu apra il pacco leggerò questa lettera così come desiderava Savvo. Nessuno delle persone in quella stanza è a conoscenza del contenuto. Non è stata mai aperta. Era il suo volere ed il suo volere è stato rispettato.
Mizia apre la busta, le mani tremano, gli occhi dei presenti sono nei suoi occhi. Savvo era, è il suo migliore amico, testimone della sua vita e del suo matrimonio. Sono circa 9 anni che è morto.

21 marzo 2010.
Mizia inizia a leggere con palese commozione.
Ciao Gabry. Sono “Savvo il campione” come mi chiamavi sempre tu. Auguri. Oggi compi 9 anni, ricorda questo numero, capirai alla fine di queste righe. Sono certo che tu saprai più cose di me di quanto io possa sapere di te. La mamma e tutte le persone a te care ti avranno parlato sicuramente di me e della mia equilibrata follia, l’uomo con la testa sulla luna. Sono per te ricordo dei racconti della mamma o degli zii. Avrai avuto modo di dare un volto a questi racconti spulciando gli album di famiglia. Nei compleanni della mamma e delle zie sono stato sempre presente. Nel pacco troverai degli oggetti, non direi dei veri e propri regali. La maglia originale di Cassano che nel 2010 giocava nella Sampdoria, la mia squadra del cuore. Cassano, chissà se poi quella estate è andato ai mondiali, non sono riuscito a vederlo. Non so se giocherai a pallone, se lo farai, indossala e sii fiero, lui è stato un grande. Ha lottato pur sapendo che il Ct della nazionale italiana non lo avrebbe mai portato ai mondiali. E anche se non sarà stato convocato lui ha vinto perché ha lottato a testa alta, con dignità. Poi capirai. Troverai una pietra, un bussolotto e un articolo di giornale che ho scaricato da internet. La pietra e il bussolotto sono simboli di una lotta fatta tanti anni fa, l’articolo è la testimonianza di un giornalista, Mauro De Mauro, di quel triste giorno di lotta. La mattina che ho saputo che eri nato naturalmente ero contento per l’evento. Ero felice anche perché eri nato proprio quel giorno, il 2 dicembre, 2 dicembre 2009 (il 9 torna). Un giorno importante per il nostro paese. Un giorno storico per Avola. Pensavo che fossi stato fortunato a nascere proprio quel giorno ma al contempo ero dispiaciuto che fossi nato a Noto, e non per un problema di rivalità tra paesi vicini, ma semplicemente per una mia visione romantica della vita. Nascere il 2 dicembre ad Avola, non è la stessa cosa che nascere il 2 dicembre a Noto, non me ne vogliano i netini. La cosa assurda è che, mentre il 2 dicembre del 1968 delle persone morivano lottando per i propri ideali, tu 41 anni dopo nascevi quasi per caso a Noto perché nessuno ha lottato per far in modo che alcuni reparti del nostro ospedale, tra cui la ginecologia, fossero chiusi. Il paradosso è che quei braccianti sono morti lì a pochi metri dove tanti anni dopo è stato costruito l’ospedale, e lì troverai un monumento che li ricorda.
41! Altro numero da ricordare. 41! Non dimenticare.
Ti scrivo questo perché voglio raccontarti una storia, perché di storia si tratta, che un po’ di tempo prima mi raccontò mio padre.

Era dicembre, il 2 dicembre 1968. Erano giorni che cercavamo un modo per farci sentire in maniera più decisa. Volevamo delle risposte, ma le nostre grida erano muto suono alle orecchie dei padroni. Il sindaco Denaro era con noi e quando il prefetto gli ordinò di farci sbloccare la strada che intralciavamo con i trattori, i camion e le macchine, rispose che avrebbe onorato la fascia tricolore mettendosi in prima fila a protestare con i braccianti. Quella mattina eravamo andati insieme io e Giuseppe. Lui aveva qualche anno in più di me, io 41 ed avevo già 6 figli. Eri nato da poco, avevi quasi 9 mesi (41 e 9). Il corteo era partito alle 8 di mattina dalla piazza centrale e dopo circa un’ora siamo arrivati lì a pochi metri dove adesso hanno costruito l’ospedale. Eravamo fieri di lottare per i nostri ideali, anche se si trattava di 300 lire. Trovavamo ingiusto che i braccianti di Lentini avevano una paga superiore alla nostra. Uguali ore di lavoro, stessa paga. La formula era semplice. Non una lira in più. Non una lira in meno. Forti di questa convinzione avremmo lottato fino a quando non avremmo ottenuto l’uguaglianza con i colleghi lentinesi. Quando sono arrivate le forze dell’ordine abbiamo capito che la nostra protesta non sarebbe passata inosservata, ma non potevamo pensare al tragico finale. Giuseppe mi disse: Currau, rumani semu ‘nda tutti i giurnala. A fini vincemu sempri nui. Invece la situazione stava degenerando. Gli agenti per aprire il varco e per cercare di sbloccare la strada, cominciarono a lanciare bombe di gas lacrimogeno verso di noi che il vento rimandò indietro. Noi invece di indietreggiare avanzammo verso di loro scagliando pietre per intimorirli. Alle pietre le forze dell’ordine risposero con i mitra. Eravamo increduli. Ci sparavano addosso. Cercammo di fuggire verso le campagne ai bordi della strada. Il panico, la paura, il fumo, la gola secca, le grida, gli spari. Incredulo. Amareggiato. Molti di quei poliziotti che ci sparavano addosso erano figli di contadini. Noi lottavamo per i loro padri e loro ci sparavano addosso. Correvo ma sembravo fermo. Una corsa senza un dove. Una corsa da fermo. Gridavo Peppi, Peppi, unni si. Non vedevo Giuseppe. Lo avevo perso. Sono tornato indietro per cercarlo. L’ho trovato, ma se n’era andato. Era lì a terra. Tra le pietre e i bussolotti dei mitra. Sull’asfalto freddo di una sera di dicembre. Erano circa le dieci di sera. La lotta era finita. Lunedì 2 dicembre 1968 ore 22,00. È lì che è cominciata la storia. Steso con gli occhi al cielo, tra le pallottole e le pietre, Peppi aveva vinto la sua lotta. Avevo 41 anni e 6 figli da sfamare. Tu avevi 9 mesi quasi. Giuseppe 47. Alla fine sono rimasti in 2 a terra, quel maledetto lunedì. A terra a guardare il cielo notturno di dicembre.

Se ti ho raccontato questa triste storia, è perché voglio che non la si dimentichi e che tu la porti nella memoria del tuo cuore. Custodiscila lì dentro. Non rinunciare mai a lottare. Lotta per le cose che ritieni giuste. La rinuncia è sempre una sconfitta! Se io sono riuscito a dar da mangiare a 6 figli, lavorando con dignità, è soprattutto grazie alla lotta di quei giorni. In quella lotta impari, pietre contro mitra, hanno vinto le pietre. In un mondo perfetto non si lotterebbe per aver diritto all’aumento di 300 lire. In un mondo perfetto i genitori non dovrebbero vedere i figli morire. In un mondo perfetto i figli non dovrebbero abbandonare i genitori che diventano figli. Ma il mondo non è perfetto! In questo mondo i mitra soffocano le grida di chi protesta per 300 lire e i figli muoiono anche prima dei loro padri e delle loro madri. Questo mondo è talmente imperfetto che in una lotta ìmpari, tra un poliziotto con il mitra e un bracciante con la pietra, nella memoria del cuore, rimane vivo il bracciante.

La storia di mio padre io la conservo ancora lì in quel posto che mi ha fatto conoscere lui. Ogni anno il 2 dicembre la tiro fuori e me la racconto. Voleva farmi capire che qualunque sia il finale, bisogna lottare per le cose in cui si crede, soprattutto se si pensa di essere nel giusto. Se io, e come me tanti altri, avessimo lottato come quei ragazzi del ‘68, tu forse saresti nato il 2 dicembre del 2009 ad Avola. 41 anni dopo (vedi i numeri ritornano 41 e 9). A pochi metri dall’asfalto pieno di pietre e bussolotti. Lì dove per l’ultima volta sorrise Giuseppe. Se avessi lottato, anche io contro questa schifosa malattia, forse sarei insieme a tutti voi a festeggiare il tuo compleanno. Avrei aggiunto una foto in più nell’album dei ricordi. Non sarei morto a 41 anni. Ancora il 41. Strana coincidenza. Forse la nostra storia è già tutta scritta. Dentro ai numeri c’è la vita. Chissà. Ma in matematica non sono mai stato bravo. Prova tu! Somma 41 e 9. Fa 50! Oggi 2 dicembre 2018 è il 50° anniversario dei “Fatti di Avola”. Questo è il nome che è stato scelto per ricordare quei morti. Altro insegnamento della storia di mio padre è che non bisogna dimenticare. La memoria è la nostra storia. Chi siamo, siamo stati e saremo. Siamo tutti il futuro di un passato. Gabry, cerca di mettere più materiale possibile nella memoria del cuore. In quel posto troverai la verità delle cose. Le risposte a tutte le domande. Mio padre diceva: “a testa e ‘nfilu ri capiddu e iu agghiu pessu macari chissu e pi chistu i così ciu importanti mi ricordu, picchi mi sabbu rintra lu cuori”.

La mente è un luogo di locazione temporanea dei ricordi, il cuore, il luogo dove li custodisci per sempre.Dentro c’è tutta la tua vita. La mente è il computer dove elabori i pensieri e i ricordi, poi fai una scrematura e archivi tutto in un hard disc esterno e lì rimarranno per sempre. L’hard disc esterno è il cuore. La memoria del cuore. La mente si può anche danneggiare e con il tempo i ricordi potrebbero essere confusi, i particolari annebbiati, sfumati. Quello che metti dentro, nel cuore, rimarrà sempre intatto e tutte le volte che vuoi provare a cercare quei ricordi, li troverai come li hai lasciati, proverai le stesse emozioni, le stesse sensazioni, l’odore, la voce, lo sguardo saranno lì immutati e in quel luogo senza tempo troverai il sapore della vita… lì nella memoria del cuore.

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